Lo denuncia il procuratore generale davanti alla Corte d'assise di appello
“Cucchi torturato come Regeni. Ucciso dai servitori dello Stato”
“Stefano Cucchi è stato vittima di tortura come Giulio Regeni, è stato ucciso dai servitori dello Stato, si tratta di stabilire solo il colore delle divise”.
È la coraggiosa denuncia formulata l'8 giugno scorso dal Procuratore generale (Pg) Eugenio Rubolino durante la sua requisitoria davanti alla III Corte d’assise d’appello che celebra il processo bis ai medici dell’ospedale Pertini accusati di essere fra i “servitori della Stato in divisa” corresponsabili della morte del geometra romano di 31 anni, arrestato per “possesso di droga” dai carabinieri la notte del 15 ottobre del 2009, tradotto a suon di botte, manganellate, calci e pugni, prima nella stazione Appia, poi alla caserma Tor Sapienza e infine affidato alla polizia penitenziaria per il ricovero urgente presso l'ospedale Pertini dove Stefano morì il 22 ottobre del 2009 a causa del feroce pestaggio subito.
Per la pubblica accusa i cinque medici che ebbero “in cura” per cinque giorni Stefano “sono responsabili di omicidio colposo. Per loro – ha aggiunto Rubolino - nessuna attenuante generica” che alla fine della sua requisitoria ha chiesto di riformulare la precedente sentenza, annullata dalla Cassazione nel dicembre scorso, e di condannare senza attenuanti il primario del reparto Aldo Fierro a 4 anni di reclusione (due, in primo grado), e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo a tre anni e mezzo ciascuno (un anno e quattro mesi ciascuno, la pena inflitta loro nel giugno 2013, quando la stessa Corte aveva assolto anche gli altri imputati, tre infermieri, tre agenti penitenziari e un sesto medico, “perché il fatto non sussiste”).
“Cucchi è stato pestato, ucciso quando era in mano dello Stato, ucciso da servitori dello Stato in camice bianco. Occorre restituire dignità a Stefano e all’intero Paese. Bisogna evitare che muoia una terza volta”, ha ribadito ancora Rubolino che tra l'altro spiega perché “quell’ospedale per Stefano è stato un lager” sottolineando che: “Già all’ingresso al Pertini sono state riportate circostanze chiaramente false sulla cartella clinica di Cucchi: era un bradicardico patologico, con 40 battiti cardiaci al minuto eppure i medici non gli hanno mai preso il polso”. Se poi è vero, ha aggiunto Rubolino, che tra le concause della sua morte c’è la sindrome di inanizione, come riconosciuto dai giudici di primo grado, allora va sanzionato il comportamento dei medici che “presenta profili di colpa ai confini di un dolo eventuale, una colpa con previsione, una colpa gravissima”.
I sanitari, infatti, sono stati “lontani non solo dal formulare una corretta diagnosi, ma anche dal verificarla”. Il giovane geometra è arrivato in ospedale con lo stigma di “drogato” e di “spacciatore” addosso ed “è stato trascurato durante la degenza, non è stato per nulla curato. Gli imputati potevano e dovevano intervenire e invece fino all’ultimo al ragazzo è stata somministrata solo acqua, quando ormai era già cominciato quello che i periti hanno definito un catabolismo proteico 'catastrofico'. Viene privato anche del pane in quanto ciliaco. Stefano, cioè, si stava nutrendo delle sue stesse cellule e stava perdendo un chilo al giorno. Al momento del decesso il suo peso si aggirava intorno ai 37 kg”.
E ancora: “Presentava una frattura alla vertebra sacrale per il pestaggio avvenuto nelle fasi successive all’arresto, aveva un forte dolore fisico in conseguenza di quell’aggressione, eppure al Pertini gli è stato solo somministrato un antidolorifico che ha contribuito a rallentare il cuore, già indebolito. L’apparato muscolare nel suo complesso, in quella cartella clinica fasulla, venne definito tonico e trofico ma il paziente non aveva neppure i glutei per poter avere una iniezione. Cucchi - ricorda infine Rubolino – rifiutava le terapie e non mangiava perché nessuno lo metteva in contatto col suo avvocato. Nessuno si è preoccupato di riferire ad altri le sue esigenze. Non doveva stare in quel reparto perché non era stabilizzato. Eppure si è fatto in modo che venisse ricoverato in quella struttura protetta lontana da occhi e orecchie indiscreti. La sua morte è arrivata dopo 5 giorni di vera agonia”.
"La verità finalmente in aula. Basta avere occhi per vedere e orecchie per ascoltare". È il commento dell'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, a margine dell'udienza. "È evidente che se Stefano non fosse stato pestato non si sarebbe ridotto in quelle condizioni per poi morirne. Così come è evidente, a dispetto degli affanni di medici legali periti, che gli specialisti nominati dal giudice hanno riconosciuto il nesso causale tra la morte e il pestaggio. Ora non siano solo noi ad affermarlo. Lo dice anche il pg di Roma ma soprattutto lo dicono gli atti", ha aggiunto il legale.
"La verità è andata in onda in quest'aula per merito dell'avv. Maccioni legale di Cittadinanza attiva e del procuratore generale Rubolino”, ha commentato la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che ironicamente ha aggiunto: “Dedico questa udienza al professore Introna, capo dei periti del Gip e alle sue immagini prese sul web". Il riferimento è all'inchiesta bis che vede indagati a vario titolo 5 carabinieri per falsa testimonianza e lesioni colpose e agli ulteriori 90 giorni di tempo chiesti dai periti per concludere il lavoro.
27 luglio 2016