Al vertice di Hangzhou, in Cina
I governanti dei paesi del G20 adottano misure per far crescere l'economia capitalista mondiale
Sullo sfondo le contraddizioni interimperialiste tra Usa e Russia sulla Siria
Parlando alla conferenza di chiusura del summit dei paesi del gruppo G20, che complessivamente rappresentano l'85% della ricchezza globale, il presidente cinese Xi Jinping ha definito l'incontro "un grande successo" con lo sviluppo di "un nuovo patto per la crescita globale" attraverso un modello "innovativo, inclusivo e interconnesso". Il vertice del G20 che si è tenuto il 4 e 5 settembre nella città cinese di Hangzhou si è chiuso, stando alle dichiarazioni e al comunicato finale, all’insegna della cooperazione per far crescere l'economia capitalista mondiale, una "crescita forte, sostenibile, bilanciata e inclusiva", ossia certa e meno diseguale.
"Abbiamo bisogno di riaccendere il motore della crescita attraverso l’innovazione e, sotto questo punto di vista, il G20 ha adottato 'i principi guida' per gestire le politiche d’investimento", indicava Xi sottolineando che questo "è il primo schema del genere al mondo". Gli strumenti per raggiungere l'obiettivo di crescita staranno in un pacchetto di "politiche e azioni" che comprendono "politiche fiscali, monetarie, strutturali coerenti con politiche economiche, del lavoro, dell'occupazione e sociali".
Parole spese per provare a dare una scossa a una ripresa economica che "è più debole di quanto desiderato", afferma il comunciato finale, perché tra l'altro "le sfide originate dagli sviluppi geopolitici, l'aumento dei flussi di rifugiati così come il terrorismo e i conflitti complicano le prospettive economiche". Per questo, sollecitano i leader dei venti paesi, bisogna "rafforzare e intensificare la cooperazione per la crescita economica globale, contribuendo a distribuire prosperità" e si dicono "determinati a incoraggiare una economia mondiale innovativa, rinvigorita, interconnessa e inclusiva per accompagnarla in una nuova era di crescita globale e sviluppo sostenibile".
La globalizzazione ha finora coinciso con un allargamento spaventoso delle diseguaglianze economiche fra i paesi forti, sempre più forti e deboli, della forbice della ricchezza all'interno dei singoli paesi e soprattutto un impoverimento dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani sempre più disoccupati; fenomeni accentuati dalla crisi economica tutt'ora in corso.
Il G20 propone solo aggiustamenti in base ai rapporti di forza attuali tra i paesi imperialisti. Abbiamo così i venti leader mondiali concordi nel contrastare il protezionismo, col cinese Xi che nella conferenza stampa finale del summit sottolineava l'intesa per "sostenere il meccanismo degli scambi multilaterali e contro il protezionismo" quando la Cina è accusata di aver provocato il collasso del settore dell’acciaio portandolo in una condizione di sovrapproduzione a colpi di aiuti ai propri colossi pubblici della siderurgia. E con le imprese europee che operano sul mercato cinese che hanno appena rinnovato la denuncia delle misure di protezionismo non dichiarato con cui le autorità di Pechino favoriscono sistematicamente le imprese nazionali.
Fra i temi politici al G20 di Hangzhou quello della Siria è stato un argomento molto discusso ma con scarsi risultati stanti le contraddizioni interimperialiste tra Usa e Russia ancora irrisolte. A margine degli incontri ufficiali il presidente americano Barack Obama ne ha parlato a quattr'occhi con quello russo Vladimir Putin e successivamente si sono incontrati il segratario di Stato americano Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov con un nulla di fatto.
Nella guerra siriana tutti i paesi imperialisti coinvolti, dagli Usa agli europei fino alla Russia e all'ultimo la Turchia di Erdogan, hanno l'obiettivo dichiarato di combattere lo Stato islamico in concorrenza l'uno con l'altro. I russi vogliono mantenere le basi nel Mediterraneo e pesare nella ricostruzione del paese, con o senza il protetto Assad; l'Iran di Rohani punta all’unità del paese per tenere in vita l’asse sciita fino agli hezbollah libanesi; Arabia Saudita e paesi del Golfo vogliono la caduta di Assad e la sua sostituzione con un regime sunnita alleato; la Turchia del fascista Erdogan punta anzitutto alla distruzione della curda Rojava. Difficile conciliarle. E Obama non può che registrare le divisioni e Putin, parlando ai leader di Brasile, India, Cina e Sudafrica, sostenere che “il conflitto siriano può soltanto essere risolto con strumenti politici” mentre i suoi aerei scaricano bombe financo su case e ospedali.
7 settembre 2016