Relazione di Andrea Cammilli alla Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI
L'attuale situazione sindacale in Italia e il lavoro della Commissione di massa e dei marxisti-leninisti
Rivolgo un caloroso saluto a voi compagni presenti, chiedendovi uno sforzo supplementare dopo aver partecipato questa mattina alla commemorazione di Mao. Gli sforzi economici e logistici per essere presenti qui a Firenze, specie quelli fatti dai compagni che vengono da più lontano, credo siano stati abbondantemente ripagati. Abbiamo vissuto una giornata entusiasmante, viva e pienamente calata nella realtà attuale perché per il PMLI la commemorazione di Mao non rappresenta una stantia e rituale celebrazione, ma una giornata militante, dove assieme alla riconferma della fedeltà del Partito a Mao, agli altri Maestri del proletariato e al socialismo, si arricchisce la linea del Partito e si focalizza l'attenzione sull'attualità politica.
Nel 40° Anniversario della morte il PMLI ha onorato Mao facendo un grande sforzo politico e organizzativo. Il bellissimo video su Mao, che fa giustizia di tante menzogne della borghesia e dei falsi comunisti, la brillante relazione del compagno Segretario generale Giovanni Scuderi e la scelta della sala del Palazzo dei Congressi di Firenze, faranno si che questo evento sia ricordato per lungo tempo. Essa rappresenta anche una speciale occasione che il Comitato centrale del Partito ci regala ogni anno per rinsaldare i nostri rapporti politici e di classe, riorganizzare le forze, rinfrescarsi alla fonte del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e partire con fiducia verso i prossimi impegni che ci aspettano. Tra questi impegni ha un posto di rilievo il lavoro di massa a livello sindacale, che il nostro Partito ha sempre tenuto in massima considerazione. Del resto sarebbe molto strano se quello che si proclama partito della classe operaia non tenesse ai primi posti dei propri pensieri i lavoratori, il sindacato e le loro lotte.
Perché la riunione
La riunione è stata sollecitata e ispirata dall'Ufficio politico del Partito e dal Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, attraverso il suggerimento anche dei temi e delle problematiche da trattare. Il suo scopo principale è quello di rilanciare il lavoro sindacale del Partito. Per fare questo dobbiamo partire dalla Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI. Sarà questa Commissione che dovrà aggiornare, se ce ne sarà bisogno, la linea del Partito sulle questioni di sua competenza, ma soprattutto dovrà analizzare e inquadrare l'attuale situazione politica e sindacale con il contributo di tutti, soprattutto per condividere e omogenizzare il nostro pensiero evitando di partire da considerazioni difformi e da analisi personali che potrebbero rivelarsi sbagliate facendoci prendere decisioni avventate. Il che può succedere quando ognuno di noi vive nella propria realtà sociale e lavorativa senza avere un sistematico rapporto e scambio di opinioni con altri compagni che vivono esperienze simili. Anche perché le questioni sindacali sono spesso complesse, trattate con un linguaggio a volte poco comprensibile e “tecnico”, dove l'inesperienza può facilmente farci prendere fischi per fiaschi.
Da questa riunione dovranno però uscire anche delle decisioni concrete, operative, che, partendo dalle nostre attuali e limitatissime forze, ci consentano comunque di agire in campo sindacale con maggior sicurezza e incisività rispetto al recente passato e seguendo un piano prestabilito, evitando che il lavoro sindacale sia lasciato alla discrezione e alla libera interpretazione di ciascuna istanza e dei singoli militanti. Certo non partiamo da zero, non si tratta tanto d'inventare ma di mettere a frutto e attualizzare l'esperienza del Partito in ambito sindacale.
Ringraziamenti al compagno Emanuele Sala
Cercherò di dare il mio contributo e di non far rimpiangere la direzione del compagno Emanuele Sala, e questo non sarà certo facile. Il compagno comunque è qui presente e farà senz'altro la sua parte, dall'alto della sua esperienza, competenza e dai tanti anni passati alla testa della Commissione di massa ed essendo il maggiore esperto del Partito per quando riguarda le questioni sindacali. Come sapete il compagno, per causa di forza maggiore, specificatamente relative ai suoi problemi di salute dovuti alla perdita quasi completa della vista, ha dovuto lasciare la guida della Commissione di massa. Si è trattato quindi di una scelta obbligata.
Permettetemi di cogliere l'occasione per ringraziare il compagno Emanuele per tutto quello che ha fatto per il PMLI. Egli si è sempre messo a disposizione del Partito assumendosi onerosi compiti di dirigente, si è messo a disposizione di quei compagni che chiedevano la sua collaborazione e il suo aiuto. La sua storia politica sta lì a dimostrare concretamente che gli operai e i lavoratori, armati del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, possono davvero guidare la classe operaia e il Partito del proletariato. Un quadro, un dirigente che è diventato tale stando sul posto di lavoro e alla produzione, senza essere uscito da lunghi percorsi di studi ma formatosi nella lotta di classe e nel lungo cammino intrapreso dal PMLI per creare per la prima volta in Italia un Partito realmente rivoluzionario e marxista-leninista con l'obiettivo di realizzare il socialismo, un compagno che ha preso parte sin quasi dall'inizio a questa Lunga Marcia politica e organizzativa che è in corso e che necessita ancora di grandi sforzi soggettivi e favorevoli condizioni oggettive affinché si realizzi. Nonostante i suoi problemi il compagno è ancora in grado di dare preziosi contributi alla Commissione e al Partito.
La politica economica, sindacale e sociale del governo Renzi
Fermo restando le nostre possibilità e la scarsità delle nostre forze, il Partito non è stato certo con le mani in mano di fronte alla politica economica, sociale e all'atteggiamento verso il sindacato tenuto dal governo del nuovo duce Renzi. Il PMLI denunciò subito il carattere autoritario e antioperaio del suo governo. Adesso, con il senno di poi, possiamo dire che non vi è stata nessuna esagerazione, anzi, forse la realtà ha superato le premesse. Il suo insediamento non è stato un “cambio della guardia”, un cambio di direzione, seppure tutto interno alla borghesia e al capitalismo. Quello attuale è un governo che si colloca in perfetta continuità con i precedenti, in particolare con gli esecutivi guidati da Berlusconi e Monti.
Il nuovo duce Renzi si trova alla guida del governo perché la borghesia italiana, l'Unione Europea imperialista, con il beneplacito degli Stati Uniti e delle super lobby internazionali come la commissione Trilaterale e il gruppo Bildelberg, lo hanno individuato come il loro rappresentante più adatto a portare avanti la politica di austerità e rigore per i lavoratori e le masse, realizzare controriforme che favoriscano la politica economica liberista e cancellino “l'architettura istituzionale” nata dopo la caduta del fascismo, eliminare definitivamente dalla Costituzione del '48 quelle parti più avanzate retaggio della guerra di Liberazione antifascista e consolidatasi con le lotte operaie, che almeno sulla carta, garantivano alcuni diritti ai lavoratori e alle masse popolari.
La “riforma” che ha più caratterizzato il suo governo, seppur non certo l'unica, è il Jobs Act, ovvero la cancellazione del diritto del lavoro borghese, articolo 18 compreso. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stato sotto attacco per oltre 20 anni, ancora prima dell'avvento di Berlusconi che fece della sua cancellazione un cavallo di battaglia senza però riuscirci. Il governo Renzi può “fregiarsi” di aver fatto questo regalo ai padroni e già questo basterebbe per meritarsi l'appellativo di governo ferocemente antioperio e nemico delle masse lavoratrici del nostro Paese, come pochi ce ne sono stati nella storia della Repubblica borghese nata nel 1946.
Il Jobs Act stravolge da destra il diritto borghese del lavoro che, seppur formalmente, nella stessa Costituzione del '48 è più volte citato come valore e pilastro della nazione (“l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro”) e i lavoratori, sempre in teoria, hanno dignità, tutele e diritti. In particolare si stravolge quel diritto del lavoro delineatosi nel nostro Paese dopo gli anni '60 e '70 del secolo scorso. Anni caratterizzati da una lunga stagione di lotte operaie e sindacali che, pur lasciando intatto il regime capitalistico, avevano portato a importanti conquiste, tra cui lo Statuto dei lavoratori e l'articolo 18 in esso contenuto. Altro che “rivoluzione copernicana”, “assunzioni più facili”, “l'Italia tornerà a correre”, una misura che “scrosta le rendite di posizione dei soliti noti”, come se la crisi capitalistica fosse colpa dei lavoratori tutelati dai diritti che si sono conquistati nel tempo e con le lotte. Sono solo alcuni degli slogan sparsi a piene mani da Renzi e i suoi uomini nel tentativo di coprire l'essenza della questione.
Con una smisurata faccia di bronzo afferma: "abbiamo dato certezze ad una generazione che finalmente conoscerà le parole mutuo, buonuscita, ferie, tempo indeterminato”; invece si torna indietro di decenni, quando il lavoratore non aveva nessuna tutela ed era alla mercé del padrone. Si tolgono quei diritti così faticosamente conquistati e, d'ora in avanti, si estende il precariato a tutti. Una “riforma” che dà mano libera alle imprese e costringe invece il lavoratore al silenzio per la paura di essere licenziato. Norme che, unite a processi che vanno avanti da anni come il ridimensionamento e la cancellazione dei contratti nazionali di lavoro, svalutano ancora di più la forza-lavoro (che in Italia è pagata meno che nella maggior parte d'Europa), condizionano e ridimensionano il ruolo dei sindacati.
Nel Jobs Act non c'è solo la cancellazione del reintegro del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa (l'articolo 18). Vi è il demansionamento, cioè la possibilità del declassamento della categoria contrattuale, provvedimenti disciplinari più punitivi fino al licenziamento, il controllo visivo e telematico dei lavoratori. Ciò sta producendo un balzo all'indietro di quasi 150 anni nelle condizioni lavorative. Al tempo in cui i padroni disponevano a piacere dei loro dipendenti, chiamandoli al lavoro quando volevano e licenziandoli immediatamente quando si ribellavano, decidendo orario, paga e mansione in base alla loro sottomissione. Quando scioperare significava rischiare il licenziamento in tronco e non era concesso ammalarsi, pena morire di fame, i lavoratori erano sorvegliati a vista da caporali, “ruffiani” e spie del padrone, oggi sostituiti dalle telecamere. Altro che modernità e innovazione blaterate da Renzi.
Senza dimenticare i voucher, che non sono stati inventati adesso ma che il Jobs Act ha sdoganato alzando la soglia economica del loro utilizzo ed estendendoli a tutti i settori lavorativi. Non a caso secondo i dati INPS nel 2015 di questi mini-assegni ne sono stati staccati oltre 115 milioni, con un incremento del 66% sul 2014 del 182% sul 2013, con picchi nel Sud e nelle isole ma diffuso in altre regioni come il Piemonte e la Toscana. Solo nel primo bimestre del 2016 l'aumento rispetto all'anno precedente è stato del 45%. I voucher legalizzano il lavoro nero, sono una copertura per i padroni che in questo modo possono tranquillamente e legalmente fregarsene delle normative, dei diritti e dei salari stabiliti dai contratti nazionali di categoria, pagando 7,50 euro al lavoratore e 2,50 all'Inps per ogni ora. Ma questo avviene solo nelle migliori delle ipotesi perché il voucher si può manipolare con facilità e diventa un formidabile sostegno al lavoro nero.
Un altro bersaglio del governo Renzi è il diritto di sciopero. Strumentalizzando e distorcendo alcune vicende, come quella dell'assemblea sindacale dei dipendenti del Colosseo, a settembre 2015 il governo ha approvato a tambur battente, coperto da tutti i media del regime neofascista, un decreto che obbliga i lavoratori a tenere aperti musei e monumenti. Si tratta di vero e proprio terrorismo antisciopero e antisindacale, con tanto di minacce di future misure disciplinari per i lavoratori che avevano partecipato a quell'assemblea di Roma. Oggi nel settore dei beni culturali, domani, e con lo stesso metodo, in altri settori, fino a limitarlo per tutti. Per il nuovo duce Renzi gli scioperi sono “contro l'Italia”, costui oramai ha indossato la casacca del nazionalismo che fu di Berlusconi, Craxi ma sopratutto di Mussolini.
Altra “perla” di questo governo è la controriforma della Pubblica Amministrazione. La “riforma” Madia prevede la verifica annuale delle presunte eccedenze di personale all'interno della PA. I lavoratori considerati in esubero potranno essere spostati verso uffici differenti, con una mobilità obbligatoria in un raggio di distanza massimo di 50 chilometri. Diversamente si entra in disponibilità per un periodo di due anni, che comporta la percezione dell'80% dello stipendio oltre al pagamento dei contributi Inps. Ma è qui che scatta la tagliola, visto che qualora questo periodo non si concluda con il riposizionamento interno del lavoratore, la naturale conclusione del percorso sarà la risoluzione del contratto di lavoro. In pratica, il dipendente pubblico che non riuscirà ad essere ricollocato dopo 24 mesi dalla messa in disponibilità verrà licenziato che, sommato al licenziamento per “scarso rendimento” introdotto da Brunetta e che la Madia ha intenzione di far rispettare, elimina di fatto l'articolo 18 anche nel pubblico impiego.
Oltre a questo il nuovo testo allo studio dei legislatori punta ad eliminare gli scatti di anzianità peraltro già cancellati in molti contratti privati ma che nella PA, con i salari bloccati da 7 anni, sono l'unico modo, seppur insufficiente, per recuperare qualche briciola della perdita del potere d'acquisto. In futuro lo stipendio del lavoratore verrà legato alla produttività e alla valutazione effettuata dal dirigente, ci saranno verifiche più stringenti sull'operato dei lavoratori a partire dalla visita fiscale automatica per coloro che entreranno in malattia nella giornata di venerdì o durante i prefestivi, sanzioni saranno varate anche per chi farà più assenze.
L'atteggiamento del governo Renzi verso i lavoratori pubblici è lo stesso di quello tenuto da Berlusconi e Brunetta, che li hanno sempre dipinti come dei “fannulloni” per giustificare i tagli ai sevizi anche se la realtà dimostra ogni giorno la carenza sempre più evidente degli organici nella sanità, scuola, servizi sociali, trasporti pubblici. Per giustificare il blocco dei salari che dura dal 2009 giudicato anticostituzionale anche dalla Consulta e che il governo pensa di aggirare elargendo 5 euro lordi mensili per ogni lavoratore.
E come non ricordare la “Buona scuola”. Una controriforma di stampo piduista e fascista che fa proprie e porta alle estreme conseguenze le odiose controriforme Moratti e Gelmini; sferra un attacco senza precedenti ai diritti e alle tutele sindacali degli insegnanti, personale ausiliario, tecnico e amministrativo (Ata); colpisce duramente il diritto all'istruzione di milioni di studentesse e di studenti che Renzi vuol dividere in categorie di serie A e serie B. Cancella i residui spazi democratici borghesi a cominciare dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro; elimina gli scatti di anzianità, sopprime la libertà di insegnamento; azzera gli Organi collegiali; irreggimenta tutto il personale docente e gli Ata e punta dritto alla piena realizzazione della scuola del regime neofascista, classista, meritocratica, gerarchizzata e completamente asservita alle borghesie locali, che affida tutto il potere ai presidi-manager e ai padroni capitalisti secondo il piano della P2 e trasforma gli istituti tecnici e professionali in veri e propri reparti di addestramento e avviamento al lavoro di mussoliniana memoria.
Sulle pensioni, nonostante alcuni incontri con i sindacati che non hanno prodotto niente, Renzi non ha alcuna intenzione di ritoccare la famigerata Legge Fornero e in particolare non vuole eliminare le penalizzazioni su chi ha già raggiunto 43 anni di contributi ma non l'anzianità che adesso è di 67 anni e in base ai calcoli sulla durata media della vita dovrebbe attestarsi in poco tempo a 70 anni. Nonostante la Corte Costituzionale si sia espressa per il rimborso del prelievo forzato sulle pensioni fatto dal governo Monti, Renzi non ha alcuna intenzione di restituirlo, anzi. In alcuni mesi del 2015 le pensioni tutte, anche quelle da 500 euro, hanno subìto un ribasso perché è stata rilevata (con metodi molto discutibili) un'inflazione più bassa di quella programmata.
In più aggiungiamoci:
- il decreto salva Italia con lo snellimento delle procedure per le grandi opere e le agevolazioni per i grandi speculatori edilizi, il regalo ai privati delle infrastrutture d'interesse nazionale, la bonifica dell'ILVA a carico della finanza pubblica.
- La truffa del TFR in busta paga che subirebbe una maggiore tassazione,
- Il decreto sul lavoro autonomo che mantiene quei lavoratori senza tutele e senza sostegni al reddito
- Le cosiddette misure sulla povertà che hanno l'obiettivo di tagliare ancor di più lo “Stato sociale” in cambio di una elemosina per i più poveri.
- Il disegno di legge sul “lavoro agile” che dietro termini inglesi come smart work
nasconde la legalizzazione del vecchio lavoro a cottimo a domicilio.
- L'elemosina dell'“inclusione attiva”, ovvero gli 80 euro ai disoccupati con figli delle famiglie indigenti
Probabilmente ci siamo dimenticati qualcosa ma la politica economica, sociale e sindacale del governo Renzi che abbiamo tratteggiato è molto chiara. Anche in Italia la ricetta per superare la pesantissima crisi capitalistica iniziata nel 2008 rimane quella di scaricarla completamente sui lavoratori e i pensionati, semmai c'è un inasprimento in questa direzione. Si procede speditamente verso la privatizzazione di tutto quello che rimane in mano pubblica. In particolare con l'abbandono del modello sanitario che garantisce buona parte dei servizi gratuiti per tutti e della previdenza pubblica che garantiva una pensione a una platea molto vasta passando a modelli “americani” basati su assicurazioni e fondi privati. Per chi non ha i soldi per curarsi o non ha una pensione verrà fatta la carità. Non hai un lavoro perché il padrone ti può licenziare a piacimento? Niente lavoro tutelato ma un misero reddito minimo. Non hai la casa? Niente case popolari, ma sussidio per “aiutarti” a pagare l'affitto. E via di seguito su questo piano: vengono tolti diritti e tutele e in cambio viene elargita l'elemosina.
Il tutto condito da un'arroganza senza pari e un disprezzo verso i sindacati mai visto, con il preciso obiettivo di ridimensionarne il ruolo e l'importanza. Non a caso Renzi prende a pesci in faccia i sindacati e va d'amore e d'accordo con Marchionne e i capi di Confindustria, Squinzi prima e Boccia adesso. Il capo del governo ha grande ammirazione (ricambiata) per l'amministratore delegato FCA. Del resto il Jobs Act rappresenta l'estensione a tutta Italia del famigerato “modello Marchionne”, introdotto per la prima volta a Pomigliano, fatto di supersfruttamento, lavoratori assoggettati, decisioni aziendali insindacabili, eliminazione del contratto nazionale, stretto controllo poliziesco da parte dell'azienda, libertà di licenziamento, sindacati aziendali ed espulsione di quelli conflittuali.
Il suo è un atteggiamento antisindacale di stampo mussoliniano al di fuori delle regole democratico borghesi sui rapporti tra governo e sindacati che oltrepassa persino quello di Berlusconi. Renzi usa la demagogia e il populismo, assieme a un'incredibile quantità di bugie e faccia tosta, ergendosi a uomo della provvidenza. “Io vi do 80 euro al mese, non perdete tempo dietro ai sindacati per il rinnovo dei contratti” oppure: “i sindacati proteggono i privilegi, ci pensa il mio governo ai giovani e ai precari” e via discorrendo. La sua è una visione corporativa e fascista che vuole i lavoratori solidali e non conflittuali con i padroni. Come Mussolini nega qualsiasi autonomia alla classe operaia e ai sindacati, che invece devono concorrere, assieme alla borghesia, al successo del capitalismo italiano, in posizione subalterna ad essi e caricando sulle proprie spalle tutti i sacrifici. Non a caso Renzi, sostenuto da Marchionne, al massimo tollera il sindacato unico (che non ha niente a che fare con il Grande sindacato delle lavoratrici e dei lavorator, delle pensionate e dei pensionatii del PMLI) collaborazionista che non frappone bastoni tra le ruote al governo e ai padroni, che assomiglia tanto al Sindacato fascista corporativo.
“Io non tratto con i sindacati”, “i sindacati s'inventano gli scioperi, io e Marchionne creiamo posti di lavoro” sono solo alcune delle “perle” che bene esprimono il Renzi-pensiero sui rapporti con i sindacati. La concertazione, cioè la contrattazione governo-sindacati-industriali è stata mandata in soffitta, e noi non la rimpiangiamo perché con quella e con la complicità di Cgil-Cisl-Uil si sono concretizzati accordi e contratti che hanno compresso i salari, innalzato l'età pensionabile, introdotte previdenza e sanità aziendali, ridotto le libertà sindacali e tanto altro. Al suo posto però sono subentrate quelli che il PMLI ha denominato “rapporti industriali e sindacali di tipo mussoliniano” dove il governo impone le sue leggi (vedi Jobs Act), ai tavoli con “le parti sociali” non si tratta ma si deve obbedire e spesso sono sostituiti da un rapporto diretto, da dittatore sudamericano, tra Renzi e i lavoratori (vedi gli 80 euro).
Le battaglie sindacali in corso e i problemi più urgenti dei lavoratori e dei pensionati
Come abbiamo già detto l'atteggiamento di Cgil, Cisl e Uil verso questa politica che ha favorito industriali, finanzieri e i possessori di grandi patrimoni a spese di lavoratori, pensionati, giovani, masse popolari è stato di cedimento e in certi casi di vera e propria connivenza. In questi ultimi mesi molti commentatori sui mezzi d'informazione hanno evidenziato la diversa reazione dei sindacati e dei lavoratori italiani al Jobs Act e di quelli francesi all'analogo Loi Travail. Non entreremo nel dettaglio ma è innegabile che in Francia vi sia stata una reazione forte da parte dei lavoratori e degli studenti e da una parte dei sindacati. Una parte perché anche lì ci sono state organizzazioni sindacali che hanno cercato di dividere il movimento di lotta come fanno spesso in Italia Cisl e Uil, il riferimento è in particolare al sindacato filogovernativo Cfdt.
Ciò non vuol dire che nel nostro Paese non ci siano lotte, vertenze e mobilitazioni. A partire dallo stesso Jobs Act dove la mobilitazione, spesso spontanea, è partita quasi subito. Invece i sindacati, Cgil compresa, hanno concesso una tregua assai lunga a Renzi e i dirigenti, a partire dalla Camusso, in larga parte aderenti loro stessi al PD, non se la sono sentita di incalzare e attaccare subito il segretario del loro partito e allo stesso tempo presidente del Consiglio. In seguito, di fronte ai continui attacchi governativi, l'atteggiamento della Cgil è in parte cambiato ma come era prevedibile il contrasto al Jobs Act attraverso i contratti di categoria si è dimostrata una falsa promessa.
I rinnovi contrattuali rappresentano comunque una delle battaglie più immediate. Ci sono 7 milioni e mezzo di lavoratori che aspettano un nuovo contratto di lavoro ma negli ultimi anni questi hanno sempre peggiorato la situazione precedente. Sono oramai contratti di “restituzione” come vengono chiamati, perché a fronte di miseri aumenti salariali che di fatto diminuiscono il potere d'acquisto dei lavoratori, vengono tolti diritti acquisiti dalle precedenti lotte. L'ottica in cui si muovono i padroni e i governi è quella di mantenere il CCNL solo come una debole cornice che lascia tutto il resto alla contrattazione aziendale, mentre nel settore pubblico si riduce ulteriormente l'intervento statale, a partire dal numero dei lavoratori impiegati nella Pubblica Amministrazione.
In tutti i settori si lascia ampio spazio ai privati, al libero mercato, al singolo a discapito del pubblico, del sociale e dell'interesse collettivo, contratti compresi. Niente aumenti salariali uguali per tutti a parità di mansione ma da rivedere azienda per azienda e aumenti solo in quelle che fanno larghi profitti. Poi premi di settore, di squadra, fino alla contrattazione personale. Di pari passo premi erogati non più in denaro ma in “welfare aziendale”. Ciò significa che l'azienda al suo posto concederà buoni “sanitari” da usufruire in strutture convenzionate, naturalmente private, buoni spesa, oppure della mensa arrivando in certi casi a togliere la mensa aziendale al lavoratore e concedere un buono per quella dell'asilo del figlio. Insomma si torna ai pagamenti in natura.
Altri tratti comuni che contraddistinguono le trattative in tutte le categorie sono la flessibilità, l'aumento dell'orario di lavoro e l'innalzamento della soglia che considera il lavoro straordinario; quelle che vengono chiamate “clausole di raffreddamento” ovvero la limitazione del diritto di sciopero. I lavoratori sono chiamati a contrastare queste pretese e questi attacchi padronali che hanno già fatto breccia in alcune categorie come quella dei chimici, che hanno già rinnovato a fine 2015. Si devono contrastare i tentativi di togliere i riposi, il pagamento degli straordinari, il limitare dei conflitti, il non pagare i primi tre giorni di malattia, ecc.
Oltre un milione e mezzo di metalmeccanici stanno lottando per il rinnovo contrattuale con una piattaforma rivendicativa che noi non condividiamo, tuttavia stanno dando dimostrazione di coraggio attuando una mobilitazione che dura già da alcuni mesi. Se a settembre la Fiom firmerà, lo farà a condizione dei padroni e si aprirà la strada ad altri contratti peggiorativi. Se invece non si piegherà alle pretese di Federmeccanica, questa vertenza dovrà prendere la strada della lotta e potrà rilanciare quella delle altre categorie, prima tra tutte quelle della Grande Distribuzione e della Distribuzione Cooperativa (500mila lavoratori), dove le cosiddette “Cooperative rosse” si sono dimostrate tra le più arroganti associazioni padronali fino al punto che le direzioni di molti supermercati Coop hanno tentato di aizzare i consumatori contro i lavoratori.
Un'altra lotta importante è quella per il rinnovo dei contratti dei vari comparti del settore pubblico, per rimuovere il blocco degli stipendi che dura dal 2008, per respingere la controriforma Madia-Renzi della Pubblica amministrazione. È stata destinata la ridicola cifra di 300 milioni di euro per l'aumento degli stipendi degli statali quando le stesse fonti governative parlano di un risparmio negli ultimi anni di 10 miliardi di euro sulla pelle dei lavoratori del pubblico impiego. L'accanimento sui dipendenti pubblici va respinto, è solo una scusa per privatizzare e tagliare la spesa, e anche noi dobbiamo sostenere questi lavoratori che difendono i loro diritti, che vogliono un salario dignitoso e lottano contro la “riforma” Madia che attua il Jobs Act nel settore pubblico.
Altra questione scottante all'ordine del giorno è la lotta contro la legge Fornero. Dopo il vergognoso atteggiamento tenuto dai sindacati verso questo famigerato provvedimento quando fu emanato, sotto la pressione dei loro iscritti, si sta riorganizzando la lotta contro le sue devastanti conseguenze, una lotta che vede uniti lavoratori attivi e pensionati. Anche a ferragosto, una delegazioni di lavoratori precoci si è recata a Roma per rivendicare la pensione a 41 anni di contributi per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni. Il governo però non sembra intenzionato a togliere le penalizzazioni a chi non ha raggiunto i 67 anni e 6 mesi di età. Ha perfino proposto un vergognoso “prestito” con gli stessi soldi già versati facendo pagare gli interessi ai futuri pensionati a vantaggio delle banche. Noi auspichiamo invece che la lotta si sviluppi per ripristinare la pensione di anzianità contributiva, indipendentemente dall'età.
Infine, ma non per importanza, la partecipazione attiva al referendum Costituzionale del prossimo autunno. Noi non ci appiattiamo sulla difesa della Costituzione del '48, perché non esiste più, essendo stata già cancellata di fatto dal regime neofascista, e soprattutto perché, pur essendo una Costituzione influenzata dalla Resistenza e dall'antifascismo, è comunque una Costituzione borghese e anticomunista, che sancisce la proprietà privata e il capitalismo e recepisce il Concordato con il Vaticano. Non sarà certo di questo tipo la costituzione che sarà scritta dopo aver abbattuto il sistema capitalista e conquistato il socialismo.
Tenendo presente questo, respingere la controriforma neofascista e piduista Renzi-Boschi deve essere un dovere di tutti i lavoratori, è giusto e utile difendere le libertà democratico borghesi che la Costituzione formalmente garantisce. La controriforma costituzionale, unita alla recente legge elettorale di stampo fascista, costituisce una riduzione secca della democrazia borghese, manomette l'impianto complessivo della Carta del '48, trasformando surrettiziamente la forma della Repubblica e del governo da parlamentare a presidenziale, nella versione del “premierato forte”. Essa ha tra i suoi obiettivi quella di togliere poteri al parlamento per trasferirli ai governi che avranno mano libera nell'imporre le loro controriforme. Controriforme che colpiscono i lavoratori e le masse popolari e favoriscono i padroni come dimostra il Jobs Act. Non a caso la Confindustria da il suo pieno sostegno al Sì al referendum.
La Cgil, pur muovendo da tempo delle critiche alla controriforma, solo questi giorni si è espressa ufficialmente a favore del NO. È un passo avanti, fatto però con opportunismo, disimpegnandosi dalla lotta e non vincolando i suoi iscritti, tanto che alcuni dirigenti delle strutture sindacali non hanno rinnegato il loro appoggio al Sì espresso precedentemente. Un atteggiamento che i lavoratori devono contrastare e non giustificabile con la storiella che su tematiche come questa i sindacati devono stare defilati e lasciare che siano sopratutto i partiti a mobilitare i loro elettori, quando invece la Cgil su referendum di questa portata si è sempre schierata con decisione, a partire dal primo, quello tra monarchia o Repubblica. Nel frattempo i padroni e la Cisl si sono schierati apertamente per il Sì, e con questo vengono a cadere tutte le scuse addotte dalla Cgil.
La situazione della CGIL
L'attendismo e l'ambiguità sul referendum rispecchiano la situazione interna alla Cgil, nella quale esistono opinioni e sensibilità diverse anche se, salvo rari casi, le contraddizioni rimangono sottotraccia. Tra il gruppo dirigente e i funzionari di alto livello adesso prevale l'attendismo e poca voglia di scoprirsi in attesa di vedere quali saranno gli schieramenti interni e i candidati alla segreteria al prossimo congresso che si terrà tra 2 anni. Dopo il il Congresso del 2010, le differenze interne alla Cgil erano state, fin dall’inizio, più nette. Nel corso delle assemblee, si erano infatti allora confrontati due documenti. Uno, risultato maggioritario, presentato da Epifani e Camusso, con l’appoggio di Nicolosi. L’altro, risultato minoritario, presentato da Rinaldini e Landini, con l’appoggio di Cremaschi.
Questa volta, invece, Susanna Camusso si era spesa per far sì che il Congresso, con la scusa della prolungata crisi economica e occupazionale, si svolgesse in termini unitari. Un’ipotesi, questa, inizialmente accettata da tutti, meno che da Cremaschi e la Rete 28 Aprile. Nelle assemblee congressuali, non c’erano quindi a confrontarsi due documenti comunque robusti, ma quello presentato da una maggioranza molto ampia con quello proposto dalla minoranza molto ristretta de “il sindacato è un'altra cosa” e spesso al posto dello scontro fra i due documenti, nelle assemblee ha così tenuto banco il confronto sviluppatosi attorno ad alcuni emendamenti sostenuti da Landini e da Rinaldini. Landini poi, dopo un aspro scontro con la Camusso presentò all'ultimo momento un documento alternativo che raccolse il 17% mentre il 3% andò a “il sindacato è un'altra cosa” che noi stessi sostenemmo, la destra guidata dalla Camusso raccolse l'80%.
Ricapitolando, in Cgil c’è adesso un’ampia maggioranza guidata da Susanna Camusso, e due minoranze. Una, “Democrazia e lavoro”, costituitasi dopo il congresso, erede di “Lavoro e società” guidata da vecchi dirigenti come Nicolosi e Rinaldini che vuole “continuare a far vivere i contenuti” degli emendamenti di Landini e raccogliere quel 17% di consensi ottenuti dal suo documento, anche se il segretario della Fiom è formalmente estraneo alla nuova aggregazione. L'altra, “Il sindacato è un’altra cosa”, collocata più a sinistra ed erede della Rete 28 Aprile capitanata da Giorgio Cremaschi adesso uscito dalla Cgil.
A proposito di quest'ultima è bene spendere qualche parola. Durante l'anno in corso abbiamo assistito ad una crisi interna a questa area, esplosa dopo l'attacco delle segreterie Cgil e Fiom a dirigenti e delegati de “Il sindacato è un'altra cosa” accusati di essere incompatibili a rappresentare la Cgil perché si opponevano al modello Marchionne nelle fabbriche del gruppo FCA facendo fronte comune con inscritti a sindacati non confederali. Di fronte a questo attacco, anziché reagire unitariamente, una parte di delegati e il portavoce e leader dell'area, Sergio Bellavita, hanno abbandonato la Cgil aderendo al sindacato USB. Bellavita in special modo, pur essendo dalla parte della ragione sui fatti specifici, ha mostrato tutto il suo opportunismo, dimostrandosi disposto a rimanere in Cgil solo se gli mantenevano il distacco dal lavoro, accordandosi con l'USB per un ruolo direttivo se ciò non fosse avvenuto, ovvero rimango se mi lasciate la “poltrona” altrimenti me ne vado.
Come ben sapevamo quest'area raccoglie una parte molto combattiva di delegati Cgil ma al tempo stesso al suo interno convivono un coacervo di partiti e organizzazioni trotzkiste, più o meno dichiarate, che fin dall'inizio ne hanno minato l'unità e l'esistenza stessa. Vi si trovano organizzati i trotzkisti del PCL di Ferrando, del PRC e in particolare del gruppo Falce e Martello, con peso minore anche i Carc. In tutte le ultime assemblee dell'area sbucano due documenti, che sostanzialmente non divergono gli uni dagli altri, ma servono a marcare il territorio, con un atteggiamento settario che non aiuta la discussione e l'unità e in tutte le occasioni, dalla composizione dei gruppi dirigenti, alla scelta di chi inviare alla delegazione trattante alle varie vertenze, alla gestione del sito internet, emerge la sua frammentazione. Non rinneghiamo l'adesione a quest'area poiché al momento del congresso era la scelta più giusta da fare, dobbiamo però riconoscere che essa non è riuscita a svolgere l'“opposizione in Cgil” come declama nel nome, e oramai la sua influenza tra i lavoratori è ridotta al lumicino.
Non possiamo concludere questa carrellata sugli equilibri interni alla Cgil senza citare Landini e la Fiom. L'unica Federazione della Cgil dove la sinistra sindacale aveva una maggioranza anche consistente, ed è stata alla testa di tutte le battaglie fatte in difesa dell'articolo 18, contro la Fiat e il modello Marchionne, contro la deindustrializzazione, riuscendo a legarsi con altri movimenti, come ad esempio i NO-Tav, prendendo posizioni spesso in contrasto con quelle della segreteria confederale, arrivando a rappresentare un punto di riferimento per i lavoratori più avanzati e per le masse di sinistra e progressiste in genere. Nella Fiom però alla fine è prevalsa la normalizzazione. Ne è responsabile Landini che via via è scivolato sulle posizioni della Camusso e di conseguenza su quelle di Cisl e Uil. La sinistra è stata emarginata dal direttivo nazionale e la Fiom è tornata all'ovile della confederazione. Ha fatto “pace” con Marchionne, ha accettato l'accordo sulla rappresentanza, ha archiviato la lotta contro il Jobs Act.
Noi non nutrivamo chissà quali speranze in lui, ma abbiamo appoggiato tatticamente Landini finché concretamente con la sua organizzazione si opponeva agli attacchi padronali e governativi, ce ne siamo allontanati quando, almeno per un certo periodo, ha mostrato apertura verso Renzi, quando si è riconciliato con la Camusso e le sue posizioni (e quelle di Cisl e Uil) e ha cercato d'intrappolare la classe operaia in una formazione politica riformista alla sinistra del PD. Dopo che questo tentativo sembra oramai tramontato, con il sostanziale flop di Coalizione Sociale, adesso è tutto concentrato sulla scalata al comando della Cgil e quando ci sono screzi con la Camusso, quasi sempre le mosse del leader Fiom sono in funzione della successione alla segreteria generale e non su visioni politiche differenti.
Tornando al congresso, questo ha certificato il ridimensionamento dell'influenza della Cgil, la sua incapacità a rappresentare realmente gli interessi concreti dei lavoratori e dei pensionati, la perdita di autorevolezza, che non è mai stata così bassa, anzitutto tra coloro che dovrebbe rappresentare. La Cgil è oggi dominata da un gigantesco apparato burocratico, senza una reale autonomia, legato a doppio filo alle correnti politiche che si ritrovano nel PD, così distante dalla massa dei lavoratori tanto che quest'ultimi vedono sempre più questo sindacato apparentato alla cosiddetta casta politica che governa il nostro Paese. In questo modo presta il fianco alle critiche populiste e di destra di Grillo e Renzi che hanno gioco facile a indicare nel sindacato un nemico dei lavoratori anziché quello che dovrebbe portare avanti le loro rivendicazioni e tutelare i loro interessi. In particolare il comportamento compromissorio (3 ore di sciopero) verso la legge Fornero e la blanda e ritardataria reazione al Jobs Act hanno inferto un durissimo colpo al livello di stima dei lavoratori nei confronti della Cgil e dei sindacati in generale, come ha ammesso lo stesso Landini in una recente intervista.
Dal congresso esce riconfermata la linea collaborazionista e cogestionaria, filocapitalista, che ci consegna un sindacato di regime del tutto simile a Cisl e Uil. A parole si critica la politica governativa ma al congresso un emendamento che chiedeva il ritiro del Jobs Act è stato respinto a grande maggioranza. A parole si annuncia maggiore democrazia interna ma nei fatti si firma la gabbia antidemocratica dell'accordo sulla rappresentanza e si emettono sanzioni disciplinari contro i delegati Fiom più combattivi del gruppo FCA.
La situazione dei "Sindacati di base"
La situazione è in movimento anche qui. Un dato è comunque sotto gli occhi di tutti: i “Sindacati di base” sono in crisi quanto i confederali e lo stesso nome, di base, risulta improprio perché ciò implica una partecipazione di massa. Invece queste organizzazioni non sono più in fase espansiva come negli anni '80 quando ruppero il monopolio di Cgil-Cisl-Uil, ma rappresentano solo una minoranza di lavoratori. indicono molti scioperi che sono generali solo sulla carta, vista la scarsa partecipazione. Da tempo hanno dimostrato di non essere capaci di rappresentare una valida alternativa, a causa della loro impostazione spontaneista e anarchica, le loro rivendicazioni tendenzialmente corporative, tese più a dividere che unire i lavoratori. I loro dirigenti, generalmente trotzkisti, non distinguono tra sindacato e partito e agiscono in ambito sindacale come dei veri e propri, seppur piccoli, partiti politici.
Le loro critiche alla burocratizzazione dei confederali, alla concertazione, alla mancanza di democrazia sindacale, alla mancanza di autonomia dai partiti politici, sono più che giustificate, ma questi difetti si ritrovano anche in queste organizzazioni, e spesso anche in maniera più eclatante. Per fare degli esempi citiamo il caso del testo unico sulla rappresentanza sindacale che a parole è stato criticato ma in breve tempo è stato sottoscritto da due dei maggiori sindacati di base, Cobas e USB per non perdere il diritto ad avere permessi sindacali, distacchi e altri diritti assicurati a chi sottoscriveva il patto. Come se l'agibilità sindacale si ottenesse solo per legge e non con le lotte, andando contro quello che hanno sempre detto i sindacati autonomi.
Capi inamovibili; guardate Bernocchi, da sempre leader dei Cobas, per non parlare della scarsissima democrazia interna. Un caso emblematico è l'USB, il sindacato che attraverso il “patto di base” ha tentato di raggruppare varie sigle sindacali (RdB, SdL e spezzoni di CUB) cercando di diventare confederale e presente sia nel privato, nel pubblico e tra i pensionati facendo sostanzialmente concorrenza alla Cgil. Proprio la firma al Testo unico sulla rappresentanza ha causato una serie di scissioni: è nata l'SGB (sindacato generale di base) e un coordinamento che chiede un congresso straordinario. Abbiamo anche appreso, leggendo il documento dell'USB che sancisce l'espulsione di vari dirigenti, che lì non sono ammesse aree congressuali o programmatiche come invece avviene in Cgil. Un'altra scissione è avvenuta nello Slai-COBAS, da cui è nato SI-Cobas, sindacato molto combattivo ma confinato nel settore della logistica dove ha portato avanti lotte e vertenze di primo piano.
L'autonomia dai partiti è solo formale; organizzazioni false comuniste come Rete dei comunisti, Alternativa Comunista, Sinistra anticapitalista, e chi più ne ha più ne metta influenzano eccome queste sigle sindacali, le occupano stabilmente e si combattono per avere maggiore potere. È davvero paradossale che organizzazioni e dirigenti che ad ogni occasione si scagliano contro “l'autoritarismo stalinista” esaltando il trotzkismo e riempendosi la bocca di “democrazia operaia”, quasi quotidianamente reprimono il dissenso interno attraverso il metodo delle espulsioni immediate senza il minimo preavviso e senza alcuna discussione, spesso sulla base della sola appartenenza politica.
La proposta del PMLI sul nuovo e unico sindacato e il lavoro dei marxisti-leninisti all'interno della CGIL
Queste nostri giudizi sui sindacati non sono nuovi. Partendo proprio dalle considerazioni sull'istituzionalizzazione e sull'approdo filopadronale e cogestionario della Cgil, dall'incapacità dei “Sindacati di base” a rappresentare milioni di lavoratori, assieme all'analisi del quadro politico nazionale e internazionale, che più di 20 anni fa lanciammo la proposta di un nuovo e unico sindacato per tutti i lavoratori e i pensionati.
Avendo portato a compimento la sua parabola a destra, iniziata con la linea dell'Eur di Lama nei lontani anni '70, ed essendo diventata perciò la Cgil un sindacato borghese in tutto e per tutto, nell'ambito della instaurazione della seconda repubblica con caratteri neofascisti, presidenzialisti e federalisti veniva a cadere la possibilità di farne un sindacato di classe. La giustezza di questo giudizio è stata più volte comprovata, fino ai nostri giorni. Ci riferiamo alla Carta dei Diritti o Nuovo Statuto dei Lavoratori che dir si voglia dove la Cgil rivendica la piena attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione che chiedono la registrazione dei sindacati e la loro trasformazione in enti facenti parte integrante dello Stato e sotto il suo controllo l'uno, e l'altro sulla “partecipazione dei lavoratori” alle decisioni e agli utili delle aziende che in questo preciso momento storico servirà sopratutto ai padroni per giustificare tagli e licenziamenti, portare i lavoratori a lottare gli uni contro gli altri per raccogliere qualche briciola in più dal banchetto capitalista a discapito della lotta di classe, a sacrificare persino il diritto di sciopero in nome del “bene dell'azienda”.
Riguardo all'alternativa alla Cgil abbiamo sempre detto e lo ribadiamo che non possono essere i “Sindacati di base” con la loro strategia finalizzata a sostituire il sindacato al partito con una concezione operaista, molto settaria, caratteristica dell'anarco-sindacalismo. Non lo sono le sigle esistenti né tanto meno servirebbe crearne di nuove, con il risultato di aggiungere un'altra sigla senza cambiare nulla, o peggio rinchiudervi la parte più avanzata isolandola dalla massa dei lavoratori.
Rompendo questo schema - Cgil o “Sindacati di base” - nasce la nostra proposta del grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati le cui caratteristiche principali sono: l'unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e comporta la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l'assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del "patto sociale" con le controparti (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Questa è la nostra proposta strategica, l'obiettivo per cui dovremo lavorare a mano a mano che matureranno le condizioni, ossia quando la classe operaia prenderà coscienza della necessità di abbandonare i sindacati confederali e di “base” per dare vita a un unico grande sindacato che difenda i propri interessi. Una necessità che piano piano inizia quantomeno ad insinuarsi tra alcuni delegati e spezzoni sindacali. Ad esempio nelle tesi congressuali del “sindacato è un'altra cosa” si comincia ad intuire, seppur in maniera molto sfocata, questa necessità, perfino Landini ha invocato un sindacato unico (ma poi bisogna vedere nel concreto cosa s'intende) ed entrambi evidenziano la distanza tra vertici e base e tra l'azione sindacale e le reali esigenze dei lavoratori.
Certo queste non sono delle novità, è almeno dalla fine degli anni '70, dal “sindacato dei Consigli”, fino ai giorni nostri, ad esempio con i comitati autorganizzati della scuola contro la “riforma” di Renzi, che la mancanza di democrazia, lo scollamento e la distanza tra base e vertici sindacali emergono con chiarezza. Ma adesso comincia, seppur timidamente e sporadicamente, a farsi strada il superamento del vecchio schema – spostare a sinistra la Cgil o stare nei “Sindacati di base” - e considerare l'idea di un sindacato unitario, anticapitalista, democratico, autonomo da padroni, governi e partiti. Da qui a realizzare il “nostro” sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati ce ne corre, ma il momento non è mai stato così propizio per rilanciarlo, nei giusti modi, con dialettica e nei momenti e luoghi opportuni.
A livello organizzativo riconfermiamo la scelta di operare preferibilmente nella Cgil. Che questa organizzazione di massa sia guidata da riformisti non giustifica il fatto che dobbiamo abbandonarla. Il lavoro di massa è quello che decide lo sviluppo del Partito, sarebbe suicida non lavorare nella più grande organizzazione di massa del nostro Paese. Conosciamo bene di che “pasta” è fatta e che ci sono sindacati non confederali con posizioni più a sinistra. Ma non dobbiamo scegliere dove lavorare sindacalmente solo sulla base di chi ha le posizioni più vicine alle nostre, questo è solo uno dei vari fattori: dobbiamo considerarne la rappresentatività, la tipologia di lavoratori che vi sono iscritti, il rapporto con il movimento operaio. Molteplici fattori che ci portano a privilegiare il lavoro all'interno della Cgil, perché in essa rimane organizzata sindacalmente la maggioranza della classe operaia, dei lavoratori e dei pensionati, senza scartare a priori la possibilità di lavorare all'interno dei sindacati che si collocano alla sua sinistra.
Quindi non è preclusa la possibilità che lavoratori membri e simpatizzanti del PMLI scelgano tatticamente di militare, invece che nella Cgil, in uno di questi sindacati, là dove hanno un seguito di massa superiore e sono migliori le condizioni per svolgere il nostro lavoro sindacale. Naturalmente mantenendo la nostra autonomia e la nostra critica di fondo alla strategia dei suddetti sindacati, come del resto facciamo nella Cgil. Facendo un esempio pratico attualmente questa evenienza potrebbe verificarsi nel settore della logistica, dove uno o più militanti del Partito occupati in quel settore, anziché nella Cgil, diventata marginale in molte di quelle aziende, potrebbe scegliere di militare nel SI-Cobas, protagonista di quasi tutte le lotte sviluppatesi nel settore, pur essendo un sindacato-partito, o meglio, un sindacato che "vuole dar vita anche a una rappresentanza politica” (come si legge nel suo sito).
Come abbiamo già detto adesso è il momento opportuno per intensificare, rispetto al passato, le occasioni in cui proporre il nostro modello sindacale. Bisogna essere comunque coscienti che questa è la nostra proposta strategica, che richiede il verificarsi d'importanti rivolgimenti polico-sindacali, insomma che al momento non è dietro l'angolo. In attesa che si verifichino questi rivolgimenti noi dobbiamo fare al meglio la nostra parte e cercare d'incidere nell'arena sindacale dotandoci di strumenti adeguati. Già da tempo il Partito ha individuato nella Corrente Sindacale di Classe (CSC) lo strumento principale per svolgere al meglio il nostro lavoro a livello sindacale.
La CSC venne lanciata nel lontano 1975, ancor prima della nascita del PMLI e quando il nostro disegno non era ancora il grande sindacato di tutti i lavoratori e di tutti i pensionati. Ma la CSC non è legata alla strategia sindacale contingente bensì è lo strumento organizzativo che unisce tutti i lavoratori marxisti leninisti, militanti, simpatizzanti e chiunque si ritrovi nella nostra proposta sindacale. Diversi tentativi sono stati fatti in passato per costituirla effettivamente ma non basta dichiararlo perché ciò si avveri, evidentemente non c'erano i presupposti per essere realizzata, servirà un ulteriore sviluppo qualitativo e sopratutto quantitativo del Partito.
Questo obiettivo però deve essere già messo all'ordine del giorno, o quanto meno la costituzione del suo embrione. Senza una rappresentanza organizzata che raggruppi un robusto numero di lavoratori, siamo tagliati fuori dalla discussione e dall'arena sindacale. Possiamo elaborare tutte le piattaforme e strategie che vogliamo, ma se poi non diamo le gambe a quello che pensiamo tutto rimane sulla carta. Ma come facciamo, in concreto, a svolgere questo ruolo? Anzitutto trasferendo in ambito sindacale la linea del Partito e in particolare le nostre analisi sulla situazione economica, sulla crisi capitalistica, i nostri appelli a respingere i vari attacchi di padronato e governo, dal modello Marchionne al Jobs Act, dall'attacco al contratto nazionale, ma sopratutto essendo attivi e in prima fila nelle lotte sindacali della propria azienda e del proprio ambito sindacale.
Rimando i compagni a rileggersi le 8 indicazioni per svolgere il lavoro sindacale. Non starò qui ad elencarle una a una per mancanza di tempo ma cercherò comunque di farne il riassunto. Anzitutto dico che non è ammissibile che i nostri militanti non tengano in grande considerazione il lavoro sindacale, mi spiego meglio. Un compagno non può impegnarsi con abnegazione, diffondere il nostro materiale, fare interventi rivoluzionari a livello politico, e poi sul proprio posto di lavoro starsene in disparte e in secondo piano, a meno che questa non sia una direttiva del Partito per casi particolari. Noi dobbiamo essere protagonisti nelle lotte che si svolgono sul nostro luogo di lavoro e del territorio dove viviamo, attivi negli organismi aziendali e sindacali dove siamo eletti. Altrimenti il nostro lavoro politico è incompleto, evita il lavoro di massa, la nostra stessa figura di marxisti-leninisti (quando siamo riconosciuti tali) ne esce monca.
Per fare questo, oltre ad avere l'indispensabile conoscenza della linea sindacale del Partito, occorre conoscere anche la nostra azienda e il nostro settore di lavoro, saper trattare non solo le questioni generali ma anche quelle particolari e che interessano direttamente i lavoratori con cui siamo a contatto. Essere degli esperti rossi e conoscere il settore in cui si opera sono elementi imprescindibili per avvicinare i lavoratori, attrarli sulle nostre posizioni, insomma dobbiamo saper legare il generale al particolare trasferendo la nostra impostazione sindacale alla singola questione. Dobbiamo agire in modo centralizzato e non spontaneo e confusionario, imparando a prepararsi e a scriversi gli interventi.
Avere una posizione avanzata con l'obiettivo di alzare il livello qualitativo e di combattività dell'organismo in cui stiamo operando. Non agire con la logica dell'uno contro tutti ma ricercando ogni volta il più ampio fronte unito possibile isolando invece la destra e chi tira il freno alla lotta. Comportarsi sempre con umiltà, senza cercare a tutti costi di essere eletti negli organismi sindacali specie se ci staccano dalle lotte e ci rinchiudono negli uffici (anche se ciò è difficile che avvenga), ma conquistare ruoli dirigenti perché sono i lavoratori ad assegnarceli.
Padroneggiare la linea sindacale del Partito, conoscere le problematiche specifiche dell'azienda e del territorio dove lavoriamo, essere protagonisti nelle lotte sindacali e sociali senza mai porsi al di sopra degli altri lavoratori sono i metodi più efficaci per avere seguito tra le masse lavoratrici, fondamento essenziale per avere una nostra base sindacale, per costruire l'embrione del nostro modello organizzativo e in seguito la CSC vera e propria.
Il programma a breve-medio termine della Commissione e la divisione dei compiti tra i suoi membr
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Dobbiamo avere piena coscienza che il lavoro di massa, e in particolare nel sindacato, assieme al lavoro giovanile e studentesco rappresentano i fronti principali, individuati da tempo, in particolare dal 5° Congresso nazionale del PMLI su cui si gioca lo sviluppo del Partito perché lì si trovano la classe operaia e i giovani, ovvero chi dovrà guidare la rivoluzione socialista e chi rappresenta il futuro, i giovani che portano con se l'entusiasmo e la voglia di cambiare. In precedenza abbiamo detto che se non riusciamo ad avere una base di lavoratori e ad agire organizzati non possiamo incidere nel sindacato, ma al tempo stesso accrescere la nostra influenza vuol dire attrarre militanti e simpatizzanti verso il Partito, vuol dire fare proselitismo e far crescere il PMLI, base indispensabile per far avanzare la lotta per il socialismo.
Come Commissione di massa possiamo e dobbiamo fare abbastanza e meglio, ma il lavoro sul campo lo devono fare i compagni nelle fabbriche, negli uffici e nei posti di lavoro. La Commissione deve avere un compito d'indirizzo, intervenire sulle principali questioni sindacali, indicare come attuare la linea sindacale del Partito fornendo stimoli alle istanze di base. Per assolvere questo compito dovrà dare il proprio contributo giornalistico sui temi che le competono e fare delle circolari dirette alle istanze intermedie e di base del Partito, come già fanno altre Commissioni. In più dovrà seguire personalmente i membri lavoratori del Partito che non fanno parte di una Cellula. Per fare questo dovremo dotarci di un programma a breve-medio termine e suddividerci i compiti.
Poniamo come prospettiva il prossimo congresso della Cgil che si terrà nel 2018, se non ci saranno elezioni anticipate, probabilmente in autunno. Da qui a quella data direi che la Commissione dovrà riunirsi almeno un'altra volta. Ottimale sarebbe una riunione allargata dove ci sia la possibilità di ascoltare le esperienze di più compagni, vedremo se ciò sarà possibile. Nel frattempo propongo che la Commissione si attivi affinché sia in grado di emettere propri comunicati sulle principali questioni sindacali e politiche che riguardano lavoratori e pensionati e sulle vertenze di rilevanza nazionale.
Per la sua prontezza nell'agire e per la bravura a usare la penna assegnerei questo compito al compagno Enrico che ha già dimostrato queste qualità quando ha dato il suo contributo a questa Commissione e ogni qual volta gli è stato assegnato un compito. Colgo l'occasione per ringraziarlo per il lavoro giornalistico che sta svolgendo sul fronte ecologico e ambientalistico, assumendo sempre più il ruolo di esperto rosso del Partito su questi temi ampi e complessi. Considerando i numerosi impegni nel suo territorio e a livello centrale, non gli chiediamo di assumere sulle sue spalle tutto il peso dei comunicati stampa, ma di essere colui che ne fa la stesura, su sollecitazione e collaborazione del Responsabile della commissione.
Se sarà deciso che la Commissione effettivamente emetterà dei comunicati penso che ne sia già uno da fare. Mi riferisco al nostro NO al referendum sulla controriforma costituzionale del prossimo autunno. Sarà opportuno intervenire con un comunicato utilizzando il documento del CC al riguardo, indirizzato ai lavoratori dove inoltre si evidenzi come questa è una “riforma” gradita a Marchionne e ai padroni, alla Cisl, che si sono espressi chiaramente a favore. Essa restringe la democrazia e favorisce gli attacchi contro i diritti dei lavoratori. Dobbiamo invitare i nostri compagni e tutti i lavoratori a fare pressione nelle aziende e nelle strutture del sindacato a tutti i livelli, costringendo la Cgil ad andare oltre la posizione opportunista presa l'8 settembre, ma ad impegnarsi fattivamente per la vittoria del No al referendum.
Quando poi arriveremo al congresso della Cgil lo dovremo affrontare preparati. Per fare un esempio pratico prenderei in esame il congresso dell'Anpi dove tutto il Partito, da Nord a Sud, vi ha partecipato portando avanti per quanto possibile le posizioni del PMLI. Una partecipazione che ha dimostrato come la stragrande maggioranza delle istanze di base abbia capito l'importanza del lavoro di massa e di svolgerlo in un organismo rilevante e rappresentativo come l'Anpi.
Per il congresso della Cgil deve avvenire la stessa cosa: tutte le organizzazioni del Partito, tenendo conto della composizione della propria istanza e dei propri fronti di lavoro, devono essere consapevoli dell'importanza dell'avvenimento e parteciparvi in maniera diretta e concreta, in base alle proprie forze. In più, rispetto al congresso dell'Anpi, sarebbe opportuno mettere in campo una “cabina di regia” per centralizzarsi e coordinare il lavoro dei singoli compagni e istanze. In passato, due o tre congressi fa, fu fatta una cosa del genere e furono ottenuti importanti risultati. Al di là del fatto che uno dei responsabili non fece bene il suo lavoro e alla fine si allontanò dal Partito, molti compagni furono eletti nei direttivi di categoria e delle Camere del Lavoro. Tenendo sempre presente che i posti nei direttivi non sono tutto e non misurano la reale influenza sui lavoratori, ma sono importanti se li utilizziamo come uno strumento per estendere questa influenza.
Tornando alla divisione dei compiti, direi di assegnare al compagno Angelo quello di seguire i lavoratori precari e tutto quello che si muove in quell'ambito, specie sulle loro forme di organizzazione e mobilitazione. È vero che oramai la maggioranza degli impieghi sono precari ma ci sono settori dove questa tipo di sfruttamento assume forme permanenti e per certi aspetti di semi-schiavitù. Mi riferisco alla scuola, ai call center, al turismo, all'organizzazione di grandi eventi, all'agricoltura, alle cooperative, alla logistica. Vivendo a Milano e in Lombardia, dove si anticipa quasi sempre la tendenza nazionale, il suo è senz'altro un osservatorio privilegiato, pur sapendo che anche lui ha altri importanti compiti e non può concentrarsi solo su questo.
Il compagno Emanuele purtroppo ha i suoi noti problemi, lui stesso ci dirà quello che può fare. Credo però che questi non gli impediscano di svolgere il ruolo, permettetemi di usare questo termine, di “consigliere”. La sua esperienza e conoscenza saranno utilissimi quando andremo a trattare questioni di carattere nazionale e generale, ma anche quando dovremo consigliare i compagni, specie quelli che non hanno un'istanza di base su cui appoggiarsi, a dirimere specifiche questioni pratiche.
Tutto il resto ricade sul Responsabile della Commissione: a partire da lavoro giornalistico, al monitoraggio periodico dei vari siti sindacali: della Cgil e delle minoranze interne organizzate, dei “Sindacati di base”, comitati autorganizzati, siti curati da RSU d'importanti fabbriche del Paese, mantenere i rapporti tra i membri della Commissione, sollecitare l'attivazione dei compagni in concomitanza delle principali manifestazioni e appuntamenti sindacali. Qualora si svolgessero delle manifestazioni di carattere nazionale, che noi auspichiamo, dovremo sensibilizzare tutto il Partito affinché vi partecipi una delegazione la più ampia possibile.
La divisione dei ruoli è importante e funzionale ad una maggiore efficacia della Commissione ma ciò non toglie che non dovremo agire per “compartimenti stagni” ma con spirito collaborativo. A tale proposito devo rilevare che nel recente passato quando ho chiesto il parere su alcune questioni all'ordine del giorno qualche compagno non ha risposto. Questa critica non vuole essere un atto d'accusa verso nessuno, ma vuole rendere più consapevoli i compagni dell'importanza di aiutarsi l'un con l'altro, con un fraterno spirito proletario. Non conviene mai il silenzio, se su di un determinato tema non siamo in grado di dare il nostro contributo oppure viviamo in quel momento dei particolari problemi, basta dirlo, così chi sta dall'altra parte capisce e non rimane in attesa di risposte. Io stesso mi autocritico perché il Partito mi ha spesso indicato di mantenere un periodico contatto con il compagno Emanuele e di centralizzarmi e questo è avvenuto solo in minima parte.
Come avrete capito le cose da fare sono tante e la montagna da scalare è molto alta, di conseguenza è richiesta una maggiore coscienza e preparazione politica dei militanti marxisti-leninisti. Per realizzare anche solo una parte dei nostri piani servirà un Partito più grande numericamente ma allo stesso tempo dobbiamo fare dei duri sforzi per farlo crescere. Prima o poi il socialismo tornerà di moda e il Partito diventerà più forte e radicato, noi come Commissione, noi come Partito dobbiamo mettercela tutta e fare la nostra parte per accelerare questo processo e farci trovare pronti quanto questo avverrà.
Combattiamo con tutte le nostre forze il nuovo duce Renzi anche a livello sindacale, alla guida di uno dei peggiori governi del dopoguerra, acerrimo nemico dei lavoratori e delle masse popolari, servo di Marchionne, della banche, dei padroni, dell'UE imperialista e allo stesso tempo arrogante premier con ambizioni nazionaliste e interventiste.
Adoperiamoci, nelle nostre possibilità, affinché i lavoratori diano il loro forte contributo alla vittoria del NO al referendum costituzionale del prossimo autunno.
Lavoriamo con impegno per creare una nostra base sindacale dentro e fuori la Cgil.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo.
Buon Lavoro.
21 settembre 2016