Nonostante il coprifuoco durano vari giorni le proteste e gli scontri di piazza
Nero ucciso dalla polizia in North Carolina
Nello scorso luglio, evidenziando l'imponente rivolta antirazzista con scontri di piazza e alcune centinaia di manifestanti arrestati in diverse città americane scatenata da una impennata di assassini di neri da parte della polizia sottolineavamo che nei primi sei mesi del 2016 gli afroamericani ammazzati da agenti erano stati ben 135, con una media spaventosa di uno per ogni giorno lavorativo.
Assassini di neri da parte di poliziotti e rivolte della popolazione nera sono tornati in prima pagina a partire dal 20 settembre quando a Charlotte, nel North Carolina, gli agenti uccidevano un 43enne afroamericano. Nella città le proteste e gli scontri di piazza duravano vari giorni nonostante il coprifuoco imposto dal governatore dello Stato, Pat McCroy.
Secondo la versione ufficiale, un gruppo di agenti aveva fermato Scott nel parcheggio di un edificio e gli aveva chiesto di gettare l'arma che portava; pochi attimi dopo un agente apriva il fuoco e lo uccideva perché aveva ritenuto il comportamento dell'uomo che protestava “una minaccia imminente”. La formulazione che consente ai poliziotti assassini di farla regolarmente franca, tanto che spesso non vengono nemmeno incriminati. Il poliziotto aveva aperto il fuoco dopo che Scott si è rifiutato di abbandonare la sua arma e di seguire gli ordini, giuravano gli agenti presenti sul posto; i parenti di Scott contestavano la versione di comodo della polizia spiegando che l'oggetto nelle sue mani al momento degli spari era soltanto un libro. La sorella della vittima spiegava che era seduto nella sua auto parcheggiata non lontano da casa e aspettava che uno dei figli tornasse da scuola col bus, prima della discussione degenerata in lite con un agente che gli ha sparato e lo ha ucciso con diversi colpi.
La polizia modificava la prima versione dei fatti e ammetteva che dal video che aveva ripreso la scena non era chiaro se puntava un'arma ma intanto era partita la protesta di piazza contro l'ennesimo assassinio degli agenti. Per due notti la città era teatro di scontri con auto danneggiate, una decina di feriti e una cinquantina di arresti.
Il governatore del North Carolina, Pat McCroy, dichiarava lo stato di emergenza affermando che “non possiamo tollerare la violenza e non possiamo tollerare attacchi alle nostre forze di polizia” e ordinava il dispiegamento della Guardia Nazionale e della polizia stradale per sostenere le forze di polizia locali. Come dire che agli agenti tutto è permesso, ai dimostranti niente.
Nonostante il coprifuoco centinaia di manifestanti dimostravano anche nei giorni seguenti e chiedevano che la polizia non occultasse le prove e rendesse pubblici i video della sparatoria. La stessa richiesta dei familiari e dei manifestanti che negli stessi giorni erano scesi in piazza a Tulsa, in Oklahoma, per protestare contro l'assassinio di un altro afroamericano di 40 anni, morto in ospedale dopo essere stato colpito da un agente il 18 settembre.
L'afroamericano di Tulsa era “colpevole” di non aveva ubbidito agli agenti che lo avevano visto camminare in mezzo alla strada e gli avevano intimato di alzare le mani. Un agente lo ha colpito con una pistola elettrica taser, l'altro gli ha sparato. La famiglia della vittima affermava che egli era disarmato e si era fermato perché la sua auto si era spenta in mezzo alla strada.
Gli assassini di Charlotte e di Tusla sono stati denunciati anche a New York il 22 settembre quando centinaia di manifestanti hanno bloccato la circolazione all'incrocio tra Broadway e la Fifth Avenue, in una Manhattan ancora blindata per la presenza di diversi leader mondiali che partecipavano all'Assemblea generale dell'Onu.
28 settembre 2016