Emarginato il direttorio. Alla faccia della “democrazia diretta”
Grillo: “Il capo sono solo io”
Dittatura totale del beniamino di forze borghesi di destra e di “sinistra”
Contrordine, nessun “passo di lato”, via il direttorio dei 5 portavoce da lui stesso nominati e ritorno a fare il capo assoluto e a tempo pieno del Movimento 5 stelle. Beppe Grillo ha annunciato la “svolta” dal palcoscenico della festa nazionale del movimento “Italia a 5 stelle” svoltasi il 24-25 settembre a Palermo: “Ebbene sì, sono tornato!”, ha urlato il padre padrone del M5S. “Gianroberto lo sentivo cinque volte al giorno, è chiaro che mi manca. Ora sono rimasto solo io. Avevo fatto un piccolo passo indietro, ma sì, sono rientrato. Il capo sono io”. E ha annunciato un nuovo Regolamento, o nuovo “non Statuto” del movimento da approvare con una consultazione in rete, col quale promette di porre fine al caos e alla guerra per bande che dilaniano i vertici del movimento e di farlo tornare allo spirito dei primi tempi, quelli dei “Vaffa day”. Con lui di nuovo saldamente al timone, naturalmente.
E il direttorio composto da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia, da lui stesso nominato due anni fa per fare – diceva - “un passo di lato” e creare un raccordo tra il movimento e i parlamentari e gli amministratori eletti, che fine farà? Grillo non lo ha confermato ufficialmente, ma ha fatto capire che se non è ormai morto e sepolto, il Direttorio viene quantomeno messo in naftalina dal ritorno del capo: “Direttorio è un termine che avete inventato voi. Sono cinque persone che io e Casaleggio, assieme alla rete avevamo scelto perché il movimento stava diventando enorme”, ha risposto infatti ai giornalisti ostentando fastididio. E ha fatto capire che d'ora in avanti lui si avvarrà di una sua squadra personale di “cinque-otto persone”, tra cui del defunto direttorio si salvano solo Di Maio e Di Battista.
Sono stati solo questi due, infatti, insieme al figlio di Casaleggio, Davide, ad essere stati ammessi da Grillo a salire sul palco nella prima serata, che con ciò ha messo la sordina alle polemiche e ai veleni in cui i due sono rimasti invischiati nella guerra per bande scatenatasi intorno alla giunta Raggi: Di Battista per essere stato lo sponsor della prima ora della neo sindaca; Di Maio per aver mentito sul non essere a conoscenza delle indagini sull'assessora all'Ambiente Muraro. Veleni e polemiche i cui strascichi si erano fatti sentire anche a Palermo, con il presidente della Commissione di vigilanza Rai, nonché loro pari nel direttorio, Roberto Fico, che chiaramente rivolto a Di Maio e alle sue ambizioni di leader aveva dichiarato pubblicamente che “il direttorio non è un organo politico, il direttorio non esiste, esistono solo funzioni”, aggiungendo significativamente che “non esistono vip o big, esiste il M5S”.
Un nuovo regolamento per blindare il capo
Ma dopo l'eloquente rituale imposto da Grillo a Palermo, con il disconoscimento del direttorio e l'elevamento di Di Maio e Di Battista, Fico appare ormai emarginato nel movimento, così come gli altri due componenti del vecchio quintetto. Anzi, Carla Ruocco era già stata emarginata ancor prima di Palermo, con l'accusa di aver danneggiato pubblicamente il movimento per via della sua aperta ostilità alla sindaca Raggi, alla quale non aveva risparmiato le critiche per le dimissioni dell'ex assessore al Bilancio, Marcello Menenna. Le ovazioni con cui Virginia Raggi è stata accolta alla festa non hanno fatto che confermare in Grillo la decisione di chiudere la partita con il litigioso direttorio salvando solo chi, come Di Maio e Di Battista, hanno sempre difeso a spada tratta la neo sindaca di Roma. Solo che a questo punto dovranno rendere conto direttamente a lui, e smetterla di giocare in proprio. O almeno questa è la sua intenzione.
Grillo non si è limitato ad annunciare di aver ripreso in mano le redini del M5S, ma con il nuovo “non Statuto”, integrato dal “nuovo Regolamento” lanciato sul suo blog ha creato anche lo strumento ad hoc per blindare concretamente il suo potere assoluto, in particolare per cacciare e candidare chi vuole lui. Potranno partecipare alla consultazione in rete, fino al 26 ottobre, solo gli iscritti certificati entro il 1° gennaio scorso. E “l'identificazione e l'accettazione degli iscritti viene effettuata dal gestore del sito incaricato dal capo politico”: ossia da Davide Casaleggio su incarico dello stesso Grillo.
E sarà sempre lui a decidere i candidati alle elezioni, perché al capo politico spetta anche “determinare le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali, d'intesa con il Comitato d'appello, in funzione della tipologia di elezione”. Comitato attualmente composto da tre persone, Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancellieri, assieme al quale Grillo decide chi e come candidare o ricandidare in parlamento.
Una norma “anti Pizzarotti”
Per quanto riguarda le espulsioni a decidere in primo grado sarà un collegio di probiviri, e in secondo grado il Comitato d'appello. Ma Grillo potrà comunque annullare le decisioni o cambiarle, anche ricorrendo a consultazione sulla rete. Le sanzioni andranno dal richiamo alla sospensione, fino all'espulsione. Su quest'ultimo provvedimento i votanti possono optare per la sospensione a tempo indefinito, espediente escogitato per aggirare una recente sentenza del tribunale di Napoli che aveva giudicato illegittime le espulsioni.
Si tratta della cosiddetta norma “anti Pizzarotti”, perché applicata di fatto al sindaco di Parma, sospeso dal 13 maggio e ancora in attesa di una decisione definitiva del movimento sulla sua espulsione o meno. Una norma sufficiente a impedirgli di ricandidarsi come M5S alle prossime comunali del 2017. E infatti Pizzarotti, che si era visto anche negare la presenza alla festa di Palermo, aveva così commentato il ritorno di Grillo alla testa del movimento: “In due giorni dall'uno vale uno siamo passati al capo politico, al passaggio dinastico e a regole ad personam
per far fuori i non allineati. Se questo sta bene a tutti, mi chiedo se sono ancora nel posto giusto”. Una settimana dopo Pizzarotti ha rotto gli indugi dichiarando l'uscita dal M5S, attaccando Di Maio e i “cattivi consiglieri” di Grillo. Il piano che gli viene accreditato è quello di costruirsi una sua lista civica per presentarsi alle comunali, aggregando altri dissidenti del M5S, anche a livello nazionale.
Certo è che con il proclama di Palermo Grillo ha gettato la maschera, buttando alle ortiche in un colpo solo tutti i suoi slogan demagogici su “l'uno vale uno”, sulla “democrazia diretta” esercitata tramite la rete, sul movimento “nuovo” senza capi né leader, e così via. E non è nemmeno detto che riprendendone in mano la dittatura totale il beniamino di forze borghesi di destra e di “sinistra” riesca a domare le faide e la guerre intestine tra lobby e correnti che ormai dilagano sempre più nel movimento da lui fondato con Casaleggio, ora che ha cominciato a entrare con tutti e due i piedi nelle stanze dove si esercita il potere e si amministrano ingenti fondi pubblici.
5 ottobre 2016