In rivolta gli studenti sudafricani contro il caro tasse
L'annuncio del 19 settembre da parte del ministro per l’Higher Education and Training, Blade Nzimande, che autorizzava gli atenei ad aumentare le tasse universitarie fino all’8% nel 2017 scatenava la rivolta degli studenti sudafricani che in molte delle 19 sedi universitarie del paese bloccavano le lezioni, tenevano assemblee, bloccavano l'ingresso alle facoltà e si scontravano con la polizia inviata dal governo a “ripristinare l'ordine”. Fin dall'inizio della protesta studentesca era apparso chiaro che sotto il tiro del movimento di lotta non c'era soltanto l'opposizione all'aumento delle tasse scolastiche ma soprattutto la richiesta esplicita di una decolonizzazione dell’istruzione superiore, un regime non ancora modificato dal governo dell'Anc (African national congress) nonostante l'apartheid sia formalmente finito nel 1994.
Fra i più attivi nella rivolta gli studenti della University of the Witwatersrand, nota come Wits, di Johannesburg, una delle facoltà capofila delle lotte contro dell’apartheid a partire dagli anni ’80 che con argomenti non tanto dissimili denuncia la politica dell'attuale governo del presidente Jacob Zuma e dell’Anc.
La mobilitazione studentesca partita dalla Wits coinvolgeva in un batter di ciglia altre 4 università tra cui la Uct di Cape Town, l’University of Pretoria, l’University of the Free State e la Nelson Mandela Metropolitan University.
Il 20 settembre il governo mandava la polizia a sfondare il presidio studentesco davanti la Wits e gli studenti rispondevano con lanci di sassi alle granate assordanti usate dagli agenti e dalle forze di sicurezza dell’ateneo. Solo dopo duri scontri e alcune decine di arresti gli agenti riprendevano il controllo della facoltà che presidiavano in forze. La polizia usava i proiettili di gomma per disperdere una marcia di protesta che gli studenti aveva organizzato nel centro di Johannesburg.
L’ondata di proteste era stata innescata dall’annuncio del ministro Blade Nzimande sull'autorizzazione concessa agli atenei di aumentare le tasse universitarie fino all’8% nel 2017, un aumento consistente e superiore persino al livello di inflazione attualmente al 6%. Il provvedimento era mitigato nelle intenzioni del governo dal contemporaneo allargamento delle fasce di esonoero per gli studenti di famiglie povere.
Le università sudafricane hanno tre fonti di reddito principali: i sussidi governativi, le tasse universitarie e i finanziamenti privati. Negli ultimi dieci anni il sussidio statale è diminuito dal 49% al 40%, una diminuzione pagata sostanzialmente dall'equivalente aumento delle tasse pagate dagli studenti che è passato dal 24% al 31%.
Nelle assemblee convocate subito dopo la comunicazione del ministro la massiccia partecipazione degli studenti spingeva per forti manifestazioni di protesta a partire dalla chiusura delle università e dal blocco delle lezioni a sostegno della richiesta dell'annullamento dell'aumento delle tasse.
Già nel 2015 gli studenti sudafricani avevano protestato contro la decisione del governo di aumentare le tasse universitarie dell’11% ed erano riusciti a ottenere il congelamento degli aumenti. Anche allora le proteste erano partite dalla Wits di Johannesburg e in poco tempo si erano diffuse in diverse altre università di Pretoria, Durban, Port Elizabeth, Potchefstroom e Grahamstown. A fronte della protesta universitaria il presidente Zuma ritirava la legge. E il ministro per l'istruzione superiore Blade Nzimande si richiamava proprio a quel congelamento imposto dalla lotta degli studenti per sostenere che il mancato introito per l’anno accademico 2015/2016 avrebbe lasciato molti atenei sull’orlo del collasso finanziario. E il governo per non aumentare la sua quota di contributi ha cercato di scaricare l'onere solo sugli studenti.
Studenti che in buona parte sono quelli della generazione dei “nati liberi”, dei nati nel 1994 o successivamente, che non hanno vissuto sotto il regime della dominazione bianca e del sistema dell’apartheid che però si ritrovano a subire laddove i governi di Nelson Mandela e di Jacob Zuma non hanno colpevolmente cambiato.
Le assemblee studentesche hanno denunciato che non si trattava quindi solo di una questione economica, del rifiuto dell'aumento delle tasse, ma di una “free and decolonial high education”, (una libera e decolonizzata educazione superiore); una educazione ancora in mano a una classe docente soprattutto bianca e attuata con
programmi di studi non ancora pienamente rappresentativi della maggioranza nera.
La rivolta studentesca di metà settembre aveva avuto un prologo significativo a fine agosto quando le studentesse di una scuola superiore femminile di Pretoria avevano manifestato contro le “politiche razziste” dell’istituto che vietavano alle ragazze nere di tenere i capelli al naturale e di esprimersi nella loro lingua nativa; le ragazze denunciavano di essere state invitate a lisciarsi i capelli e a evitare pettinature afro. L'appoggio alla loro lotta rimbalzava sui social media e l’hashtag #StopRacismAtPretoriaGirlsHigh e una petizione online contro le politiche discriminatorie della scuola raccoglievano in poco tempo quasi 30 mila firme.
5 ottobre 2016