A beneficiarne saranno le banche, le assicurazioni e la previdenza privata
L'accordo governo-sindacati sulle pensioni non intacca i capisaldi della legge Fornero
Per chi vuole andare in pensione prima taglio del 20-25%. Salvo casi limite, nessuna concessione ai lavoratori precoci
Governo e sindacati si seggono intorno allo stesso tavolo ma i risultati non cambiano per i lavoratori e i pensionati. Nonostante da parte del Ministro del Lavoro Poletti, supportato da una propaganda di regime pressoché unanime, si sbandierino ai quattro venti nuovi interventi a favore dei pensionati i provvedimenti annunciati andranno in certi casi a peggiorare le attuali norme. Come aveva anticipato a maggio durante il primo incontro con i sindacati, il governo metterà sul piatto sei miliardi di euro in tre anni, ma solo 1,5 per il 2017, cifra che andrà a coprire l'Ape (anticipo pensionistico) e finanziare la cosiddetta “quattordicesima” il bonus sulle pensioni a basso reddito erogato nel mese di luglio.
Se andiamo nel dettaglio vediamo come le stesse proposte siano spesso delle semplici enunciazioni, prive di precise misure finanziarie. Tra le poche misure date per sicure nella prossima manovra economica c'è l’innalzamento della cosiddetta no tax area, l'esenzione oggi prevista per i pensionati con un reddito inferiore a 7.750 oppure 8mila euro l’anno a seconda dell'età; sarà equiparata a quella prevista per i lavoratori dipendenti, vale a dire 8.125 euro lordi l’anno. Veramente poco rispetto alle continue esenzioni di cui godono i capitalisti, come ad esempio quelle concesse alle assunzioni attraverso il Jobs Act.
Grande enfasi è stata data alla quattordicesima, con la promessa di estenderla a chi percepisce un assegno inferiore ai mille euro e aumentandola del 30%; vane promesse che cozzano con le esigue risorse messe a disposizione. Ciò comporterebbe un'estensione della platea di 1 milione e duecentomila unità e facendo i conti l'aumento non arriverebbe nemmeno agli 80 euro promessi da tempo ai pensionati. Su questo tema si continua a colpi di bonus (spesso solo sulla carta) rifiutando però ogni richiesta di perequazione (adeguamento) automatica delle pensioni al costo della vita. Promettere dei bonus temporanei è un'arma usata spesso da Renzi in funzione elettorale per attirare voti. In questo caso è palese il tentativo d'indirizzare i pensionati più poveri a sostenere il SI al referendum del 4 dicembre sulla controriforma costituzionale piduista.
Infine veniamo all'Ape e alla possibilità di andare in pensione prima degli attuali 67 anni, la questione più spinosa e posta dal governo usando termini propagandistici perché definire “anticipato” l'assegno dopo aver superato abbondantemente i 60 anni è veramente scandaloso. Esistono tre tipi di Ape: quella aziendale, quella volontaria e quella gratuita (social). La prima è una forma riservata ai lavoratori coinvolti in processi di crisi aziendale, per cui è prevista una quota a carico dell'azienda che si appresta a licenziare, il 40%. In pratica si tratta dell'Ape che sostituirà la Mobilità, abolita dal 1° gennaio 2017 e che spesso veniva usata per “accompagnare” il lavoratore alla pensione in caso di chiusura o ristrutturazione. Alla fine una perdita per i lavoratori, perché l'Ape aziendale è riservata a chi è prossimo alla pensione mentre la mobilità copriva tutti.
Poi c'è l'Ape volontaria per cui il lavoratore dovrà pagare di tasca propria la possibilità di ritirarsi fino a tre anni prima dei 67 anni e 7 mesi previsti. Si tratta in sostanza di un mutuo “anticipato” dalle banche, poi l'ex lavoratore lo dovrà restituire in rate mensili per 20 anni con gli interessi, si parla del 3,5%. La metà della futura rata andrà a ripagare banche e assicurazioni, per loro questo “mutuo sulla pensione” si presenta come un vero affare, senza rischi per le banche perché possono facilmente rimediare rivalendosi sull'assegno da erogare e per le assicurazioni poiché Il rischio che il pensionato non sopravviva abbastanza a lungo per rimborsare tutto il debito contratto richiederà il loro intervento.
Tutto questo comporterà un vero e proprio salasso sulla pensione come dimostrano le prime simulazioni, come quella di Progetica apparsa sul quotidiano “La Repubblica”, riferita ai nati nel 1952, '53 e '54, negli anni interessati. L'assegno esce già decurtato negli anni di anticipo, dai 51 euro in meno mensili dei nati nel '52 ai -163 dei nati nel '54. La vera stangata si abbatte poi sul pensionato al raggiungimento dei 67 anni e 7 mesi per l'attivazione della rata del mutuo: chi va in anticipo di un anno perde quasi duecento euro, chi va due anni prima perde 369 euro mentre i nati nel '54 quasi 500 euro, per sempre. Calcolando la speranza media di vita il pensionato che usufruirà di questa opzione perderà dai 25.505 ai 66.744 euro.
Condizioni molto restrittive per l'Ape social, quella senza penalizzazioni e riservata ai lavoratori precoci. Il tetto massimo economico dovrebbe essere fissato sotto i 1.500 euro lordi mentre per quello anagrafico si richiede di aver lavorato almeno un anno prima dei 19 anni ma il governo sembra intenzionato ad abbassarlo sotto i 17. L’Ape social rimane comunque riservata a coloro che sono disoccupati da tempo, ai soggetti inabili e invalidi, ai lavoratori con gravi problemi di salute o con una persona disabile all’interno del proprio nucleo familiare. Incertezza sull'inserimento nella platea dei soggetti che svolgono lavori faticosi a elevato rischio di infortuni. Per tutti gli altri, la maggioranza, rimangono le penalizzazioni: 2% fino a 60 anni, l'1% fino a 63, solo dopo spariranno perciò un lavoratore precoce che raggiunge i 43 anni di contributi (42 per le donne) a 59 anni perderà il 5% (2+1+1+1) finché vivrà.
Infine la novità della Rita (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata) che in sostanza permette di accedere in anticipo, vale a dire prima di aver maturato i requisiti per poter accedere al “normale” trattamento previdenziale, alla rendita maturata con i fondi previdenziali o al capitale ad essi connesso senza obbligo di trasformarlo in rendita. Una misura, ha detto il consigliere economico della Presidenza del Consiglio, Stefano Patriarca, con un preciso scopo “per rilanciare la previdenza integrativa...attraverso strumenti come Rita, che consente di far scegliere, a chi ha una previdenza integrativa, di non aspettare la pensione pubblica per avere una rendita, ma di avere una sorta di reddito ponte, prima di arrivare alla pensione, che consenta alle persone di uscire prima dal lavoro”.
Questa girandola di sigle, acronimi, termini anglofoni sicuramente disorienta i lavoratori ma una cosa è chiara, in questo verbale di accordo non c'è niente che torni a loro vantaggio mentre l'atteggiamento filogovernativo e le affermazioni di Cgil, Cisl e Uil sono inaccettabili. La Camusso, pur dichiarando che l'Ape continua a non piacere alla Cgil, afferma: “si è fatto un buon lavoro ma non è ancora concluso”. Barbagallo della Uil esulta perché “dopo tanti governi che hanno tolto stavolta il governo ha dato” e la Furlan della Cisl parla addirittura di “giustizia” per i pensionati.
Questo accordo è l'ennesimo colpo alla previdenza pubblica. Prevede nuove agevolazioni per la previdenza privata, nuovi sconti fiscali, trattenute ancora più basse che sul Tfr e per costringere i lavoratori a versare nei fondi s'inventa un nuovo strumento, la Rita, che permetterà a chi ha un fondo pensione di pescare denaro per uscire prima dal mondo del lavoro. Alla fine tutto ciò renderà inevitabile, anche per chi è contrario, aderire alla previdenza privata, gestita da enti bilaterali a cui partecipano Cgil, Cisl e Uil, per poter usufruire di sostegni economici venuti meno dalla cancellazione di quasi tutti i vecchi ammortizzatori sociali.
L'intesa governo-sindacati è da rigettare in toto perché non tocca minimamente i pilastri della “riforma” Fornero, come ha commentato compiaciuta la stessa ex ministro del governo Monti. Le iniziali richieste dei sindacati già di per sé insufficienti, 41 anni in pensione a prescindere dall'età e flessibilità in uscita, non sono state prese in considerazione per cui un lavoratore di 62 anni e 42 di contributi versati non ha il diritto di andare in pensione senza penalizzazioni mentre chi ci vuole andare prima di 67 anni si deve ridurre la pensione del 20-25% e ingrassare le banche e le assicurazioni, veramente vergognoso!
5 ottobre 2016