Tramite la penna dell'ex direttore Ezio Mauro
“La Repubblica”, leader dei media anticomunisti, vomita veleno su Stalin, il comunismo e l'Urss
A quanto pare l'ex direttore de “La Repubblica”, Ezio Mauro, mira a ereditare il ruolo dell'ultranovantenne Scalfari come alfiere dell'anticomunismo di matrice liberale in Italia. Infatti non si contano più i suoi interventi sul foglio leader dei media anticomunisti, per attaccare i grandi Maestri, il socialismo, l'URSS di Lenin e Stalin, la Cina di Mao, e così via.
Tanto per citarne alcuni di cui ci siamo già occupati su “Il Bolscevico”, quando ancora dirigeva il giornale del magnate De Benedetti, ricordiamo l'enorme spazio dato al 50° anniversario del XX Congresso del PCUS e ai commenti del fior fiore degli intellettuali rinnegati e trotzkisti, l'attacco alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria tramite la penna del rinnegato Federico Rampini, le calunnie contro Lenin in occasione dell'80° anniversario della sua morte, e più di recente il suo editoriale del novembre 2015 in cui inneggiava alla supremazia della “civiltà occidentale”, definita “ultimo universalismo dopo la morte delle ideologie”, per incitare di fatto i governi imperialisti a bombardare i “barbari” dell'IS che la vorrebbero distruggere.
Ultimamente ha impugnato di nuovo la sua penna velenosa per scrivere una recensione ad un libro autobiografico dell'ex questore revisionista di Budapest in carica al tempo della controrivoluzione anticomunista dell'ottobre 1956. Un ex colonnello della polizia, Sandor Kopacsi, condannato all'ergastolo come collaboratore del rinnegato capo della rivolta antisovietica, Imre Nagy, poi fatto liberare nel '63 da Krusciov ed emigrato in Canada.
“La Repubblica” del 19 settembre gli ha dedicato due intere pagine, con una grande foto della statua di Stalin abbattuta dai controrivoluzionari: “Il coraggio e la dignità del compagno Kopacsi nella Budapest calpestata dai sovietici”, recita il titolo del servizio che ospita il lungo articolo di Mauro. In cui l'ex direttore e adesso editorialista di rango del quotidiano principale sponsor di Renzi, nel ripercorrere gli eventi narrati dall'autore coglie l'occasione per sferrare un velenoso attacco a Stalin, all'URSS e al comunismo.
Il veleno anticomunista e antisovietico di Mauro trasuda da tutto l'articolo, a cominciare dalla descrizione compiaciuta dell'abbattimento della statua di Stalin, nel chiamare “rivoluzione” il colpo di stato reazionario clerical-borghese, foraggiato dall'imperialismo, nel definire “martire della rivoluzione” il rinnegato Nagy, nel chiamare “massacro criminale sovietico” l'intervento dell'Armata rossa per sventare la controrivoluzione e impedire che l'Ungheria traslocasse armi e bagagli nel campo imperialista, aprendo un corridoio per arrivare a minacciare l'URSS alle sue frontiere, e così via.
Ovviamente Mauro si sforza di accreditare l'autore come un sincero comunista ravvedutosi a causa della repressione sovietica della “rivoluzione ungherese”, una vittima travolta e tradita da coloro in cui credeva e che aveva servito fedelmente, insomma. Non curandosi però di notare la contraddizione stridente quando riferisce che è stato proprio Kopacsi a far scappare il reazionario e fascista primate d'Ungheria, il cardinale Josef Mindszenty, e aiutarlo a rifugiarsi nell'ambasciata americana.
All'aspirante erede dell'ex fascista e liberale, oggi baciapile Scalfari, che tanto ambisce a riscrivere in chiave inquisitoria e calunniosa la storia del movimento comunista internazionale, ad uso e consumo della borghesia di “sinistra”, e alle sue falsità sulla controrivoluzione ungherese e su Stalin, non si può rispondere meglio che con le parole di Mao: “I reazionari all'interno di un paese socialista, in connivenza con gli imperialisti
- spiegava nel discorso del 1957 'Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo' - approfittano delle contraddizioni in seno al popolo per fomentare discordie e creare disordini allo scopo di far trionfare il loro complotto. Questa lezione tratta dai fatti d'Ungheria merita la nostra attenzione”
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E sul XX Congresso del PCUS e su Stalin, Mao ha chiarito magistralmente: “Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l'altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L'hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l'Unione Sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l'Unione Sovietica. Il loro leader è Togliatti. Anche l'imperialismo ha raccolto questa spada per lanciarsi all'attacco, Dulles l'ha presa e se n'è servito per qualche manovra. Questa spada non è stata data in prestito, bensì gettata via. Noi in Cina non l'abbiamo gettata via. Noi in primo luogo abbiamo difeso Stalin e in secondo luogo abbiamo criticato i suoi errori, abbiamo scritto l'articolo Sull'esperienza storica della dittatura del proletariato. Non abbiamo fatto come certuni che hanno screditato e distrutto Stalin, abbiamo agito in base alla situazione reale”
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12 ottobre 2016