Usa e Russia rompono su Aleppo
Le due superpotenze imperialiste si disputano il controllo della Siria
L'11 ottobre le forze dello Stato islamico (IS) hanno lanciato un attacco nella regione di Aleppo, nella zona di Manbech, il villaggio che era finito sotto il controllo delle Forze della Siria democratica (Fsd), la coalizione curdo-araba, alla fine dello scorso agosto. Un episodio che conferma come le forze dell'IS non siano state sbaragliate ma siano ancora presenti in una zona nevralgica della Siria, quella regione di Aleppo che agli inizi di ottobre è diventata luogo principale della guerra tra l'esercito del regime del presidente Bashar al-Assad, appoggiato dall'aviazione russa, e le formazioni dell'opposizione create e appoggiate dall'imperialismo occidentale, americano prima di tutto.
Le forze governative l'11 ottobre hanno lanciato una nuova offensiva nel distretto meridionale di Aleppo contro le postazioni difese dall'opposizione, cui partecipavano formazioni del movimento libanese Hezbollah e irachene di Harakat al-Nujaba; col fondamentale supporto degli aerei russi che in poche ore erano protagonisti di una ventina di raid. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani ci sarebbero state almeno una decina di vittime civili che si aggiungono alle almeno 290 cadute sotto i colpi delle forze di Damasco e delle bombe russe dallo scorso 22 settembre, dal momento in cui è ripartito lil massiccio attacco contro la parte della città controllata dalle opposizioni. La battaglia per il controllo di Aleppo è uno snodo della contesa tra Usa e Russia che si disputano il controllo della Siria e non è un caso che abbia portato alla rottura tra le due superpotenze imperialiste.
La versione americana dell'interruzione del dialogo sulla Siria tra Washington e Mosca era illustrata il 4 ottobre dal segretario di Stato Usa John Kerry che spiegava l'impossibilità di portare a termine un negoziato sulla tregua a Aleppo, avviato da più di un mese, perché il governo di Assad e l'alleato russo avrebbero rallentato volutamente le trattative e operato per ottenere vantaggi sul campo di battaglia tali da mettere gli avversari di fronte al fatto compiuto. Kerry insisteva nel denunciare che il mancato cessate il fuoco in Siria rallentava la creazione di un task force comune contro lo Stato islamico, il bersaglio comune.
Secondo Mosca erano invece gli Usa a volere a tutti i costi spodestare il presidente Assad e a sostenere allo scopo una serie di forze di opposizione ma anche di formazioni di “terroristi”, vedi i gruppi legati a al Qaeda. La tregua sarà possibile solo se “i gruppi armati (dell'opposizione, ndr) consegnano le armi”, altrimenti la guerra a Aleppo andrà avanti, rispondevano da Damasco e da Mosca alle richieste di Washington.
Della contesa ne fa le spese il popolo siriano, a partire dalla popolazione di Aleppo con gli aerei russi che continuano a scaricare bombe sulle case, sulle strutture sanitarie e financo sui convogli umanitari; bersagli che non possono certo essere identificati come basi di “terroristi”. D'altra parte non è che l'aviazione americana e degli altri paesi imperialisti sia da meno nel colpire bersagli civili in Siria, Iraq e prima ancora in Afghanistan.
La rottura con Mosca, spiegava Kerry, era l'unica via di uscita da una situazione di stallo e sottolineava che “non abbiamo abbandonato il popolo siriano, non abbiamo rinunciato a provare di raggiungere la pace. Restiamo impegnati per una Siria pacifica, unita, e non settaria attraverso una soluzione diplomatica. Non lasceremo il campo multilaterale e continueremo a cercare il modo per porre fine a questa guerra". Detto in altre parole, l'imperialismo americano non si tira certo indietro e mantiene l'obiettivo di mettere la mani sulla Siria, o perlomeno su una parte di essa.
Da Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov dichiarava che i vertici militari russi avrebbero continuato l'offensiva militare sui vari fronti siriani e che "continueranno a mantenere i contatti" con i colleghi americani "al fine di evitare incidenti pericolosi durante le attività in Siria". Nel frattempo il ministero della Difesa russo confermava le notizie rilanciate dai media americani sull'arrivo in Siria dei sistemi antimissilistici e antiaerei S-300; questi sistemi sono necessari “allo scopo di difendere la base navale russa di Tartus”, la città siriana sul Mediterraneo, ribadivano da Mosca confermando l'intenzione del nuovo zar del Cremlino Vladimir Putin di difendere il regime di Assad per mantenere ben saldi sotto il suo controllo le stretegiche basi russe in territorio siriano.
12 ottobre 2016