La protesta dei pescatori sardi blocca le esercitazioni Nato
La Sardegna è la regione più militarizzata d'Italia, una delle più militarizzate dell'intera Europa: sono infatti oltre 35.000 gli ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare, l'Isola ospita strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato come i poligoni di Perdasdefogu, di Capo Frasca e di Capo Teulada, l'aeroporto di Decimomannu, oltre ad altre centinaia tra installazioni militari, centri radar e depositi di carburanti.
Non deve perciò stupire se proprio in Sardegna si sono svolte tra agosto e settembre esercitazioni aeree nella Sardegna sudoccidentale, precisamente nell'area ad alta densità turistica di Carloforte, con velivoli che sfrecciavano a 50 metri sul livello del mare e a velocità superiori ai 700 chilometri all'ora, una vera e propria follia avvenuta nel mezzo della stagione estiva, che rischia di allontanare i turisti da una terra, la Sardegna, che al contrario ha disperato bisogno di lavoro.
Per questo all'esasperazione dei turisti e degli operatori economici di questo settore si è aggiunta la durissima protesta dei pescatori sardi, anche essi pesantemente penalizzati nello svolgimento della loro attività, che per molti giorni hanno manifestato al largo di Capo Frasca, il promontorio che delimita a sud il Golfo di Oristano, per protestare contro le esercitazioni militari.
A Capo Frasca infatti c'è un'importante base della Nato, una delle tante che punteggiano le coste della Sardegna.
Lo scorso 4 ottobre oltre cento pescherecci, guardati a vista dalle motovedette delle forze dell’ordine e della capitaneria di porto, hanno preso il largo per protestare compatti contro gli aerei Nato che sganciano bombe nel mare di Capo Frasca, provocando ingenti danni economici dovuti sia all'uccisione indiscriminata di pesci sia all'interdizione alla pesca in molte aree: i pescatori hanno cercato di forzare l’area interdetta alla navigazione civile proprio nel giorno della ripresa delle esercitazioni militari, dopo alcuni giorni di pausa.
La prima conseguenza è stata quella di bloccare le esercitazioni militari: gli aerei si sono infatti levati in volo, ma i piloti hanno ricevuto ordine di non sganciare gli ordigni in mare, mentre la guardia costiera ha impedito comunque alle imbarcazioni di aprirsi un varco e di arrivare nell'area marittima segnata nella carte come 'zona rossa' interdetta alla navigazione civile, e quindi anche alla pesca.
Il territorio e il mare di Capo Frasca, dove c'è una delle più importanti basi militari d'Europa, sono zona militare da più di 40 anni e sono strettamente collegati all’aeroporto di Decimomannu, dal quale partono aerei supersonici dei Paesi della Nato che poi simulano azioni di guerra con lancio di missili e ordigni, tiro a fuoco aria-terra e mare-terra.
Mentre i pescherecci protestavano in mare, anche sulla terraferma si protestava duramente: almeno quattrocento persone, con sindaci e amministratori di otto paesi costieri della provincia di Oristano, sono partiti in corteo dal piccolo paese di Marceddì - che si trova sul grande stagno di Cabras, uno degli epicentri della rivolta popolare contro le esercitazioni - e hanno raggiunto l’ingresso della base di Capo Frasca per un sit in che si è svolto senza incidenti.
La protesta dei pescatori è poi continuata al largo di Capo Frasca nei giorni successivi con l'obiettivo di indurre il governo italiano a revocare definitivamente le esercitazioni militari previste, perché gli animi dei lavoratori sono ormai esasperati: “Sino ad oggi abbiamo garantito che nessuno facesse colpi di testa
- spiega all'ANSA Gabriele Chessa di Legacoop - ma in assenza di risposte dalla Difesa gli animi si stanno esacerbando e non siamo più in grado di garantire niente
”.
12 ottobre 2016