Una manovra da 27 miliardi
20 miliardi e meno tasse alle imprese. Briciole elettorali per le pensioni, i contratti, i poveri e le famiglie
Tagli per 1,2 miliardi alla sanità, 3,3 miliardi dalla revisione della spesa e 2,5 miliardi dai ministeri. Beffati i lavoratori di mestieri pesanti che vogliono andare in pensione anticipata. Nemmeno un euro per il Mezzogiorno. Condono agli esportatori di capitali e ai riciclatori di denaro sporco. I conti truccati di Renzi tollerati per ora da Bruxelles per non indebolirlo politicamente
CHE TUTTI I SINDACATI PROCLAMINO LO SCIOPERO GENERALE PER BOCCIARE LA MANOVRA PADRONALE
Il 15 ottobre, affiancato dal ministro dell'Economia Padoan, Renzi ha illustrato in conferenza stampa i contenuti della manovra finanziaria per il 2017 appena approvata dal Consiglio dei ministri. Una manovra da 27 miliardi di euro presentata però senza un testo scritto, tutt'ora assente, né accompagnata dalle necessarie tabelle, ma spiegata a braccio e con linguaggio da bar sport servendosi delle solite slide propagandistiche, intitolate “#Passodopopasso” e aperte dallo slogan ad effetto “Una chance a chi ci prova, una mano a chi non ce la fa”.
E una mancia a chi vota sì, aggiungiamo noi, visto che a detta di molti questa legge di Bilancio (la ex legge di Stabilità) è sfacciatamente pensata per vincere il referendum costituzionale del 4 dicembre, grazie a sgravi fiscali miliardari per le imprese, a ben due condoni fiscali mascherati per strizzare l'occhio all'elettorato di “centro-destra”, e con una sfilza di elemosine e bonus vari per captare il consenso di più larghi strati di elettori: dai cattolici ai pensionati, dagli agricoltori alle piccole partite Iva, dagli studenti ai poliziotti, e così via.
A questo infatti mirano chiaramente provvedimenti come i 100 milioni in più alle scuole “paritarie”, il bonus di 1000 euro per l'accesso agli asili nido, anche privati e senza tener conto del reddito familiare, e il bonus di 800 euro “mamma domani” che si aggiunge al rinnovato “bonus bebé”. Come anche il rinnovato “bonus cultura giovani” da 500 euro per i nuovi diciottenni, i bonus per i “giovani talenti” da scoprire nei licei. E poi la 14ª mensilità alle pensioni minime e l'aumento ai pensionati sotto i mille euro che ce l'hanno già, la cancellazione dell'Irpef agli agricoltori (con cui Renzi paga il pegno alla Coldiretti per averlo aiutato a raccogliere le firme per il referendum) e l'imposta fissa del 24% per artigiani e commercianti. A cui aggiungere l'assunzione di poliziotti e carabinieri e la stabilizzazione di alcune migliaia di precari nella pubblica amministrazione (Pa), peraltro del tutto insufficienti a coprire la spaventosa carenza di organici. Mentre per il Mezzogiorno anche stavolta non c'è nemmeno un euro, salvo vaghe ipotesi di destinare sgravi fiscali ad hoc per chi assume al Sud.
Gli “elementi centrali” della manovra
Ben più corposi sono invece gli sgravi fiscali concessi alle imprese, 20 miliardi in tre anni si è vantato Renzi. E questo grazie ai superammortamenti del 140 e del 250%, alla riduzione dell'Ires al 24% e alla detassazione dei premi di produzione aziendali, con cui si vogliono rimpiazzare i contratti collettivi; a cui si aggiungono altri sostanziosi sgravi per le imprese che assumono stagisti, contributi pari a quelli del Jobs act ma interi per tutti e tre gli anni. Così che Confindustria, che col suo presidente Boccia ha applaudito entusiasticamente la manovra, è stata ben ricompensata per essersi schierata nettamente e da tempo a fianco del nuovo duce per il sì al referendum. Non a caso Padoan ha tenuto a sottolineare che “sostegno agli investimenti privati, abbattimento delle tasse alle imprese, sostegno al salario di produttività, sono gli elementi centrali della manovra”.
Chiaramente demagogico ed elettoralistico è anche l'annuncio di Renzi dell'abolizione di Equitalia (del resto già promessa da un anno, e che comunque sarà incorporata nell'Agenzia delle entrate) e della “rottamazione” delle cartelle esattoriali. Si tratta in realtà dell'ennesimo condono fiscale mascherato per fare cassa, come anche quello della riapertura della voluntary disclosure
, ovvero il rientro dei capitali illegalmente esportati pagando solo le tasse dovute (salvo quelle già cadute in prescrizione) o le eventuali tasse di successione: un premio agli evasori e ai riciclatori della criminalità organizzata, specie se come sembra il condono sarà esteso anche al contante nascosto in Italia, stimato in alcune centinaia di miliardi, tra i quali ci sono anche quelli provenienti dal lavoro nero e dalle attività criminali.
Ora è chiaro perché il nuovo duce ha voluto a tutti i costi rimandare il referendum a dopo la manovra? E comunque a pagare tutto questo saranno le masse e soltanto le masse, attraverso tagli alla spesa pubblica già dichiarati, come i 3,3 miliardi della spending review
, gli 1,2 miliardi di “risparmi” nella spesa sanitaria, i tagli alla spesa dei ministeri per altri 2,5 miliardi e da altre non ancora precisate “entrate” che sono ancora allo studio. Anche in attesa di sapere se la Commissione europea approverà o meno lo sforamento del rapporto deficit/Pil al 2,3% che Renzi e Padoan hanno preso arbitrariamente a base della manovra per avere un margine di “flessibilità” di diversi miliardi per coprire le molte uscite anche elettoralistiche e i 15,1 miliardi di aumento dell'Iva della clausola di salvaguardia che altrimenti scatterebbe nel 2017.
L'obbligata complicità di Bruxelles
La manovra è quindi largamente finanziata in deficit, tra l'altro superiore di uno 0,1% (pari a 2 miliardi) a quello già concesso in deroga dalla Ue lo scorso aprile all'1,8%, poi portato al 2% nel Documento di economia e finanza (Def) e tirato fino al 2,2% dopo un'estenuante trattativa con Bruxelles. Inoltre il governo ha basato i conti su un ottimistico aumento del Pil dell'1% nel 2017, quando l'Ocse prevedeva al massimo uno 0,8% e l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), si era rifiutato di validare (caso mai accaduto prima), prevedendo invece un più modesto 0,6%.
Di fronte a questi conti palesemente truccati le occhiute autorità di Bruxelles hanno storto la bocca, e teoricamente potrebbero bocciare la manovra già a fine mese, mettendo il governo italiano in grande difficoltà. Ma proprio per questo, per non indebolire Renzi in vista del referendum, faranno in modo da rinviare il più possibile il giudizio, possibilmente a dopo il 4 dicembre. Non a caso il commissario europeo per gli Affari monetari, Pierre Moscovici (socialista), ha rassicurato Renzi che nonostante il disaccordo sui numeri della manovra si augura che vinca il referendum, perché una sua sconfitta “aprirebbe un periodo di incertezza e pericolo per l'Italia”.
Renzi si fa forte di questa obbligata complicità di Bruxelles per gonfiarsi il petto e recitare la parte del “ribelle” alla ottusa politica di austerità europea, e non a caso si è presentato in conferenza stampa avendo alle sue spalle ben 8 bandiere tricolore e solo 4 europee. Ma il bluff potrà durare al massimo fino al 4 dicembre, dopodiché se perde dovrebbe andare a casa, e se vince il referendum potrà sempre riaggiustare i conti della manovra per rientrare nei ranghi imposti dalla Ue: ridimensionando molte voci di spesa e/o inventandosi nuovi tagli e balzelli da inserire in manovre correttive per il nuovo anno.
Ecco in sintesi alcune delle più significative misure della manovra per il 2017:
Le uscite
Imprese
Alle imprese, all'insegna dello slogan renziano “Industria 4.0”, vanno 20 miliardi in tre anni per la “competitività”, considerando anche il taglio dell'Ires, di cui 2,5 per il 2017. L'Ires è stata ridotta dal 27,5% al 24%, una riduzione già promessa da Renzi e che era già stata iscritta a bilancio dalle imprese. Per le partite Iva individuali c'è la possibilità di pagare una tassa unica del 24% (Iri) al posto dell'Irpef, ma occorre optare per il regime di contabilità ordinaria. Abolita anche l'Irpef agricola per 1,2 miliardi in due anni. É stato poi rinnovato il superammortamento del 140% sui beni strumentali, a cui si aggiunge un iperammortamento del 250% (!) sui beni strumentali e il software destinati all'aggiornamento tecnologico dell'impresa. E c'è anche 1 miliardo dai fondi della presidenza del Consiglio al fondo di garanzia per le Pmi.
Nell'ottica di privilegiare la contrattazione aziendale rispetto a quella collettiva, viene incrementata la detassazione dei premi di produttività con l'aumento della soglia a 4 mila euro di premio e fino a 80 mila euro di reddito, così da includere anche dirigenti e manager. Si tratta di 1,3 miliardi nel periodo 2017-20 spostati dai contratti collettivi e che comprendono anche il sostegno al “welfare aziendale”, ossia privato. Ci sono poi 100 milioni per la ristrutturazione del settore bancario (contratti di solidarietà, prepensionamenti ecc.), e 50 milioni per chi assume stagisti entro sei mesi dal diploma o dalla laurea, con decontribuzione di 8.060 euro per tre anni.
A questo riguardo c'è da considerare che la decontribuzione per il Jobs act ha “funzionato” solo per il primo anno finché era piena, poi quando quest'anno è stata ridotta si è fermata anche la poca occupazione indotta e sono invece aumentati a dismisura i voucher, già a quota 84 milioni quest'anno, un record storico. In compenso l'Inps certifica un aumento del 31% dei licenziamenti (+ 10 mila negli ultimi 12 mesi) grazie all'abolizione dell'articolo 18 approvata insieme al Jobs act. Susanna Camusso ha criticato le tante elargizioni non vincolate alle imprese, denunciando che gli imprenditori usano i superammortamenti “per rifarsi la macchina” invece di creare nuovi posti di lavoro.
Pensioni
Renzi e Padoan decantano 7 miliardi alle pensioni, uno più del previsto, ma sono distribuiti in tre anni, e solo 1,8 nel 2017, mentre il grosso di 2,6 miliardi è rimandato al 2019. Serviranno per dare la 14ª mensilità ai pensionati minimi che non ce l'hanno, e aumentare quella dei pensionati sotto i mille euro che ce l'hanno già, in proporzione ai versamenti effettuati, e per finanziare i pensionamenti anticipati (Ape). Nonché per aumentare la no tax area ai pensionati equiparandola a quella per i lavoratori dipendenti.
Sull'”Ape sociale” il governo aveva promesso ai sindacati che i disoccupati senza ammortizzatori, i lavoratori in gravi condizioni di salute e con parenti di primo grado conviventi con disabilità grave, potevano andare in pensione anticipata con 20 anni di contributi. Invece ne serviranno 30. E ne serviranno ben 36 per chi fa lavori particolarmente gravosi (infermieri di sala operatoria, edili, maestre d'infanzia, macchinisti e autisti di mezzi pesanti).
36 anni di contributi serviranno anche ai lavoratori che facevano lavori pesanti per andare in pensione con l'Ape ordinaria senza oneri fino a tre anni e sette mesi prima e 1.500 euro lordi di pensione. In pratica si torna alla vecchia quota 99 (63 anni di età e 36 di contributi). La Camusso ha dichiarato che “Il governo Renzi si rimangia la parola, dimostrandosi inattendibile. Ha aggiunto dei criteri per escludere le persone dalla pensione anticipata”. E ha aggiunto che le più penalizzate saranno le donne e il Mezzogiorno. Padoan ha replicato stizzito: “Non torniamo indietro, e ci mettiamo un miliardo in più” (nel 2019, ndr)
Sanità
Renzi gabella di non aver tagliato la sanità, ma anzi di aver dato 2 miliardi in più di quest'anno, portando da 111 a 113 miliardi il Fondo sanitario nazionale: “Un caloroso abbraccio a chi parlava di tagli”, ha ironizzato. Ma in realtà l'aumento non recupera che in parte quello già previsto e concordato con le Regioni che assegnava 115 miliardi già nel 2016. Rispetto a quanto promesso dal pur punitivo “Patto della salute” siamo quindi ancora sotto a dir poco di 2 miliardi.
Inoltre uno dei 2 miliardi è vincolato alla stabilizzazione di 3 mila medici e 4 mila infermieri precari, all'assunzione di altro personale e all'acquisto di vaccini e farmaci anticancro, in pratica un atto dovuto. E infine ci sono altri 1,2 miliardi che verranno tagliati dalla “razionalizzazione” della spesa sanitaria in beni e servizi (anche se Renzi giura che questi soldi verranno reinvestiti nel settore): per cui alla fine del giro dove sta l'aumento decantato da Renzi?
Pubblico impiego
Ci sono 1,9 miliardi in tre anni destinati al rinnovo dei contratti nella pa, per la riorganizzazione del comparto forze armate e all'assunzione di forze di polizia e stabilizzazione dei precari. Ma a conti fatti per il rinnovo dei contratti degli statali, bloccati da 7 anni, ci sono solo 600 milioni, il resto è destinato alla stabilizzazione di precari, nuove assunzioni per coprire carenze croniche di personale in settori cruciali della pa come i tribunali, e al personale di forze armate, polizia e carabinieri. Al convegno dell'Anci a Bari Renzi aveva annunciato 10 mila stabilizzazioni, ma la Uil calcola che ci siano almeno 80 mila precari da stabilizzare.
Quanto agli statali la perdita media calcolata per il mancato rinnovo del contratto dal 2009 è del 10% del potere d'acquisto, 10 mila euro di reddito in tutto. Renzi offre 600 milioni, che si aggiungono ai 300 milioni messi in bilancio lo scorso anno. (8 euro al mese a testa). In totale sarebbero 900 milioni in tre anni (2016-18), equivalenti a una trentina di euro a testa.
Tra l'altro il rinnovo lo impone una sentenza della Consulta a partire dal 30 luglio 2015. E solo per recuperare il potere d'acquisto perso da quella data ad oggi occorrerebbero 1,2 miliardi, mentre il governo offre 900 milioni diluiti in tre anni! Non stupisce che Cgil, Cisl e Uil dichiarino di sentirsi presi in giro e annuncino una mobilitazione generale del settore. Salvo poi vedere se terranno duro su tanta indignazione.
Scuola e Università
Stanziati 800 milioni “per il sostegno agli studenti, al diritto allo studio e il rafforzamento della Buona scuola”, dice il comunicato di Palazzo Chigi. Tra cui ci sono l'abolizione delle tasse universitarie per i redditi Isee sotto i 25 mila euro, 400 borse di studio per i più meritevoli e finanziamenti ai “giovani talenti” da scoprire nei licei (renzianamente detto “Student act”). Ma soprattutto 100 milioni aggiuntivi alle scuole “paritarie” non statali, ovvero le scuole cattoliche, le private per ricchi e i “diplomifici” a pagamento. Annunciando il bel regalo alla chiesa, anche pensando al referendum, Renzi ha messo le mani avanti auspicando “che non vi siano polemiche ideologiche”, perché queste scuole “fanno un servizio”. Il vice della ministra Giovannini, Gabriele Toccafondi, ha esultato dichiarando che “le famiglie da oggi avranno più libertà di scelta educativa e 13 mila scuole (private, ndr) e 120 mila insegnanti e maestri più certezze”.
Spesa sociale e altre mance varie
Fitta la lista dei bonus elettorali in questa finanziaria: prorogato anche per il 2017 il bonus di 500 euro ai diciottenni “per la cultura”. 2,1 miliardi in tre anni per il recupero delle periferie. 600 milioni di bonus alle famiglie con due o più figli. 50 milioni per il fondo per i non autosufficienti. 500 milioni in più per la lotta alla povertà, ma dal 2018. Poi ci sono i 1000 euro l'anno per gli asili nido, anche privati, ai bambini da zero a tre anni e il bonus “mamma domani”, un premio di maternità di 800 euro una tantum per le prime spese e la diagnostica. E naturalmente la riduzione del canone Rai di altri 10 euro anche quest'anno.
Tante briciole elettorali che piovono qua e là mentre arriva l'annuncio della Caritas che la povertà è aumentata in Italia nell'ultimo anno e gli indigenti sono saliti a 4,6 milioni, con un aumento di 500 mila unità. E i più colpiti sono i giovani e il Mezzogiorno.
Le entrate (ovvero “da dove prendiamo i soldi”, dicono le slide di Renzi)
Condoni fiscali
L'abolizione di Equitalia (con decreto approvato “salvo intese” e ancora da presentare in parlamento), era già stato annunciato un anno fa. Sarà assorbita dall'Agenzia delle entrate, che si avvale comunque di altre 92 società per la riscossione. Per tutto il 2017 le cartelle potranno essere “rottamate” dal 50% al 65%. Si pagheranno solo i tributi e le multe dovute, più gli interessi di legge ma escluse sanzioni e more. Inoltre si potranno rateizzare fino a 36 mesi. Da questo provvedimento il governo si aspetta di ricavare 4 miliardi.
Da notare che le tasse da incassare hanno raggiunto tra il 2000 e il 2014 la cifra mostruosa di 1.058 miliardi. Di questi Equitalia considera effettivamente riscuotibili appena 51 miliardi (il 5%). E di questi il governo punta a prenderne subito 4 con questo vero e proprio condono. Fermi restando la fama vessatoria di Equitalia e il giusto sollievo per i piccoli evasori per necessità, questo provvedimento manda perciò ancora una volta un messaggio inequivocabile per i grandi e medi evasori beccati dal fisco: è sempre meglio non pagare, tanto prima o poi in Italia un condono arriva sempre.
Specie in un Paese dove secondo l'Istat nel 2014 l'evasione di fisco e previdenza ha raggiunto 211 miliardi, il 13% del Pil. E dove la Corte dei conti certifica che nell'ultimo anno sono perfino calati i controlli ed è sceso il ricavo medio degli accertamenti, ridottosi ad appena 1.550 euro. Nel 2015 la lotta all'evasione avrebbe fruttato infatti solo 7,7 miliardi, la metà dei 15 strombazzati invece dal premier.
E come qualificare poi la riapertura della Voluntary disclosure
per il rientro dei capitali illegalmente portati all'estero pagando solo una tassa forfetaria ridotta? La volta scorsa doveva essere la prima e l'ultima, secondo Renzi. Che si aspetta di ricavarne invece altri 2 miliardi, la metà del 2015, quando rientrarono 60 miliardi, tassati con un'aliquota media del 5% (inferiore allo scudo fiscale di Tremonti del 6%).
Ma poiché sarà difficile trovare altri 30 miliardi di imponibile si parla di estendere il condono anche ai soldi in contanti nascosti nelle cassette di sicurezza delle banche e nelle casseforti domestiche in Italia, da tassare fino ad un'aliquota massima del 35%. Ovviamente le mafie già si fregano le mani per la ghiotta opportunità di lavare legalmente il denaro sporco proveniente dalle attività criminali. Sicuramente voteranno e faranno votare sì al referendum.
Tagli alla spesa pubblica
Secondo gli incerti e fumosi conti presentati dal governo, dal lato entrate 3,3 miliardi verranno dalla spending review
sulle forniture di beni e servizi agli enti pubblici, altri 1,2 miliardi dai “risparmi” nella sanità (“che diventano servizi per i cittadini”, assicura Renzi), e 1,6 miliardi saranno trovati con la “riorganizzazione dei fondi del 2016”. Da Voluntary disclosure
e dall'abolizione di Equitalia verrebbero altri 6 miliardi, per un totale di 12 miliardi.
E da dove Renzi prende i soldi che mancano per arrivare a 27 miliardi, cioè in pratica i 15 miliardi dell'Iva sterilizzata anche per il 2017, e già destinata a diventare 20 miliardi nel 2018? Tutti dalla flessibilità concessa dalla Ue? No perché si tratta al massimo di 8 miliardi, sempre che la Ue accetti il deficit al 2,3% adottato unilateralmente da Renzi. Dall'aumento della lotta all'evasione? Improbabile, visto che si è addirittura allentata nell'ultimo anno, e del resto si mandano segnali opposti con l'abolizione di Equitalia e la ripetizione della voluntary
. Dal gioco d'azzardo? Darà al massimo 300 milioni in più, secondo le ottimistiche previsioni del governo.
O non piuttosto allora da ulteriori tagli e balzelli per almeno 7 miliardi, classificati per ora come “ulteriori coperture”, che per il momento non ci è dato sapere? Una sorpresa che Renzi ci svelerà col contagocce nelle prossime settimane, e possibilmente dopo il referendum, se la Commissione europea gli concederà come sembra la necessaria copertura.
Questa manovra, che favorisce i padroni e dà solo briciole alle masse popolari, va bocciata. Che i sindacati confederali e i “sindacati di base” si sveglino e proclamino lo sciopero generale per rovesciarne il segno.
19 ottobre 2016