Precariato selvaggio e paghe da fame dietro ai voucher
Sono i giovani, le donne e i migranti a finire di più nel “girone infernale”. Le regioni dove si usano di più sono la Lombardia, il Veneto e l'Emilia-Romagna
Abolire questa forma di lavoro nero legalizzato
Secondo l'Istat, nel suo recente studio sul lavoro accessorio a firma di Bruno Anastasia, Saverio Bombelli e Stefania Maschio, aggiornato ai primi mesi del 2016, sta aumentando in modo esponenziale, da parte delle aziende, il ricorso al voucher, quel buono da 10 euro (al netto delle tasse, il lavoratore ne intasca 7,5) usato teoricamente per il “lavoro accessorio” e che in realtà avvantaggia chi non vuole assumere i lavoratori con contratto regolare, legalizzando il lavoro nero, senza pagare alcun contributo.
Chi compone il “popolo dei voucher”
I dati parlano di ben 115 milioni di voucher ritirati nel 2015, un dato in aumento. In media, ciò si traduce in meno di 500 euro all'anno per chi lavora con voucher. L'Istat precisa che, in valori assoluti, il fenomeno rimane contenuto ed è ancora lontano dall'essere prevalente all'interno del “mercato del lavoro”; tuttavia la sua crescita esponenziale non promette nulla di nuovo per questa nuova forma di supersfruttamento.
Sempre più sono giovani (43,1%) e la percentuale di donne è andata via via aumentando, tanto che oggi supera il 50%. Ciò significa che per molte ragazze e ragazzi l'ingresso nel lavoro avviene tramite voucher, ritardando il momento in cui potranno cominciare a mettere da parte qualcosa per la pensione (se mai arriverà). L'aumento dei voucher riguarda anche i migranti, circa 120mila nel 2015, impiegati soprattutto nel lavoro domestico, giardinaggio e pulizia.
Se il voucher era stato introdotto sottobanco dal governo Berlusconi nel 2008 per agevolare i possidenti agricoli nella vendemmia, ed era usato allora prevalentemente da aziende ed autonomi agricoli, le aziende non agricole non hanno tardato a fiutare il profitto: erano il 30% dei committenti nel 2010 e oltre il 50% nel 2016.
Nella stragrande maggioranza dei casi, il lavoratore lavora sempre nella stessa azienda, figurando però sotto incarichi diversi. Vi si trovano impiegati part-time, oppure anche a tempo pieno ma inquadrati in contratti a tempo determinato o stagionali. Persino molti cosiddetti “inattivi” (chi non studia né lavora) finiscono nelle nebbie del voucher.
C'è da aggiungere che, per un lavoratore su quattro, il voucher è l'unica fonte di reddito da lavoro. Questo, benché il voucher si giustifichi per il fatto che dovrebbe agevolare quanti vogliano arrotondare lo stipendio con qualche lavoretto part-time. E comunque, dati Istat alla mano, ben l'85% dei lavoratori che ha ricevuto un voucher è rimasto al di sotto dei mille euro annui.
Il ricorso al voucher, emerge poi dall'analisi, è prevalente al Nord: le “oneste” imprese padane che abusano di questo strumento si trovano soprattutto in Lombardia, con 60,7 milioni di buoni venduti. Seguono il Veneto e l'Emilia-Romagna, interessante che ciò venga permesso in una regione da sempre feudo del PD.
Le misure “correttive” annunciate dal governo
Come denuncia lo stesso studio dell'Istat, “una delle (irrealistiche) aspettative del legislatore era che il voucher servisse per l'emersione del lavoro nero. Prove statistiche affidabili di un tale passaggio non sono state ottenute”. Anzi, l'Istituto di statistica definisce i voucher addirittura un “girone infernale”. Ci sono da ringraziare la legge Fornero del 2012, che ha ampliato la platea dei possibili utilizzatori di voucher, e naturalmente il Jobs Act, che ha alzato il tetto retributivo per questi lavori da 5mila a 7mila euro netti l'anno.
Certo non ci voleva il presidente dell'Inps Tito Boeri, mente del “contratto a tutele crescenti” in tempi non sospetti e già caldeggiato da ambienti di destra e “sinistra” come possibile alternativa a Renzi in caso di tracollo di quest'ultimo, per affermare che il voucher è una “nuova frontiera del precariato”. Il governo ha però cercato di fare una mezza marcia indietro annunciando, tramite Poletti, norme “correttive” volte a garantire la tracciabilità dei voucher: le aziende dovranno comunicare all'Ispettorato del lavoro i dati del lavoratore e le informazioni relative alla prestazione richiesta almeno 60 minuti prima dell'inizio della stessa. Insomma, un colpo al cerchio e una alla botte: il governo Renzi, al solito, esce dall'imbarazzo con interventi palliativi perfettamente inutili per ammansire la stampa e le masse mentre continua a garantire gli interessi della borghesia. Per esempio non ha preso nemmeno in considerazione le richieste dei sindacati confederali di escludere interi settori dall'uso dei voucher per non alimentare il lavoro nero, specie in lavori pericolosi, e di imporre un tetto di massimo delle ore d'impiego.
Il voucher è lavoro nero legalizzato. Va abolito
Cioè ciò che noi marxisti-leninisti abbiamo sempre sostenuto e che ai lavoratori è stato ben chiaro fin dalla sua introduzione: il voucher altro non è che lavoro nero legalizzato, l'ennesimo ladrocinio dei diritti dei lavoratori a vantaggio dei padroni, che in questo modo si scrollano di dosso gli oneri della “spesa sociale” e possono disfarsi dei lavoratori a piacimento. Contratti di lavoro parasubordinato esistenti in precedenza sono stati sostituiti da questa soluzione che risulta meno costosa per i padroni. I lavoratori, invece, ricevono paghe da fame, non hanno alcuna tutela né diritto, soprattutto all'infortunio, alle ferie e alla pensione, e non possono nemmeno progettarsi un futuro dignitoso.
I voucher e il precariato nel suo complesso vanno aboliti. Sta ai giovani soprattutto ribellarsi perché ciò sia possibile.
19 ottobre 2016