Grazie al Jobs act i Comuni fanno man bassa di voucher
Voucher di Stato
Come la pubblica amministrazione favorisce il precariato e il supersfruttamento

Prima la Fornero e ora il Jobs Act hanno finito per liberalizzare i voucher, nati nel 2008 e inizialmente utilizzati limitatamente e solo in particolari condizioni e settori. Uno strumento che era stato presentato come mezzo facile e semplice da usare per pagare poche prestazioni marginali, cioè lavoretti che sarebbero stati svolti in nero da soggetti altrimenti impegnati. Anno dopo anno, se ne è tenuta l’etichetta ma si sono eliminati i limiti per soggetti e attività, e quello che era stato propagandato come un grimaldello per combattere il lavoro nero si è dimostrato l'esatto contrario: la legalizzazione di rapporti di lavoro fuori da qualsiasi regola contrattuale.
Anna Zilli, docente di Diritto del Lavoro all'università di Udine, in un'intervista all'Espresso lo spiega bene: “La formulazione originaria aveva una filosofia di emersione esplicita e molto chiara: piccoli lavori marginali, appunto, che diventa più facile e più sicuro svolgere in regola. Ma alla lunga, annacquandone i limiti, il risultato è un travaso dal lavoro standard , con i suoi costi diretti (primo fra tutti, la previdenza) e indiretti (malattia, maternità, ferie), verso mere prestazioni di lavoro, che costano pochissimo, anche perché il valore del voucher è lo stesso dal 2004. Così oggi i settori di maggior impiego del voucher sono il commercio (18,0 per cento), il turismo (13,7) e i servizi (13), mentre solo il 6 per cento ormai è venduto nel settore agricolo e appena il 3 per cento nei servizi domestici, le tipologie per cui era nato e che, in termini assoluti, si mantengono costanti”.
Con il Jobs Act si sono ampliati i margini: oggi si può lavorare per voucher, in ogni settore, anche nella pubblica amministrazione e senza alcuna limitazione se non quella economica, fino a 7.000 euro netti all’anno. In due anni, tra il 2013 e il 2015, l’utilizzo dei lavoratori pagati con i voucher è più che raddoppiato, da 609mila a 1,3 milioni e sembra che gli enti locali abbiano fatto la loro parte, i comuni soprattutto. Col pretesto delle ristrettezze di bilancio, i comuni hanno finito per “appaltare” ai buoni lavoro anche servizi centrali per la gestione dei territori. Come la cura del verde o la rimozione della neve dalle strade. Bastano dieci euro lordi per comprare un’ora di prestazione, fioccano le iniziative pubbliche che ne incentivano l'uso, favorendo la svalutazione e la precarizzazione del lavoro.
Tra gli ultimi bandi pubblicati, c’è quello del Comune di Atripalda, in provincia di Avellino, che offre voucher per “lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti”. La stessa cosa propone il Comune di Assisi (bando segnalato da Rassegna.it, sito della Cgil), che ha chiuso da poco una selezione per la ricerca di personale “disponibile a svolgere prestazioni di lavoro di natura occasionale di tipo accessorio, retribuite mediante buoni lavoro (voucher)” per mansioni che vanno dalla preparazione e pulizia dei luoghi per manifestazioni culturali e artistiche ai servizi di manutenzione del territorio. E l’elenco potrebbe andare avanti ancora per molto: si erogano voucher a Cantù per la manutenzione degli edifici scolastici, a Benevento per la cura del decoro urbano, a San Pietro in Cariano (Verona) per accompagnare gli studenti a scuola e sostituire i segnali stradali danneggiati.
Se il personale dipendente dei Comuni non basta, i servizi extra si “pagano” con i voucher: a Gorizia il comune ha messo in palio i buoni lavoro da dieci euro persino per coprire il servizio di trasporto dei defunti. Ma i voucher non sono utilizzati solo per lavori “marginali”. A Tromello, Pavia vengono usati per l’aggiornamento degli archivi delle posizioni dei contribuenti per Ici, Imu, Tasi e Tari. Stessa cosa è avvenuta a Cavriago, dove si prevede l'accesso a banche dati interne ed esterne all'amministrazione. In questi casi, “oltre al risparmio retributivo sulla pelle dei lavoratori – denuncia la Cgil Funzione Pubblica- e al processo di svilimento del lavoro” c'è un elemento in più: “la mancanza di quei vincoli di riservatezza imposti invece ai dipendenti pubblici, prevista dai contratti e non dal ricorso ai voucher, cruciale nella gestione di dati sensibili che riguardano i cittadini tutti".
Tutte le inchieste svolte su questo tema dimostrano che il voucher viene usato in maniera generalizzata anche dalle amministrazioni pubbliche che si comportano come e peggio di una qualsiasi ditta privata, di qualsiasi “colore” esse siano. Al pari di quelle guidate dalla destra, anche le giunte di “sinistra” o “arancioni” nate da coalizioni che alle elezioni amministrative mettevano ai primi posti dei loro programmi la lotta al precariato, in realtà lo alimentano attraverso l'uso dei voucher; pensiamo alle giunte De Magistris a Napoli, Pisapia e poi Sala a Milano, Emiliano e poi Decaro a Bari, città che conoscono molto bene l'utilizzo del precariato e il supersfruttamento dei lavoratori nell'amministrazione comunale.
Quanto è avvenuto con i voucher sembra lo stesso film già visto con la flessibilità dell'orario di lavoro, con le deroghe al contratto nazionale, con le limitazioni al diritto di sciopero, con il blocco dei salari del pubblico impiego e delle pensioni. Le misure prese dal governo, sostenute dal padronato e spesso con il consenso dei sindacati confederali, sono inizialmente presentate come provvisorie o indirizzate a particolari settori economici e lavorativi, per poi essere generalizzate e liberalizzate, diventando la regola invece dell'eccezione. Per questo non crediamo che la cosiddetta “tracciabilità” dei voucher serva a molto, questo sistema di lavoro nero e capolarato legalizzato deve essere cancellato abolendo definitivamente il sistema dei “buoni lavoro”.

2 novembre 2016