3mila bombe sganciate dagli Usa
L'esercito dell'IS resiste all'assalto imperialista a Mosul
Al Baghdadi: “Resistete e attaccate anche in Arabia Saudita e Turchia”
Anche l'Italia impegnata nell'aggressione

 
L'offensiva lanciata lo scorso 17 ottobre dalle forze irachene del governo fantoccio di Baghdad e dai peshmerga della regione autonoma del Kurdistan iracheno, appoggiati dall'aviazione Usa, per la “liberazione” della città di Mosul sotto controllo dal giugno 2014 dello Stato islamico (IS) è in pieno svolgimento. Ai primi successi dell'offensiva, celebrati come l'anteprima di una facile vittoria sorattutto da parte della vergognosa campagna di stampa imperialista tesa a dipingere nei modi peggiori i “barbari” avversari e quindi a giustificare pure le morti di civili, ha fatto seguito un duro confronto ingaggiato dall'esercito dell'IS che mostra di resistere all'assalto imperialista.
Secondo un comunicato del comando militare iracheno il bilancio dell'offensiva su Mosul al 4 novembre registrerebbe “165 i villaggi, distretti, quartieri e strutture governative liberate sui fronti settentrionale, meridionale, occidentale e orientale dall'inizio delle operazioni”. Operazioni condotte da diverse migliaia di uomini con la copertura aerea dei caccia americani che in pochi giorni hanno scaricato 3 mila bombe sulle trincee difese dalle forze dell'IS.
Anche l'Italia imperialista è impegnata nell'aggressione seppur schierata apparentemente in seconda fila. Se la maggior parte dei soldati italiani presenti in Iraq è schierato a “difesa” dei lavori di ristrutturazione della diga che si trova a una trentina di chilometri da Mosul, alcune centinaia di istruttori si sono avvicendati negli ultimi mesi per addestrare reparti dei peshmerga della regione autonoma del Kurdistan e sono soprattutto gli elicotteristi della Brigata Friuli di base a Erbil quelli impegnati formalmente in operazioni di soccorso ai feriti o di assistenza ai plotoni in difficoltà della coalizione anti-IS.
Le forze governative e le milizie sciite sono entrate il 5 novembre nella cittadina di Hammam Alil, circa 25 chilometri a sud di Mosul, mentre nella parte settentrionale della città i combattimenti sarebbero già dentro il quartiere periferico del Cairo. Se l'esercito di Baghdad vincerà la battaglia per il controllo di Hammam Alil avrà aperto la via per attaccare l'aeroporto internazionale di Mosul, da cui dista circa 16 chilometri. Una strada difesa dall'esercito dell'IS con un sistema di barricate e trincee che bloccano le vie di accesso all'aeroporto.
Con un contrattacco le forze dell'IS si riprendevano il 5 novembre una parte delle aree conquistate dall’esercito governativo a est di Mosul, fino al distretto di Gogjali. La resistenza delle forze dell'IS era intensa nel quartiere residenziale di al Bakr a Mosul dove avevano raso al suolo molti edifici per costringere gli assalitori ad avanzare allo scoperto.
In un messaggio audio diffuso il 3 novembre da Mosul il leader dell'IS Al Baghdadi
incitava le sue formazioni a “resistere e attaccare anche in Arabia Saudita e Turchia”; "a tutti i combattenti e al popolo di Ninive, combattete, lottate e affrontate il vostro nemico” affermava Al Baghdadi, “tenere il territorio con onore è un migliaio di volte più facile che ritirarsi con disonore". Si dichiarava "fiducioso nella vittoria" in merito all'offensiva su Mosul sostenendo che “la guerra totale e la grande jihad che lo stato islamico sta combattendo aumenta solo la nostra ferma convinzione, se Dio vuole, che tutto questo è un preludio alla vittoria". Invitava la popolazione della provincia di Ninive a combattere i "nemici di Dio" e i combattenti suicidi a "trasformare le notti dei miscredenti in giorni".
Esortava i soldati dell'IS a "scatenare il fuoco della loro rabbia" contro le truppe turche che li combattono in Siria e li incitava a portare la battaglia in terra turca. “Oggi la Turchia è entrata nel campo di battaglia – sosteneva – attaccatela, distruggete la sua sicurezza e trasformate in paura quella che oggi è la sua sicurezza. Mettetela nel mirino delle vostre armi. La Turchia è entrata in guerra con lo 'Stato islamico' con la protezione dei crociati. Ai combattenti del Califfato in Siria, i soldati della Turchia infedele sono venuti a voi, mostrate loro la vostra forza, bruciateli con il fuoco della vostra rabbia e vendicate la vostra religione contro i fratelli dei demoni”.
Al Baghdadi esortava infine i combattenti antimperialisti islamici a colpire “attacco dopo attacco” l'Arabia Saudita, le sue forze di sicurezza, funzionari governativi, la famiglia regnante Al Saud e i media che “stanno dalla parte delle nazioni infedeli nella guerra all'Islam e all'Islam sunnita in Iraq e Siria”.
Che la battaglia sia oramai lanciata su tutti e due i fronti, quello in Iraq e quello in Siria, lo confermava il 6 novembre l'annuncio dell'avvio di una campagna contro l'IS a Raqqa da parte delle Forze della Siria democratica (Fsd), la coalizione formata dai curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg) e altre forze arabe. Le Fsd sono appoggiate dagli Usa ma osteggiate dalla Turchia per la loro forte componente curda. A mettere Washington e Ankara d'accordo ci pensavano i vertici militari dei due paesi con l'incontro il 6 novembre nella capitale turca tra il generale Joseph Dunford, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, e l'omologo turco, generale Hulusi Akar. “La coalizione e la Turchia – affermava Dunford - lavoreranno insieme su un piano a lungo termine per conquistare, mantenere e governare Raqqa”. Gli Stati Uniti, precisava il generale Usa, hanno “sempre saputo che le Fsd non sono la soluzione per prendere e governare Raqqa. Quello a cui stiamo lavorando è la ricerca del giusto mix di forze per l'operazione”, che richiede “forze prevalentemente arabe e sunnite”. Con buona pace per le truppe curde siriane che gli imperialisti considerano usa e getta.
 
 
 

9 novembre 2016