Erdogan fa arrestare 13 deputati curdi
Arrestati anche due sindaci di Diyarbakir e 11 giornalisti indipendenti. Bloccati i social network. Scontri in piazza. Attaccato il palazzo della polizia a Diyarbakir
I curdi in piazza per protestare in diverse città europee, compresa Roma

 
La repressione del fallito golpe militare del 15 luglio ha permesso al presidente Recep Tayyip Erdogan di rafforzare il suo regime, di lanciarlo in prima fila nell'offensiva imperialista contro l'IS in Sira e Iraq per mettere le mani quantomeno sui trritori curdi e di proseguire lungo la strada del golpe istituzionale contro le opposizioni e i curdi del Kurdistan settentrionale. Di questa repressione ne fanno le spese soprattutto il popolo curdo che nella regione di Diyarbakir vive sotto coprifuoco ed è sotto attacco dell'esercito turco da quasi un anno. A fine ottobre il fascista Erdogan ha scatenato polizia e esercito contro gli oppositori iniziando il 31 ottobre con l'arresto di undici giornalisti del quotidiano Cumhuriyet, tra cui il direttore, e ha vietato al resto dei media turchi di parlare dell’operazione; il 2 novembre la polizia aveva arrestasto Gülten Kisanak e Firat Anli, co-sindaci della Municipalità di Diyarbakir, il 4 novembre Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag e altri 11 deputati del Partito Democratico dei Popoli (Hdp).
Con gli ultimi arresti sono più di 130 i giornalisti in carcere. Secondo il procuratore capo di Istanbul, i giornalisti erano stati fermati in seguito all'accusa di “crimini a favore delle organizzazioni terroristiche di Gulen e del Pkk”, il partito curdo Pkk e il movimento Gulen accusato da Erdogan di essere stato l'organizzatore del golpe del 15 luglio; i sindaci di Diyarbakir e i parlamentari dell'Hdp con l’accusa di essere “sostenitori dell’organizzazione terroristica Pkk”.
Nelle loro città, per parità di genere i curdi affiancano i sindaci eletti a un co-sindaco dell’altro sesso e a Diyarbakir Gültan Kisanak è la sindaca eletta, Firat Anli il co-sindaco. Per lo stesso criterio Selahattin Demirtas è il presidente e Figen Yüksekdag la co-presidente dell'Hdp. La città di Diyarbakir sarà governata da un funzionario di Ankara così come le altre 28 città curde i cui sindaci sono in carcere, altri 70 sindaci sono stati destituiti dal governo centrale.
La protesta dei curdi a Diyarbakir contro l'arresto dei sindaci si faceva subito sentire nonostante la città sia sotto la “legge di emergenza” e il governo avesse già proibito ogni tipo di protesta, concentramento e marce. La polizia chiudeva Internet per impedire che i manifestanti si organizassero attraverso i social network ma centinaia di manifestanti si radunavano lo stesso di fronte al municipio e venivano dispersi dalla polizia che dopo i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua sparava coi fucili. Il 3 novembre i manifestanti in piazza davanti al municipio erano diverse migliaia; alla manifestazione partecipava il responsabile dell'Hdp, Demirtas, che invitava la popolazione a continuare la protesta fino al rilascio dei sindaci arrestati e la protesta dilagava in tutto il sud dell’Anatolia. Il giorno successivo finirà lui stesso in carcere a Diyarbakir.
La mattina del 4 novembre il palazzo della polizia a Diyarbakir era bersaglio di un attacco con una bomba che provocava 10 morti e un centinaio di feriti; le autorità turche accusavano il Pkk dell'attacco che era invece rivendicato dall'IS.
Altre proteste contro gli arresti dei giornalisti e degli esponenti curdi si svolgevano in Turchia, a Istanbul e Ankara, e in varie città europee in Germania, Regno Unito, Belgio, Francia, Austria, Svizzera e a Roma in Italia.
Risibile e vergognosa la reazione dell'Unione europea alla nuova stretta fascista di Erdogan, una debole condanna di facciata che la rende complice della dittatura. Una posizione simile a quella di Nechirvan Barzani, il primo ministro curdo della regione autonoma del Kurdistan in Iraq e alleato di Ankara che si dichiarava “preoccupato” che “questa mossa possa complicare ulteriormente la situazione in Turchia”.
Condanniamo l’arresto dei co-presidenti, deputati e dirigenti dell’HDP e chiediamo il loro immediato rilascio; parimenti condanniamo la detenzione e la rimozione dall’incarico dei sindaci nelle municipalità della regione curda in Turchia. L'appello di mobilitazione lanciato dalla Rete Kurdistan Italia per la manifestazione del 12 novembre a Roma chiede al governo italiano l'immediata rottura dei rapporti diplomatici e commerciali con la Turchia e la sospensione delle trattative per il suo ingresso nella Ue.

9 novembre 2016