Contro l'elezione di Trump
Esplode la rivolta degli antifascisti e antirazzisti americani
Bruciate bandiere Usa ed effigi di Trump. Arresti a New York, Los Angeles e Pittsburgh. Sparatoria a Seattle. La manifestazione di Portland dichiarata “sommossa”
È la protesta di piazza a marcare l'avvio della presidenza Trump negli Stati Uniti: già nella notte dopo le elezioni, appena si sono saputi i risultati, studentesse e studenti a migliaia si sono riversati nelle strade per protestare. Universitari e studenti delle scuole superiori ma non solo, afroamericani, neri e bianchi, di ambo i sessi e tutti gli orientamenti sessuali, hanno voluto far sentire fin da subito la loro secca opposizione al miliardario fascista, razzista e sessista che a partire dal prossimo gennaio alloggerà alla Casa Bianca. Protesta che andata via via crescendo fino ad assumere le proporzioni di una vera e propria rivolta. Alcune testate americane addirittura hanno ventilato la paura di una “guerra civile”.
“Hey hey hey ho, Trump has to go” (Trump deve andarsene) è lo slogan che ha scandito le manifestazioni svoltesi in diverse parti degli Usa, a volte anche per più giorni consecutivi. Molte le ragazze che esibivano cartelli con scritto: “Don't touch my pussy” (Non toccare la mia vagina), in riferimento all'affermazione gravemente misogina di Trump secondo cui le donne vanno “prese per la vagina”. Altri cartelli innalzati durante i cortei dicevano: “No alla fascistizzazione degli Usa”, “Non staremo con razzismo e sessismo”, “Mai il mio presidente”, “Contro l'islamofobia”. “Potere al popolo!”, “No confini, no nazioni!” gridavano i manifestanti, mentre dappertutto risuonava lo slogan anti-Trump per eccellenza, che gioca sul nome di quest'ultimo: “Love trumps hate”, l'amore abbatte l'odio, in riferimento all'odio razziale predicato dal neopresidente. Presente il movimento antirazzista “Black Lives Matter”, oltre a gruppi che si definiscono socialisti o comunisti. In solidarietà con gli immigrati messicani e con gay e trans, al centro della campagna xenofoba di Trump, sventolavano bandiere messicane e arcobaleno.
La manifestazione più importante e partecipata si è svolta proprio a New York, dove lo stesso Trump ha tenuto il suo discorso di vittoria. A migliaia hanno marciato nelle strade e preso d'assedio la Fifth Avenue, dove si trova la Trump Tower, faranoica residenza del miliardario. La polizia è stata schierata in assetto antisommossa e una trentina di manifestanti sono stati arrestati, mentre venivano bruciate bandiere americane ed effigi di Trump. In ben 10mila tornavano in piazza sabato 12 novembre.
La repressione si è scatenata anche a Los Angeles, dove una dozzina di persone sono state arrestate mentre la polizia caricava la locale manifestazione antiTrump. Colpa dei manifestanti era avere respinto l'invito delle “forze dell'ordine” ad interrompere l'occupazione dell'autostrada. Altri 187 manifestanti sono stati arrestati nella sera di venerdì 11 novembre, ma la protesta riprendeva con forza domenica 13 con 8mila persone in piazza.
Tre studenti medi sono stati arrestati a Pittsburgh, mentre il corteo antifascista veniva disperso a suon di lacrimogeni.
Ciò non ha fermato i coraggiosi manifestanti antifascisti e antirazzisti, che hanno animato vivaci e combattivi cortei in molte delle principali città degli Stati Uniti, le proteste più imponenti a Chicago, Los Angeles, San Francisco, Detroit e Portland. In quest'ultima città, la manifestazione durata più di due giorni è stata dichiarata “sommossa” dalla polizia. A Seattle si è verificata una sparatoria le cui dinamiche non sono ancora state chiarite. La protesta è giunta fin sotto la Casa Bianca; sempre a Washington, presso l'American University, è stata bruciata una bandiera americana.
Comunque, come già era avvenuto questa estate durante le mobilitazioni degli afroamericani, negli Usa, il cosiddetto “tempio della democrazia”, in realtà principale cittadella mondiale del capitalismo e dell'imperialismo, alla protesta di piazza si risponde solo con la repressione poliziesca.
Siamo davanti ad un chiaro segnale che gli antifascisti americani non sono disposti ad accettare in silenzio la presidenza di Donald Trump e la sua politica fascista, imperialista, razzista e sessista. Ciò potrebbe portare ad una esplosione della lotta di classe e di massa, ma non è certo questa la speranza della “sinistra” borghese americana. Contrariamente a quanto si legge su gran parte dei mass media, peraltro, le proteste non sono animate dai sostenitori di Hillary Clinton, anzi, basta ascoltare le interviste raccolte dai notiziari statunitensi per rendersi conto che molti manifestanti l'hanno votata non condividendo affatto il suo programma capitalista da cima a fondo, ma per arginare Trump; molti avevano invece dato fiducia a Bernie Sanders, il socialdemocratico rivale della Clinton che poi, perse le primarie, ha cercato di tenere l'elettorato di sinistra legato ai Democratici. Lo stesso Sanders ha però clamorosamente aperto ad una collaborazione con Trump “se intende seriamente migliorare le vite delle famiglie operaie”. Se c'è una cosa che questa tornata elettorale ha messo in evidenza forse oggi più che mai, è che Repubblicani e Democratici sono due facce della stessa medaglia capitalista e imperialista.
Per celebrare l'elezione del proprio rappresentante, il gruppo fascista e xenofobo Ku Klux Klan ha annunciato una “parata della vittoria” il 3 dicembre. Gli antifascisti e antirazzisti americani non sono però disposti a lasciare la piazza ed è già stata annunciata una grande mobilitazione, che dovrebbe portare in strada “un milione di donne”, per il 20 gennaio, giorno dell'insediamento di Trump.
16 novembre 2016