Deciso dai ministri degli esteri e difesa dell'Ue imperialista
Primo passo verso l'esercito europeo
Pinotti: “L'Italia aveva un livello di ambizione superiore”

Con il Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa dei 28 Paesi della Ue tenutosi il 14 e 15 novembre a Bruxelles, il progetto di un esercito imperialista europeo ha fatto un altro significativo passo in avanti. Il Consiglio ha dato infatti via libera nelle sue linee generali, pur con alcune modifiche, al “Piano di attuazione in materia di sicurezza e di difesa” presentato dall'alto rappresentante per la Politica estera della Ue, Federica Mogherini, che sarà sottoposto al prossimo Consiglio europeo di Dicembre, e che delinea alcune importanti novità per il processo di costruzione di una politica di sicurezza e di difesa comune integrata e di un esercito permanente europeo.
Questo processo ha subito un'accelerazione decisiva dopo il referendum che ha determinato l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, e l'Italia vi ha giocato e intende giocarci sempre più un ruolo di primo piano, come evidenziato dal vertice di Ventotene del 22 agosto con Merkel e Hollande, col quale Renzi si è inserito nel gioco della politica estera e militare europea approfittando dello spazio apertosi con la Brexit e cercando di agganciarsi all'asse di ferro Francia-Germania. E questo sulla base della proposta, accettata in via di principio dai suoi due partner, di creare subito un primo nucleo di esercito comune tra i Paesi “che ci stanno”, con obiettivi, strategie e armamenti integrati ed un unico centro di comando, nonché appositi accordi tra le rispettive industrie belliche nazionali e risorse economiche e finanziarie adeguate da mettere in comune. Il tutto sfruttando quanto già prevedono i trattati europei, senza bisogno di modificarli, e lasciando poi al tempo il compito di formalizzare meglio il progetto e tirarci dentro anche il resto dei 27.
Una proposta che pochi giorni prima, in un'intervista a Le Monde , i ministri degli Esteri, Gentiloni, e della Difesa, Pinotti, avevano anticipato chiedendo la costruzione, vista la nuova situazione creatasi con la Brexit, di una “Schengen europea della difesa”, basata su una “forza multinazionale europea con le funzioni e il mandato stabilito congiuntamente, con una struttura di comando, processo decisionale e meccanismi di bilancio comuni”. Le linee guida del piano Pinotti-Gentiloni, ancora più ambiziose del tradizionale piano franco-tedesco, perché proponevano la creazione di una “Forza multinazionale europea permanente comune”, come “nucleo iniziale di una futura forza integrata europea”, erano recepite anche nel piano elaborato dalla Mogherini e presentate in anteprima al vertice di Bratislava del 27 settembre.

Un “livello di ambizione” interventista globale
In sintesi questo piano prevedeva la costituzione di “unità multinazionali europee di intervento rapido”, i cosiddetti “battlegroups”, già esistenti da anni ma mai utilizzati sul terreno; la possibilità di delegare a un ristretto gruppo di Paesi il compito di condurre azioni militari in nome e per conto di tutta l'Unione, come previsto dall'articolo 44 del Trattato di Lisbona (la cosiddetta “Cooperazione strutturata permanente”, in sigla Pesco); la creazione a Bruxelles di un quartier generale comune che gestisca tutte le operazioni militari e civili; la messa in comune delle risorse per i nuovi e giganteschi investimenti previsti nel settore della difesa.
Nelle settimane successive, in vista del vertice di Bruxelles di novembre, i documenti italiano e franco-tedesco si fondevano in un'unica proposta, a cui si aggregava anche il governo spagnolo. Per i ministri degli Esteri e della Difesa dei quattro governi europei l'obiettivo comune dichiarato era quello di un “livello di ambizione che permetta alla Ue di rispondere alle crisi esterne, di migliorare la capacità dei partner colpiti da crisi e instabilità, specialmente in Africa e di assicurare la protezione di popolazione, territorio e valori europei”. E per questo la Ue “dovrà probabilmente lanciare missioni di carattere militare e/o civile in regioni in cui la Nato non considera di agire, come l'Ue fa e ha fatto, ad esempio in Mali, la Somalia, la Repubblica centroafricana, il Congo ecc”, e con operazioni militari che dovranno passare “da un livello di intensità basso ad uno elevato”.
A pochi giorni dal vertice di Bruxelles c'è stato poi un altro evento, pressoché imprevisto, che ha aperto una nuova fase politica e accelerato ulteriormente il processo di avvicinamento ad un esercito europeo permanente: l'elezione di Trump alla Casa Bianca. Prima della Brexit la proposta di creare un esercito europeo era rimasta per anni su un binario morto, sostanzialmente per la strenua opposizione della Gran Bretagna, che avendo già un suo esercito imperialista, dotato di armamento nucleare, di basi all'estero e strutturato per operare a livello globale, nonché strettamente connesso agli Usa e alla Nato, non ne voleva sentir nemmeno parlare di una difesa comune europea.

Una nuova fase politica
Rimossa dal tavolo la contrarietà della Gran Bretagna, restava comunque la diffidenza e l'ostilità dei Paesi dell'Est, in particolare Polonia, Repubblica Ceca e Paesi Baltici, legati da tempo a doppio filo agli Usa e alla Nato e ai quali, più che alla Ue, affidano la loro protezione dalla confinante Russia di Putin. Ma l'elezione di Trump, con le sue dichiarazioni di voler trattare con Putin per ridefinire le rispettive aree di influenza, e di ridimensionare l'impegno Usa nella Nato, accompagnate dalla richiesta di un maggior contributo economico da parte dei partner europei, ha cambiato improvvisamente lo scenario politico, rendendo i Paesi dell'Est meno sordi al progetto dei quattro Paesi guida di un esercito europeo permanente.
Anche la Francia, come la Gran Bretagna dotata di armi nucleari, di basi all'estero e di capacità operativa globale, in passato non aveva mai forzato veramente per questo obiettivo. Ma con la Brexit è caduto il veto della Gran Bretagna, si è fatta avanti l'Italia, forte anche della sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, e anche la Francia è arrivata più convinta al Consiglio di Bruxelles. L'elezione di Trump con le sue apparenti intenzioni “isolazioniste” (tutte da vedere, comunque, dato che anche Bush veniva all'inizio definito così), ha convinto definitivamente la Francia che l'occasione non è mai stata così propizia per spingere sull'acceleratore di un esercito imperialista europeo, del quale rivendicare ovviamente il ruolo guida.
Non a caso il premier Manuel Valls, in un'intervista a La Repubblica del 13 novembre in occasione dell'anniversario degli attentati terroristici di Parigi, legava la questione della lotta al “terrorismo islamico” anche alla costruzione di un esercito europeo: “Forze immediatamente mobilitabili, con una totale autonomia strategica”, sottolineava il capo del governo francese, chiedendo anche che ogni Paese aumentasse le spese per la difesa almeno al 2% del Pil.

“Salto qualitativo” per l'esercito imperialista europeo
Con queste premesse il vertice di Bruxelles non poteva che prendere atto della nuova situazione creatasi per l'Europa e dare conseguentemente via libera al piano Mogherini. Anche se, per adesso, con le dovute cautele e qualche compromesso per tenere conto delle perplessità ancora resistenti nei governi dell'Est europeo, ma anche dell'Olanda e di altri Paesi più legati alla Nato. Sono stati così approvati i “battlegroups”, forze di intervento rapido per operazioni fuori dai confini europei, un maggior coordinamento degli investimenti in campo militare, compresa la ricerca, la messa in comune di “asset strategici” nel campo dell'intelligence, dei droni, del trasporto aereo e in altri settori, con un meccanismo di “revisione annuale coordinata”. Ma non è stata approvata invece la proposta su cui puntavano fortemente i quattro governi-guida di un quartier generale europeo a Bruxelles, giudicato al momento un doppione di quello della Nato. Sarà creato invece un “centro di pianificazione europeo” per coordinare le “missioni militari non esecutive” (non di combattimento).
Quello approvato è stato comunque, secondo le dichiarazioni soddisfatte della Mogherini, un piano “ambizioso, concreto, pragmatico” e anche “molto sostanziale”, che fa fare “un salto qualitativo” alla sicurezza e difesa comune europea. “Sicuramente – ha voluto precisare - questa è un’esigenza per l’Europa e i cittadini europei che non nasce dopo le elezioni americane, io stessa ho avviato questo percorso prima dell’estate”. Ma ha anche sottolineato che dopo il risultato delle elezioni americane “è chiaramente ancora più importante oggi che l’Europa riesca a fare la propria parte per la sicurezza dei cittadini in modo più efficace”.
Anche la guerrafondaia Pinotti si è dichiarata soddisfatta per questo deciso passo avanti in direzione dell'esercito europeo permanente, perché tenuto conto delle titubanze di diversi Paesi “finalmente esiste un piano operativo ed esistono alcune scadenze temporali”. Ma ha anche aggiunto significativamente che “l'Italia avrebbe anche un livello di ambizione superiore”. L'Italia del n uovo duce Renzi scalpita infatti per avere un ruolo guida nella costruzione dell'esercito imperialista e interventista europeo, facendo valere la sua posizione privilegiata nel cuore del Mediterraneo, una portaerei proiettata verso il Medio Oriente e l'Africa, le regioni a più alta conflittualità e dove l'Italia e la Ue imperialista hanno importanti interessi economici e strategici.
 
 

23 novembre 2016