Si susseguono le iniziative contro una delle più odiose forme di sfruttamento
Appoggiamo la campagna “Stop voucher”
Più volte sulle pagine del Bolscevico ci siamo occupati dei buoni lavoro, più conosciuti come voucher. È fuori di dubbio che questa forma di precariato rappresenta una delle novità negative più rilevanti che sono andate a caratterizzare il “mercato del lavoro” in Italia. Introdotti nel 2003 per regolare le attività lavorative di tipo accessorio e di natura meramente occasionale, sono rimasti inapplicati fino al 2008, quando il governo Prodi lanciò la “sperimentazione” in agricoltura e in particolare nella vendemmia. Il primo anno furono venduti 500mila voucher, nel 2011 si erano raggiunti i 15 milioni, nel 2015 si sono superati i 115 milioni di voucher.
Da queste cifre possiamo capire facilmente come questo sistema di pagamento con mini assegni, che in pratica legalizza il lavoro nero, in pochi anni sia letteralmente “esploso” cambiando radicalmente il suo carattere originario. È la stessa Inps a confermarlo attraverso l'inchiesta dal titolo “Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti”. Alla sua nascita i buoni lavoro sono stati presentati come degli strumenti utilizzabili per il pagamento di prestazioni occasionali, ossia quei lavoretti saltuari che solitamente vengono svolti a nero, come il giardinaggio, le ripetizioni scolastiche, le pulizie domestiche. Di conseguenza anche i destinatari erano in maggioranza ultra cinquantenni e pensionati che arrotondavano il loro misero reddito.
Ma a causa della liberalizzazione del voucher avvenuta nel 2012 con il governo Monti e la Fornero, e successivamente con il Jobs Act di Renzi, essi hanno assunto caratteristiche totalmente diverse. È cambiato il loro utilizzo, i settori di applicazione, l'età degli utilizzatori. Difatti i voucher usati nel settore agricolo per una manodopera anziana e periodica sono diventati marginali e la parte predominante oggi riguarda lavoratori sotto i 35 anni, che non hanno mai avuto un contratto stabile, nei servizi e nel turismo, utilizzati per coprire interamente le esigenze aziendali, usati per sfruttare in maggioranza le donne (57%).
Anziché strumento per l'emersione del lavoro sommerso si sono dimostrati una formidabile arma per utilizzare il lavoro nero legalmente, senza incorrere in sanzioni, sfruttando i lavoratori senza dover rispettare le normative dei contratti nazionali di categoria. Si usano per pagare la commessa del negozio o del bar, per chi lavora stagionalmente nel settore alberghiero, nella ristorazione, per la baby sitter. Il voucher è esibito come uno scontrino da mostrare in caso di controllo che esenta il datore di lavoro da ogni responsabilità e al tempo stesso priva il lavoratore di tutti i diritti: malattia, maternità, TFR, orario notturno e festivo. Un sistema che favorisce il lavoro illegale poiché quasi sempre a un determinato periodo pagato con i voucher ne corrisponde un altro completamente a nero e in buona sostanza quello che emerge con i voucher è solo la punta di un iceberg.
Ma non dobbiamo pensare che i voucher siano utilizzati solo da piccoli esercizi commerciali e aziende familiari. Li usano i grandi villaggi turistici che fatturano milioni di euro, la amministrazioni pubbliche di piccole e grandi città, grandi multinazionali come Mc Donald. Proprio dalla più grande catena mondiale di fast food è partita la campagna “Stop voucher” lanciata dalle Camere del Lavoro autonomo e precario (CLAP), presenti sopratutto a Roma. Questa è una delle molteplici iniziative di lotta e di denuncia dei voucher, un segnale che a livello di massa è cresciuta la consapevolezza della gravità di questa forma estrema di sfruttamento, che invece fino a qualche anno fa era sottovalutata.
Ricordiamo che anche la Cgil ha raccolto 3,3 milioni di firme per tre referendum, tra cui uno per chiedere l'abolizione dei voucher, mentre la Cisl Veneto nei mesi scorsi ha portato avanti una campagna anch'essa denominata “stop voucher”, dove però si chiedeva solo di contrastarne l'abuso e ripristinare le vecchie regole più restrittive. Iniziative di protesta sono state già organizzate dalla Rete della Conoscenza mentre il 17 novembre gli studenti in tutta Italia hanno manifestato contro l'”Alternanza scuola-lavoro”, stage in azienda e il precariato già da adolescenti.
Tornando all'iniziativa della CLAP, è stato scelto d'iniziare da Mc Donald perché è “tra le corporation multinazionali che più sostengono il Jobs Act, il lavoro gratuito attraverso il sistema di alternanza scuola-lavoro e dunque il governo Renzi”. Mc Donald ha firmato un accordo con il Ministro dell'istruzione-università-ricerca (Miur) che prevede 10 mila posti per gli studenti al fine di “sviluppare competenze”, per tenerli a friggere patatine e preparare panini quasi gratis. “Non ci stiamo a lavoretti gratuiti o sotto-pagati che svalorizzano le nostre competenze senza alcun contenuto formativo – sostengono le Clap – non ci stiamo a veder calpestati i nostri diritti, non ci stiamo ad esser pagati con i voucher o incastrati nell’Alternanza Scuola-Lavoro”
La lotta per l'abolizione dei voucher deve essere portata vanti fino in fondo e i marxisti-leninisti sostengono tutte le iniziative che vanno in questo senso. Chiederne la riforma o la “tracciabilità” non basta, è lo strumento in se stesso che si presta ad essere strumento non d'emersione, ma d'immersione del lavoro nero. Con i voucher non vengono alla luce i lavori tradizionalmente svolti al nero ma al contrario lo si estende a settori dove prima era quasi del tutto estraneo. Si calcola che con il volume attuale dei voucher si creerebbero almeno 100 mila posti di lavoro tra tempo determinato e indeterminato.
23 novembre 2016