Ecco la sbandierata “onestà” di M5S
13 indagati per firme false a Palermo
4 indagati anche a Bologna
A due mesi dalla sua scoperta lo scandalo delle firme false a Palermo, che coinvolge dirigenti locali e parlamentari nazionali del Movimento 5 stelle, si è allargato al punto da contare già 13 iscritti nel registro degli indagati, mentre un altro caso simile sta emergendo a Bologna.
La vicenda è iniziata ai primi di ottobre, dopo un'inchiesta televisiva de Le iene,
basata su una segnalazione anonima, da cui risultava che circa 1.400 firme tra quelle raccolte e presentate dal M5S per le comunali del 2012 erano state trascritte a mano da un modulo originale sbagliato che le avrebbe invalidate. L'operazione di ricopiatura risultò poi inutile, perché la lista dei 5 stelle non riuscì a superare il quorum del 5%, ma fu determinante successivamente per la scelta e l'elezione in parlamento di diversi dei personaggi coinvolti.
La segnalazione sarebbe arrivata il 12 settembre per e-mail anche a Luigi Di Maio, che l'avrebbe girata ai carabinieri senza aprire però un'indagine interna. I nomi coinvolti nell'inchiesta, l'allora candidato sindaco e attuale deputato alla Camera, della quale ha ricoperto anche la carica di vicepresidente, Riccardo Nuti, e altri tre suoi colleghi, Claudia Mannino, Loredana Lupo e Giampiero Trizzino, negarono infatti tutto, arrivando (d'accordo con Grillo e Casaleggio) a querelare le Iene
e un attivista dello stesso M5S, Vincenzo Pintagro, che nel frattempo aveva confermato al programma televisivo di aver assistito di persona all'affannosa operazione di ricopiatura delle firme. Cosa che fu fatta da diverse persone in una sede dei meet up la notte del 4 aprile 2012, immediatamente prima della scadenza del termine per la presentazione.
L'11 ottobre si muoveva però anche la procura di Palermo, aprendo un fascicolo sul caso, e Beppe Grillo era costretto ad uscire allo scoperto e prendere posizione sul suo blog, ringraziando “Le iene
e le persone che hanno denunciato il fatto” e invitando “chiunque sappia qualcosa” a parlare e a rivolgersi alla magistratura. Ed è prendendolo in parola che la deputata regionale del M5S, Claudia La Rocca, si recava in Procura dai pm titolari dell'indagine, Dino Petralia e Claudia Ferrari, confermando quanto raccontato dal testimone Pintagro: e cioè di aver partecipato insieme ad una ventina di persone alla ricopiatura delle 1.400 firme dai moduli originali, contenenti un errore, sui un nuovi moduli, perché altrimenti le firme non sarebbero state valide, e con ciò passando da persona informata sui fatti a indagata.
Sulla faccenda c'era già stata un'inchiesta, archiviata nel 2013, nella quale il nome di La Rocca compariva in una e-mail in cui la si ringraziava per essersi trattenuta in sede quella notte “per finire questo estenuante lavoro”. E ringraziamenti identici erano stati spediti anche a Claudia Mannino, poi eletta alla Camera, e Samantha Busalacchi, selezionata come possibile candidata a sindaco per le prossime amministrative. Claudia La Rocca ha anche dichiarato di essersi consigliata telefonicamente con Grillo, prima di recarsi in procura, ma il padre padrone del movimento l'ha scaricata smentendo di averla mai sentita.
Una vicenda ben più grave di una semplice “stupidità”
Le confessioni di La Rocca, a cui si sono aggiunte altre due testimonianze, portavano all'iscrizione nel registro degli indagati di una decina di persone. Il reato ipotizzato è quello di violazione dell'articolo 90 del Testo unico sul regolamento elettorale che prevede da 2 a 5 anni di reclusione. Gli indagati, oltre a La Rocca e al suo collega all'Ars, Giorgio Ciaccio, che collaborano con i pm e si sono autosospesi dal movimento, sono i già citati Nuti e Mannino, altri due candidati della lista 2012 che stanno collaborando, Giuseppe Ippolito e Stefano Paradiso, la già citata attivista e collaboratrice del gruppo 5 stelle all'Ars, Busalacchi, l'avvocato Francesco Menallo e il cancelliere Giovanni Scarpello, che accertò la regolarità delle firme. Altri se ne sono aggiunti dopo l'inizio degli interrogatori da parte dei due pm, portando fino a questo momento il totale a 13 indagati: si tratta di Pietro Savino, attivista e marito della Mannino, della deputata Giulia Di Vita e di Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo.
Nel frattempo dalle testimonianze hanno cominciato a emergere anche diverse vere e proprie firme falsificate, cioè non semplicemente ricopiate, bensì non riconosciute come autentiche dai presunti firmatari e inserite arbitrariamente nella lista, alcune pare prelevate dalle liste per il referendum sull'acqua pubblica del 2011. Se ciò venisse confermato lo scandalo sarebbe ben più grave di quello che Grillo ha cercato di far credere all'inizio, derubricandolo a semplice frutto di “stupidità” degli attivisti palermitani.
Per cercare di tamponare lo scandalo, dopo quasi due mesi di silenzio, Grillo ha chiesto dalla sua pagina Facebook, ora che ormai fioccano le iscrizioni nel registro degli indagati, a tutti i coinvolti nell'inchiesta di Palermo “di sospendersi immediatamente dal Movimento 5 Stelle non appena verranno a conoscenza dell'indagine nei loro confronti a tutela dell'immagine del Movimento e di tutti i suoi iscritti”. Ciononostante i principali indagati, Nuti e Mannino, si sono rifiutati di autosospendersi come ha fatto la La Rocca, perché – dicono - “sarebbe come ammettere di avere qualcosa da rimproverarci”.
Una devastante caduta d'immagine per Grillo e il M5S
Nuti, Mannino, Savino e Di Vita si sono anzi avvalsi della facoltà di non rispondere davanti agli inquirenti, come già aveva fatto la Busalacchi, e perfino di sottoporsi alla prova calligrafica per il confronto con le firme copiate. Una patata bollente per Grillo, che proclamando di sentirsi “tradito”, ha cercato di uscire dalla devastante caduta d'immagine accelerando l'elezione on-line del collegio di tre probiviri che, a norma del nuovo regolamento, hanno sospeso i quattro, che però hanno fatto subito ricorso. La cosa grottesca è che Nuti era candidato proprio a far parte del collegio che ora ha deciso di applicargli la “sospensione cautelare” d'ufficio, insieme agli altri tre e alla Busalacchi.
Questa vicenda fa capire che dietro di essa ci sono delle furibonde faide interne al M5S palermitano che hanno verosimilmente contribuito, per un gioco di vendette incrociate, alle rivelazioni che hanno fatto esplodere lo scandalo. Come se non bastasse un caso analogo è scoppiato a Bologna, dove la procura ha iscritto nel registro degli indagati il vicepresidente del Consiglio comunale, Marco Piazza, il suo collaboratore Stefano Negroni e due attivisti del M5S, Tania Fiorini, candidata alle regionali, e Giuseppina Maracino. Si parla di raccolta irregolare di firme per le regionali del 2014, tra cui firme acquisite fuori regione e firme inserite in assenza dei certificatori, nonché di alcune presunte firme false, cioè non riconosciute dai sottoscrittori. Piazza è legato al capogruppo del M5S, Max Bugani, a sua volta fedelissimo di Casaleggio, e anche questa inchiesta è partita dalle rivelazioni di due ex attivisti del movimento già nel 2014, a riprova delle faide che da tempo dilaniano il M5S emiliano.
Dopo la vicenda della giunta Raggi, anche quelle di Palermo e Bologna confermano impietosamente che il motto “onestà, onestà” che il movimento di Grillo aveva messo in cima alla sua strategia di conquista delle istituzioni locali per “cambiarle dal di dentro”, è già diventato una formula logora e screditata dai fatti. Che come tutti gli altri partiti della destra e della “sinistra” borghese anche il M5S è ricettacolo di arrivisti e politicanti borghesi e dove infuriano le faide tra correnti per conquistare poltrone e posizioni di potere. E che le marce istituzioni borghesi non si possono cambiare dal di dentro, ma semmai sono esse che cambiano e corrompono chi entra a farne parte, anche ammesso che sia animato dalle migliori intenzioni.
14 dicembre 2016