Le grinfie dell'imperialismo russo su Aleppo
Gli oppositori di Assad costituiscono l'Esercito di Aleppo
L'agenzia governativa siriana Sana scriveva il 12 dicembre che nella zona di Aleppo è stata “ripristinata la sicurezza e la stabilità”, una volta che le truppe del regime di Assad erano riuscite a conquistare gran parte dei quartieri a est della città controllati dalle forze delle opposizioni. I bombardamenti condotti soprattutto dagli aerei del nuovo zar Putin contro le residue posizioni tenute dalle opposizioni continuavano notte e giorno in una parte della città ridotta praticamente in macerie e dalla quale diverse decine di migliaia di civili erano fuggiti solo nei giorni precedenti.
Le forze governative impegnate nella battaglia di Aleppo contano oltre 25 mila uomini, per la maggior parte soldati siriani con una presenza significativa di combattenti libanesi di Hezbollah, miliziani sciiti iracheni e iraniani. Nella difesa dei quartieri della parte est erano impegnate una decina di diverse formazioni militari di gruppi dell'opposizione che dall'1 dicembre si riunivano quasi tutte nella nuova federazione, denominata l’Esercito di Aleppo, nel tentativo di tenere le ultime posizioni difese. Se ancora tutta la città non è nelle mani del regime di Assad, restano poche speranze per gli oppositori e sembra essere giunta alla fine la battaglia per il controllo della città investita dall'ultima e determinante offensiva lanciata dal regime il 15 novembre.
In questi giorni, come un mese fa, è l'imperialismo russo e dettare tempi e modi della risoluzione della battaglia di Aleppo per mettere le sue grinfie sulla città e una parte del resto della regione e tenerle agganciate al pezzo di Siria che pensa di tenere sotto il suo controllo una volta chiusa la partita della spartizione del paese. Intanto ha puntato a chiudere la partita di Aleppo prima del 20 gennaio, prima che il nuovo presidente americano Donald Trump si insedi alla Casa Bianca.
L'imperialismo americano aveva già mollato le opposizioni che difendono Aleppo, una città oramai “persa” aveva affermato il segretario di Stato americano John Kerry nell'intervento dell'1 dicembre a Roma alla conferenza sul Mediterraneo; se poi il nuovo presidente americano Donald Trump confermerà che alla Casa Bianca non interessa la testa di Assad anche la restante opposizione che si riferiva all'imperialismo americano potrebbe finire neutralizzata. Per quanto riguarda l'altro alleato o ex alleato imperialista di Washington impegnato in prima persona nella crisi siriana, la Turchia del fascista Erdogan, non ci sono problemi, le intese in merito alla Siria sull'asse Mosca-Ankara viaggiano senza scosse.
Il 5 dicembre Mosca poteva bloccare ancora una volta, grazie al diritto di veto, una risoluzione sulla Siria del Consiglio di sicurezza dell’Onu che chiedeva “una tregua di sette giorni ad Aleppo” e la garanzia da tutte le parti di un’attuazione immediata della cessazione delle ostilità. Russia e Cina dicevano di no. La sera del 6 dicembre l’esercito governativo riprendeva l’intera Città Vecchia di Aleppo dopo durissimi scontri con le opposizioni.
Di tregua a Aleppo ne discutono Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov, senza trovare una intesa, anche al vertice del 10 dicembre a Parigi. La sponsorizzazione dell'imperialismo francese che prova a dire la sua nella crisi della ex colonia non produce risultati.
La tregua la decidono i militari russi e sarà, sempre il 10 dicembre, il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov a sottolineare che “le truppe siriane hanno fermato la loro offensiva per permettere lo sgombero dei civili” dai quartieri di Aleppo est, dove comunque “i combattimenti non cesseranno fino a che i ribelli non li avranno abbandonati”. E mentre l'ambasciatore russo all'Onu Vitaly Churkin chiudeva una porta bocciando, ancora prima che potesse avviare il suo persorso di approvazione, una nuova risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco immediato in Siria e la realizzazione di una via di accesso per gli aiuti umanitari presentata dal Canada il ministro Lavrov ne apriva un'altra a favore di Ankara.
"Stiamo iniziando a raggiungere intese comuni e forse questo canale di cooperazione sarà più produttivo di quello con gli americani", affermava il 10 dicembre il ministro degli Esteri russo che nel contempo metteva in dubbio che gli Usa potessero ancora influenzare gruppi armati dell'opposizione che ancora resistevano nei quartieri orientali di Aleppo: “su questi, lo sappiamo, influiscono alcuni Paesi della regione e noi lavoriamo con tutti questi Paesi, compresa la Turchia". Che intanto paracadutava oltre il confine turco siriano altri 300 uomini delle forze speciali che univano agli oltre 700 soldati del contingente turco già presenti nella zona della città di Manbij, a sostegno delle forze dell'Esercito libero siriano (Fsa, Free Sirian Army, nella sigla inglese, ndr), la formazione dell'opposizone a Assad organizzata da Ankara.
14 dicembre 2016