Ancora una volta premiato dalla borghesia per aver abbandonato a suo tempo la militanza “marxista-leninista”
Gentiloni: dagli spalti del socialismo agli spalti del capitalismo
Dal 12 dicembre il conte Paolo Gentiloni Silveri, fedelissimo di Renzi, atlantista, amico di Usa e di Israele e nemico dei lavoratori e del sindacato è il 64° presidente del Consiglio della storia repubblicana.
La storia politica e personale del nuovo premier è l’esempio eloquente del politicante borghese, anticomunista, imbroglione e opportunista, che in ogni stagione politica ha saputo riciclarsi passando con estrema disinvoltura dagli spalti del socialismo e della “sinistra extraparlamentare” agli spalti del capitalismo e della classe dominante borghese schierandosi anima e corpo a fianco del nuovo duce Renzi, fino a diventare uno dei suoi stretti e fidati sostenitori.
Attento servitore e fedele rappresentante di lungo corso degli interessi della classe dominante borghese, Gentiloni è stato premiato più volte nel passato, di recente con la prestigiosa carica di ministro degli Esteri nel dimissionario governo Renzi e ora promosso a capo di questo governo che Renzi ha dettato nella composizione e nel percorso che dovrà seguire da qui alle prossime elezioni politiche.
Paolo Gentiloni è nato a Roma il 22 novembre 1954. La sua famiglia non solo appartiene alla “prestigiosa” borghesia capitolina ma ha anche nobili origini. Gentiloni discende direttamente dai conti marchigiani Gentiloni Silverj e può fregiarsi del relativo titolo nobiliare. Il neo-premier non è il primo rampollo di famiglia a fare carriera nella politica borghese, tra i suoi avi possiamo ricordare infatti Vincenzo Ottorino Gentiloni, del patto Gentiloni con i liberali di Giolitti che segnò l’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica italiana. Fin da ragazzo gode di tutti i vantaggi propri delle benestanti famiglie romane. Vive da nababbo nel palazzo di famiglia situato a pochi passi dal Quirinale.
Dopo un periodo di formazione cattolica inizia il suo percorso di studi al liceo Tasso, uno dei centri romani della Grande Rivolta del Sessantotto, dove consegue la maturità classica e partecipa da protagonista alle grandi manifestazioni studentesche anticapitaliste e antimperialiste.
All’università si iscrive a scienze politiche e, come tanti figli della borghesia bene, milita nella “sinistra extraparlamentare” assumendo posizioni dirigenziali nel Movimento lavoratori per il socialismo (Mls, ex Movimento studentesco che si autodefiniva “marxista-leninista”), guidato da Mario Capanna, Salvatore Toscano e Luca Cafiero che aveva a Milano il proprio quartier generale, e successivamente nel Pdup.
Nel 1980, quando Mls e Pdup avviano l’unificazione, Gentiloni approda nella redazione di “Pace e Guerra”, mensile prima del centro per l’unità della sinistra promosso dai trotzkisti Lucio Magri, Luciana Castellina e Claudio Napoleoni e poi settimanale diretto da Michelangelo Notarianni.
In quella redazione Gentiloni diventa responsabile del settore esteri e lavora fianco a fianco con vari esponenti politici della “sinistra” borghese che tentano di opporsi al nascente craxismo, tra i quali Stefano Rodotà e Massimo Cacciari.
Conclusa l’esperienza di “Pace e Guerra”, Gentiloni continua la sua carriera giornalistica e nel 1984 approda al fianco di Ermete Realacci e Chicco Testa alla direzione del mensile “Nuova ecologia”, che faceva riferimento a Legambiente, e otto anni dopo passa a l’Espresso.
Nel 1993 diventa tra i principali collaboratori di Francesco Rutelli, eletto nel frattempo sindaco di Roma come esponente dei Verdi appoggiato dal “centro-sinistra”. Gentiloni è il portavoce ufficiale della giunta capitolina e per un periodo dirige anche l’ufficio stampa del Comune.
L’ottimo lavoro svolto all’ombra del Campidoglio diventa il suo trampolino di lancio in politica. Infatti Rutelli, in segno di riconoscimento per i servigi resi, lo nomina assessore al giubileo e al turismo. In quella veste Gentiloni spende miliardi di soldi pubblici per addobbare Roma per la festa clericale dell’allora papa nero Wojtyla.
Cofondatore e dirigente di spicco della Margherita di Rutelli, la formazione di centro che avrebbe dovuto raccogliere l’eredità delle aree di sinistra della DC, Gentiloni si schiera con la destra del partito e sostiene accanitamente la nascita di un “centro-sinistra” dichiaratamente borghese ed antioperaio, radicalmente scisso dalle tradizioni comuniste revisioniste.
Eletto alla Camera per la prima volta nel 2001 tra le file della Margherita, Gentiloni brucia le tappe della sua lunga carriera politica sguazzando nel fango dell’elettoralismo e dell’opportunismo borghesi.
È direttore del dipartimento comunicazione della Margherita, poi sottosegretario e presidente della commissione di vigilanza Rai nel 2005-06.
Il grande salto arriva col secondo governo Prodi (2006-08) con la nomina a ministro delle Telecomunicazioni. In questa carica Gentiloni si distingue per il suo totale immobilismo sulla questione dell’occupazione abusiva, da parte di Rete 4, delle reti di trasmissione riservate a Europa 7. Incurante della messa in mora dell’Italia da parte della Commissione europea, Gentiloni non muove un dito per tentare di scalfire l’impero mediatico del neoduce Berlusconi, questo in perfetta linea con il governo Prodi.
Ottenuto e portato a termine con “lode” il prestigioso incarico, nel 2009 Gentiloni molla Rutelli e, per conservare la poltrona, decide di aderire al Pd e di non seguire più Rutelli col suo nuovo partito Alleanza per l’Italia (Api) che infatti non avrà grandi fortune.
L’esordio tra le file del Pd non è dei migliori. Nel 2012 infatti la sua corsa alla candidatura di sindaco di Roma viene interrotta alle primarie dove Gentiloni risulterà solo terzo, dietro Ignazio Marino e David Sassoli.
La sconfitta però non lo fiacca eccessivamente. Da sostenitore della breve segreteria di Dario Franceschini insediatasi dopo le dimissioni di Walter Veltroni; Gentiloni, fin dalla prima Leopolda, viene letteralmente folgorato dalla nuova stella in ascesa nel firmamento del “centro-sinistra” borghese e si schiera tra i più accaniti sostenitori della segreteria Renzi di cui diventerà uno dei consiglieri più ascoltati sia nell’attività di governo che in quella di partito.
Dichiara di aver vissuto “Il giorno più bello perché abbiamo distrutto il moloch comunista”, quel 15 dicembre 2013 con la conquista della segreteria Pd da parte di Renzi.
Un servilismo totale che il futuro segretario e premier Renzi ripagherà con gli interessi affidandogli la Farnesina succedendo a Federica Mogherini che è andata ad occupare il posto di ministro per l’Alto rappresentante della politica estera dell’UE.
La sintonia con Renzi e Napolitano, che lo considera “la persona giusta al posto giusto”, è totale sia in politica interna dove tutti e tre sono dichiaratamente favorevoli alla rottamazione della Costituzione antifascista del 1948, dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18 in favore della deregolamentazione del diritto del lavoro in chiave antioperaia, antisindacale e filo padronale; che in politica estera a sostegno della politica imperialista ed interventista italiana, spudoratamente a fianco degli Usa e di Israele e contro lo Stato Islamico.
Appena insediato alla Farnesina Gentiloni ha provveduto a contattare i due marò, Latorre e Girone, trattenuti in India a seguito dell’assassinio di innocenti pescatori. Sul caso dei due marò il neo titolare della Farnesina ha affermato che: “ (…) la loro liberazione è in cima alla nostra agenda.”
Il passo successivo è stato quello di mostrarsi un entusiastico sostenitore delle direttive atlantiche nell’ambito della questione ucraina. Il 13 novembre 2014 a Madrid ha dichiarato il suo appoggio assoluto ed incondizionato alle sanzioni UE contro la Russia dello zar Putin: “L’Europa, sul conflitto in Ucraina, è compatta nell’imporre sanzioni alla Russia. Registro una convergenza tra i nostri governi molto significativa sulle sanzioni alla Russia.”
Quindi l’annuncio del “nuovo ordine Mediterraneo” imperialista lanciato da Gentiloni dalle colonne de il primo numero de L’Unità tornata in edicola il 30 giugno 2015 per dare il via all’aggressione militare alla Libia da parte dell’Italia col pretesto di “combattere l’Isis”.
Una politica estera interventista e imperialista e una politica interna di lacrime e sangue per i lavoratori e le masse popolari italiane che egli provvederà a inasprire ulteriormente ora che è salito a Palazzo Chigi.
Del resto lo ha riaffermato nell’esaltare il ruolo del suo padrino-padrone Renzi e nell’assicurargli fedeltà assoluta sia nel programma sia nella durata del suo mandato.
14 dicembre 2016