Dopo il fallimento della ricapitalizzazione privata di Mps voluta da JP Morgan e da Renzi
Paracadute pubblico da 20 miliardi per le banche
Nazionalizzare Montepaschi e le altre banche in crisi

Il 23 dicembre, preso atto del fallimento più che prevedibile dell'operazione di ricapitalizzazione per 5 miliardi attraverso il mercato, il vertice del Monte dei Paschi di Siena ha chiesto ufficialmente l'intervento “preventivo” del Tesoro per salvare la banca dal fallimento. Il decreto del governo che stanziava 20 miliardi per salvare il Mps, ma anche altre banche minori in difficoltà, come le due venete sull'orlo del fallimento, Carivicenza e Venetobanca, ma anche Carige, le Casse di risparmio di Rimini, Cesena e San Miniato e le quattro banche del decreto “salvabanche” dell'anno scorso, era già stato approvato da governo e autorizzato dal parlamento secondo la procedura del nuovo articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio, ed aveva anche il consenso di massima delle autorità europee.
In realtà il decreto era pronto da mesi, dato che la situazione disperata del Mps, zavorrato da ben 27 miliardi di crediti non riscuotibili era ben nota, e la Commissione europea lo aveva già esaminato e approvato, ma Renzi ha preferito tenerselo nel cassetto fino al referendum, sia per poter agitare lo spauracchio del fallimento della banca senese in caso di vittoria del NO, sia per dare tempo ai suoi amici della JP Morgan e all'amministratore delegato di Mps, Morelli, di tentare di reperire i finanziamenti per 5 miliardi necessari per la ricapitalizzazione sul mercato privato.
JP Morgan, alla testa di un pool di banche tra cui Mediobanca, era già advisor di Mps per l'operazione di ricapitalizzazione avviata dal precedente vertice. Il piano del suo presidente James Dimon, concordato con Renzi in un incontro a Palazzo Chigi nel luglio scorso, era quello di utilizzare l'operazione di ricapitalizzazione sul mercato per comprarsi l'istituto senese a prezzi stracciati insieme ad altri investitori stranieri suoi amici. Si parlava allora di un fondo del Quatar e degli hedge fund del finanziere americano Soros, che poi però si sono tirati indietro. Per mandare avanti questa operazione Dimon aveva preteso e ottenuto da Renzi la testa dell'allora ad di Montepaschi, Fabrizio Viola, e la sua sostituzione con un uomo di provenienza JP Morgan come Marco Morelli, già vice di Giuseppe Mussari mentre con le sue operazioni spericolate costui scavava il baratro sotto l'allora terza banca italiana.
Sta di fatto che l'operazione di ricapitalizzazione per 5 miliardi di fine dicembre è miseramente fallita, come era facilmente prevedibile, e nel frattempo, mese dopo mese, non si arrestava la fuga dei correntisti spaventati dall'incertezza sull'intervento del governo, tanto che da giugno scorso se ne sono andati via ben 14 miliardi (l'11% dei depositi), di cui 6 miliardi negli ultimi tre mesi, mentre il titolo Mps continuava a crollare in Borsa, tanto che a fine operazione il capitale della banca si era ridotto a soli 500 milioni, poco sopra la ricca parcella pretesa da JP Morgan e dagli altri advisor per la ricapitalizzazione, quantunque fallita.
Renzi è dunque direttamente responsabile per questo ulteriore disastro finale caduto sull'istituto già in ginocchio, e che ha reso molto più pesante il conto che ora la collettività deve pagare per salvarlo. Adesso infatti non solo lo Stato deve destinare al salvataggio di Mps tutti i 5 miliardi della mancata ricapitalizzazione e anche qualcosa di più (si parla di 5,5-6 miliardi), ma addirittura pare che non bastino neanche questi, visto che la Banca centrale europea (che con Deutsche Bank non è stata altrettanto rigida, mentre con Montepaschi pretende che si applichino le regole già imposte nel 2015 alle banche greche), chiede che i miliardi stanziati a garanzia della sua solvibilità siano almeno 8,8.
Nonostante questo fiume di miliardi pubblici, comunque, anche se l'intervento del Tesoro è denominato “salva risparmi”, in realtà non è affatto certo che i 40 mila piccoli risparmiatori in possesso di obbligazioni subordinate Mps per 4,3 miliardi non siano chiamati a pagare almeno una parte del salatissimo conto. Ci dovrebbe essere infatti una conversione forzata delle obbligazioni in azioni (che non valgono ormai più nulla), con un rimborso si dice all'80% della perdita subita da parte del Tesoro, che al termine dell'operazione, dall'attuale 4% diventerà l'azionista di maggioranza della banca senese: con una quota, a seconda degli analisti, che potrà essere intorno al 50% se non addirittura al 75%.
E le autorità europee, in primis quelle vicine al governo tedesco, premono proprio in questa direzione, affinché cioè i costi del salvataggio di Montepaschi e delle altre banche italiane siano scaricati anche sui loro “creditori”, senza distinzione tra istituzionali e piccoli risparmiatori, secondo la logica del “burden sharing”, ovvero della conversione forzata delle obbligazioni subordinate in azioni. Resta comunque una disparità di trattamento con le migliaia di risparmiatori di Banca Etruria e le altre tre banche popolari a cui l'anno scorso sono state invece applicate le più penalizzanti regole del “bail-in”, e che di colpo si sono visti azzerare del tutto il valore delle loro obbligazioni subordinate e solo in minima parte sono stati parzialmente rimborsati.
A pagare il conto saranno anche i dipendenti di Montepaschi, che secondo il piano industriale che la banca sta preparando per avere il via libera della Bce agli aiuti di Stato, prevede un taglio del costo del lavoro del 3,2%, 2.900 esuberi e la chiusura di 500 filiali. La cosa ancor più assurda e intollerabile è che nonostante il massiccio intervento dello Stato e il fiume di miliardi stanziato per tenerla in piedi (che la collettività dovrà pagare sotto forma di ulteriori tasse e tagli alla spesa sociale per essere reperiti), Montepaschi continua a rimanere una banca privata a tutti gli effetti, una Spa quotata in Borsa come una qualsiasi società privata, mentre il suo capitale è di fatto quasi tutto pubblico.
Non soltanto, quindi, adesso il popolo italiano è chiamato a pagare il conto della decisione del 1999 (governo D'Alema) di toglierla dal controllo pubblico e quotarla in Borsa, a cui poi è seguita la scellerata gestione Mussari, con l'intreccio affaristico-politico-massonico che l'ha portata al tracollo finanziario, ma come avviene sempre in questi casi una volta “risanata” con soldi pubblici Mps sarà rivenduta (si prevede tra due anni) sul mercato a prezzi da saldo: almeno la sua parte “sana”, perché quella indebitata rimarrà accollata come al solito allo Stato.
A questo punto non c'è che una strada affinché questo intervento pubblico non si traduca nell'ennesimo regalo alla speculazione privata a spese di decine di migliaia di piccoli risparmiatori, di migliaia di lavoratori bancari e delle masse popolari in generale: quella della nazionalizzazione. Solo in questo modo i miliardi stanziati per il salvataggio di Mps e delle altre banche in crisi potranno ritornare alla collettività, attraverso la difesa dei livelli di occupazione e il credito agevolato alle famiglie e alle piccole e medie imprese garantiti dal controllo pubblico.
 

4 gennaio 2017