A Sesto Fiorentino governata da Sinistra italiana
Muore profugo nell'incendio del capannone in cui viveva in condizioni subumane
Manganellati davanti alla prefettura i sopravvissuti al rogo che chiedevano “casa e dignità”. I comuni di Firenze e Sesto Fiorentino e la Regione toscana continuano a negare loro i più elementari diritti
Redazione di Firenze
Nella notte di mercoledì 11 gennaio Ali Muse Mohamud, profugo somalo di 44 anni, è morto nel rogo di un capannone abbandonato dove viveva in condizioni subumane, insieme a un centinaio di profughi e immigrati, alle porte di Firenze nella zona industriale dell'Osmannoro, comune di Sesto Fiorentino amministrato da Sinistra italiana. Allo scoppio dell'incendio, probabilmente causato dalle stufette utilizzate per difendersi dall'ondata di gelo, gli occupanti sono riusciti tutti a fuggire, ma Alì si è gettato di nuovo fra le fiamme per recuperare i documenti necessari al ricongiungimento familiare con la moglie e i tre figli attualmente in Kenya, ricongiungimento atteso da oltre due anni a causa delle lungaggini burocratiche, addirittura gli era stato richiesto il test del dna per certificare la paternità dei figli. Nel rogo del capannone altri due migranti sono rimasti feriti.
Fra le principali cause che nell'immediato hanno causato questo dramma gli occupanti hanno subito denunciato l'articolo 5 della legge 80/2014, voluta dal governo di Matteo Renzi, che prevede il distacco delle utenze negli stabili occupati. Polizia e tecnici dell'Enel erano intervenuti anche sul capannone bruciato all'Osmannoro, per cui gli occupanti avevano realizzati degli allacci alla rete elettrica privi di sicurezza.
Questo dramma è maturato per la vergognosa e colpevole assenza dello Stato italiano e delle istituzioni locali nell'accogliere un gruppo di profughi somali, arrivati a Firenze, in fuga dalla guerra, intorno all'anno 2000; come si vede la reazionaria negazione dei diritti per profughi e migranti è una costante anche nella Toscana governata dalla “sinistra”.
Sono stati finanziati sporadici “progetti”, finalizzati a “creare opportunità” o a tamponare emergenze abitative, e ingrassare le associazioni e cooperative coinvolte, secondo la filosofia di sussidiarietà che ispira il liberismo dilagante, ma non sono stati garantiti i diritti fondamentali. Per cui dopo 15 anni molti dei profughi somali, nucleo principale degli occupanti del capannone, pur avendo i documenti in ordine, non avevano domicilio, e quindi niente medico curante, niente accesso ai bandi per le case popolari, ecc., molti lavoravano a nero per 2-3 euro l'ora nei capannoni di imprenditori cinesi nella zona. Questi profughi nel corso degli anni hanno occupato diversi stabili, da cui sono stati via via cacciati; nel 2013 un altro giovane somalo si era suicidato, stremato dalla burocrazia per ottenere il permesso di soggiorno, nello stabile occupato in via Slapater a Firenze, da cui il gruppo è stato allontanato; all'epoca la Regione toscana ha investito 400mila euro in una cooperativa sociale per “parlare con gli occupanti”.
Per questo, dopo la notte di terrore e il ricovero di fortuna in un tendone del comune di Sesto Fiorentino, gli occupanti del capannone il giorno seguente hanno portato in piazza la loro giusta indignazione e le loro rivendicazioni. Prima davanti alla Prefettura, dove hanno improvvisato un sit-in bloccando la centrale via Cavour, poi a Palazzo Strozzi, dove è stato impedito loro di accedere ai locali della mostra di un artista internazionale proprio sui profughi. Negli striscioni e negli slogan le loro sacrosante ragioni: “Ali Muse è morto per colpa dello Stato”, "Vogliamo una casa e una vita dignitosa", “Vergogna, vergogna”, “Basta morti”.
Sabato 14 mattina gli occupanti hanno portato di nuovo la loro protesta davanti alla Prefettura. Volevano partecipare all'incontro del prefetto con i sindaci di Firenze e Sesto Fiorentino e il presidente della Regione Enrico Rossi per decidere la loro sorte, ma un nutrito cordone di poliziotti li ha tenuti lontani con due cariche e colpi di manganello. Nel primo pomeriggio il vertice ha deciso che la proposta per i rifugiati politici del capannone bruciato fosse quella dell’emergenza freddo: dormitori, sparsi in tutta la provincia di Firenze, in cui è possibile stare dalle 20 alle 7, e solo fino a marzo. La decisione è stata presa in pieno dispregio delle richieste che a gran voce venivano espresse dai manifestanti.
Lunedì 16 agli assistenti sociali il compito di far rientrare la protesta con colloqui individuali, gli occupanti hanno risposto con una delegazione che ha chiesto una contrattazione collettiva esprimendo il loro rifiuto unanime a una soluzione temporanea e inadeguata. Per le persone malate o invalide, hanno chiesto di sapere con precisione il luogo, le condizioni e la durata della permanenza e hanno continuato per ore a respingere i tentativi da parte degli assistenti sociali di dividerli.
Questo è l'epilogo, le amministrazioni comunali e regionale perseverano nella politica di negazione dei diritti ai profughi e migranti; sono ipocrite lacrime di coccodrillo i proclami di cordoglio, come quello dell'assessore al Welfare e Sanità, Accoglienza e Integrazione, Pari Opportunità e Casa del Comune di Firenze, Sara Funaro (PD, nipote di Piero Bargellini, il sindaco DC degli anni Sessanta), con cui ha annunciato che il Comune si farà carico dei funerali di Ali Muse.
Noi marxisti-leninisti esprimiamo tutto il nostro cordoglio e solidarietà alla famiglia di Ali Muse e a tutti gli occupanti del capannone, condanniamo duramente il vergognoso comportamento verso di loro degli amministratori di Sinistra italiana di Sesto fiorentino e di quelli del PD di Firenze e della regione Toscana, e invitiamo le masse popolari antirazziste a battersi con decisione per i diritti dei profughi e dei migranti, a partire da quelli del capannone andato a fuoco.
18 gennaio 2017