Frutto del Jobs Act di Renzi
Il 39,4% dei giovani sono disoccupati
Il Jobs Act si prepara a celebrare il suo terzo compleanno con una certificazione di fallimento assoluto. Le ultime rilevazioni Istat ci informano che la disoccupazione giovanile è salita nuovamente al 39,4% a novembre 2016, un tasso record da novembre 2015.
Dalle rilevazioni emerge che i 50enni continuano a lavorare, per via della riforma Fornero che ha allontanato la pensione, ma in condizioni sempre più precarie. Le stesse nelle quali lavorano gli under 49, dove però la disoccupazione è più alta. I numeri della perdita di occupazione rispetto al novembre 2015 fra i 35-49enni si aggirano sui 160mila nuovi senza-lavoro, 88mila fra i 25-34enni e 5mila fra i più giovani di 24 anni.
Quindi, anche chi ha la fortuna, per motivi anagrafici, di avere un lavoro, vive comunque con molte meno tutele e in condizioni precarie, al pari dei più giovani. Come noi sosteniamo da tempo, è pertanto evidente che le chiacchiere sullo “scontro generazionale” fanno comodo solamente al capitale perché dividono i lavoratori giovani da quelli anziani, quando in realtà vivono nelle stesse condizioni di sfruttamento e hanno quindi lo stesso interesse a cambiare.
Va detto che le cifre sono in parte confuse dal fatto che, fra i numerosi nuovi disoccupati, 57mila sono ex inattivi che si sono ora messi in cerca di un lavoro. Per sapere se l'hanno trovato, bisognerà aspettare le nuove rilevazioni. Tuttavia anche questo dato indica che chi esce dalla cosiddetta “inattività” trova tutt'altro che un mercato accogliente ed è a sua volta condannato a duri periodi di disoccupazione. Inoltre non cambia il fatto che per una fetta larghissima di giovani non c'è lavoro, senza contare che molti di quelli che il lavoro sono riuscito a trovarlo si trovano in condizioni tutt'altro che dignitose,magari pagati a “voucher”.
Le condizioni probabilmente peggioreranno quest'anno visto che si esauriranno del tutto gli sgravi fiscali generosamente concessi al padronato dal governo per assumere col Jobs Act. Già nel 2016, col taglio dei bonus da poco più di 8mila euro a 3.250 euro, si è registrato un crollo delle assunzioni, dimostrando che la riforma del lavoro approvata nel 2014 è tutt'altro che la panacea di tutti i mali per la disoccupazione, soprattutto giovanile, e non indebolisce il precariato ma lo estende a tutti, grazie al quale i padroni possono licenziare a piacimento e l'articolo 18 non esiste più per nessuno. È questo il principale vantaggio per il capitale, ormai irrinunciabile, tanto che la Consulta l'ha difeso a spada tratta dichiarando inammissibile il referendum per ripristinare l'articolo 18. Mentre non c'è stato nessun miglioramento sostanziale dell'occupazione.
Con buona pace di Renzi e del suo continuatore Gentiloni, il quale nel professare fedeltà agli atti dell'esecutivo del neoduce di Rignano ha proclamato come prima cosa che il Jobs Act non si tocca. Rivelandosi così nemico dei lavoratori tanto quanto il suo predecessore e manovratore.
18 gennaio 2017