Come risulta dalla nota trimestrale di Istat, Inps, Inail e ministero del Lavoro
I contratti a termine superano quelli stabili
Nella seconda metà del 2016 cala l'occupazione, cresce il precariato e l'utilizzo dei voucher, penalizzati soprattutto i giovani
Un nuovo metodo è stato messo seguito dall'Istat e prevede l'integrazione delle rilevazioni dell'istituto nazionale di statistica incrociate con quelle di Inps, Inail e ministero del lavoro. I risultati però non cambiano e decretano ancora una volta il fallimento del Jobs Act sul piano occupazionale. La martellante propaganda di Renzi sugli effetti “miracolosi” di questa controriforma si scontrano con la realtà dei fatti. Lo hanno capito bene le masse popolari che il 4 dicembre non solo hanno difeso la Costituzione respingendo il disegno fascista del nuovo duce, ma hanno sonoramente bocciato la politica economica del suo governo e il Jobs Act in particolare.
Stavolta sono i dati trimestrali sull'occupazione diffusi dall'Istat a fine anno a smontare un ulteriore pezzo del castello di menzogne costruito da Renzi. Nel terzo trimestre 2016 le assunzioni a termine superano di gran lunga quelle stabili. Nei primi sei mesi dell'anno erano prevalse le assunzioni a tempo indeterminato, anche se bisogna sempre ricordare come la forma dei contratti a tutele crescenti
introdotte dal Jobs Act non sono rapporti stabili come nel passato perché lasciano per i primi tre anni la possibilità ai padroni di licenziare liberamente il lavoratore attraverso il pagamento di un misero indennizzo.
Tendenzialmente, ossia in rapporto all'anno precedente, rimane una lieve crescita generale pari a 239 mila occupati in più ma nella seconda parte del 2016 questo processo si è arrestato e l'occupazione comincia a calare e a cambiare tipologia. Nei mesi luglio-agosto-settembre si registrano 93mila nuovi contratti di assunzione ma balza subito agli occhi la sproporzione tra quelli a tempo indeterminato, che sono 10mila e di quelli a termine che sono 83mila.
In termini numerici, nonostante gli sforzi propagandistici del governo, rimane più o meno tutto fermo e non deve trarre in inganno l'aumento percentuale degli occupati salito di alcuni punti percentuali. Questo è dovuto in una certa misura all'invecchiamento della popolazione che ha ridotto la consistenza della fascia di età tra i 15 e i 64 anni. La riduzione degli inattivi la si deve in gran parte alla legge Fornero che nega la pensione ben oltre i 64 anni. Tutto questo incide sulla disoccupazione giovanile che infatti continua ad aumentare ed è la più alta in Europa, seconda solo alla Grecia. Tra gli under 35 l’occupazione scende sia rispetto al trimestre precedente (-1,1%) che sull’anno (-0,6%). Rispetto al periodo aprile-maggio-giugno gli occupati di questa fascia d’età sono arretrati di altre 55 mila unità.
Rispetto al trimestre precedente (dati congiunturali) si registra un aumento del lavoro dipendente, mentre quello autonomo è in forte calo. Se andiamo a guardare i diversi settori vediamo che il saldo dell'industria rimane invariato mentre il lavoro indipendente registra un calo dell'1,5%, pari ad 80 mila occupati in meno. L'unico aumento lo abbiamo nel terziario e sopratutto negli alberghi, nella ristorazione e nel commercio (+1,1%). Particolari settori dove il precariato raggiunge i massimi livelli, il che fa presupporre che sia di questo tipo la nuova occupazione che si è creata.
L'ulteriore sviluppo del precariato è confermato dall'ennesimo aumento dell'uso dei voucher. Nei primi 9 mesi del 2016 ne sono stati venduti 109,5 milioni, il 34,6% in più rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. I dati sui buoni lavoro sono comunque da prendere con le molle perché il numero mediano di voucher riscossi dal singolo lavoratore che ne ha usufruito è 29 nell’anno 2015: ciò significa che i prestatori di lavoro accessorio hanno riscosso mediamente voucher per 217,50 euro netti. Numeri inverosimili a fronte della loro reale diffusione a dimostrare come questo strumento, già di per sé elusivo di molti diritti, serve a coprire una larga fetta di lavoro completamente a nero.
Un altro dato allarmante è quello sugli infortuni che aumentano dell'1,1% rispetto all'analogo trimestre del 2015. L'Istat rileva che ciò è in linea con l'aumento dell'occupazione tendenziale. Anche se così fosse significa che sulla prevenzione degli incidenti sul lavoro non si è fatto nessun passo in avanti.
Ma il dato forse più eloquente è quello sull'andamento delle richieste di nuove assunzioni rispetto all'entrata in vigore del Jobs Act, in particolare di quelle a tempo indeterminato, pur sempre nelle limitazioni del contratto a tutele crescenti
. Ebbene, l'incremento più significativo è concentrato nell'ultimo trimestre del 2015 e, con un effetto trascinamento, si protrae nel primo del 2016 per poi declinare sempre di più fino alla situazione attuale dove predomina il contratto a termine.
Un andamento strettamente legato agli sgravi fiscali che il governo ha generosamente erogato ai padroni. Come abbiamo più volte denunciato, e non siamo solo noi, l'aumento, seppur modesto, dell'occupazione successivo al Jobs Act è dovuto essenzialmente a questi denari pagati dalla collettività che nel 2015 ammontavano a oltre 8mila euro per ogni singola assunzione, ridotti a poco più di 3mila nel 2016 e che nel 2017 termineranno.
1 febbraio 2017