Accordo tra PD, M5S, Lega
Il nuovo Italicum anche per il Senato
D'Alema lavora per un listone antiRenzi. Bersani non esclude la scissione del PD
Verso le elezioni a giugno?
La bocciatura solo parziale dell'Italicum da parte della Corte costituzionale, che ha respinto il ballottaggio ma lasciato in piedi la truffa del premio di maggioranza al 40% e i capilista bloccati, ha aperto un insperato varco alle smanie di Renzi di precipitarsi verso le elezioni anticipate il più presto possibile, possibilmente a giugno se non addirittura a fine aprile, nel tentativo di prendersi una rivincita e tornare a Palazzo Chigi.
Tutta questa fretta si spiega con la preoccupazione che col passare del tempo si dissolva del tutto quel gruzzolo del 40% di Sì alla sua controriforma costituzionale, che egli crede (o si illude) possano tramutarsi in altrettanti voti al PD, mentre al suo interno cresce il dissenso della sinistra e si sta facendo sempre più concreto il rischio di una scissione. D'altra parte l'insperata facoltà di poter ancora decidere i nomi dei 100 capilista bloccati e candidabili in più collegi, gli dà ancora un'ultima occasione di disfarsi dei suoi avversari interni e affrontare una nuova legislatura con dei gruppi parlamentari completamente omogenei e asserviti.
É in questo quadro che il 31 gennaio il PD è riuscito a concludere un accordo con il Movimento 5 Stelle e con la Lega, altrettanto interessati ad andare quanto prima al voto, per estendere anche al Senato il nuovo Italicum, ovvero ciò che ne resta dopo l'intervento della Consulta. In questo modo verrebbe superato il veto di Mattarella allo scioglimento anticipato della legislatura in mancanza di una legge elettorale omogenea per le due Camere.
Analoghe trattative sono in corso anche con Berlusconi, che pur continuando a preferire il proporzionale puro è tentato anch'egli dalla possibilità di scegliersi personalmente i candidati. E per fare in tempo a votare in primavera, la proposta del PD prevede l'approvazione in parlamento con tempi contingentati e con il voto di fiducia, eventualmente con il voto di Lega e M5S solo sugli emendamenti e l'uscita dall'aula al momento del voto di fiducia al governo.
Minacce di scissione e invocazione del congresso
Tuttavia l'accelerazione verso il voto anticipato impressa da Renzi ha fatto insorgere la sinistra del PD, che ha percepito il rischio di essere fatta fuori attraverso le candidature. Alle aperte minacce di D'Alema, che alla riunione dei suoi comitati per il No aveva ventilato l'uscita della sua corrente dal PD in caso di forzature elettorali di Renzi, si è unito anche Bersani nell'ammettere per la prima volta non più impensabile una scissione da parte della sinistra del partito, e nel resuscitare il fantasma dell'Ulivo: “Non minaccio nulla né garantisco nulla”, ha detto l'ex segretario all'Huffington Post
a proposito dell'eventualità di una scissione. “Se Renzi forza, rifiutando il congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il PD. E non nasce la cosa 3 di D'Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”.
Ormai sono in tanti nel PD a chiedere il congresso anticipato, prima di andare alle elezioni: da Bersani e Speranza a Cuperlo, dal governatore toscano Enrico Rossi al governatore della Puglia Michele Emiliano, che si candida alla segreteria e che insieme al lettiano Boccia si è messo a raccogliere le migliaia di firme tra gli iscritti necessarie per costringere Renzi a convocare il congresso. E alla porta sbattuta loro in faccia dal tirapiedi renziano Orfini, che al posto del congresso offre solo le primarie per decidere il candidato premier, ribattono alzando la posta e chiedendo al segretario sconfitto al referendum di presentarsi dimissionario al congresso.
L'idea di un nuovo Ulivo, o “Ulivo 4.0” come lo ha chiamato oscuramente Bersani, in contrapposizione al “partito della nazione” che Renzi continua evidentemente ad accarezzare, cerca di rialzare la testa nel PD incoraggiata anche da Prodi, che ha dichiarato “non irripetibile” l'esperienza degli anni '90 e di essere pronto a “dare una mano” se la situazione nel partito dovesse precipitare.
Lo strappo di Napolitano e la frenata della corsa la voto
Ad aumentare la confusione si è aggiunta una dichiarazione di Napolitano nettamente contraria alle elezioni anticipate: “Nei paesi civili – ha detto infatti l'ex capo dello Stato – alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno. Non si toglie la fiducia al governo per il calcolo di qualcuno”. Tralasciando il fatto che questo è proprio ciò che lui fece silurando Letta per insediare al suo posto Renzi, questa dichiarazione suona come una secca presa di distanza dalla sua corsa verso le urne. Già prima del referendum, dopo averlo appoggiato senza riserve per quasi tre anni, egli aveva manifestato il suo malumore verso Renzi per la sua eccessiva “personalizzazione” della campagna referendaria e per aver agitato la minaccia della fine anticipata della legislatura. Ora lo strappo tra i due sembra essere definitivo, segno che anche il rinnegato Napolitano non gli attribuisce più molte possibilità di rivincita, anzi lo considera ormai un pericoloso giocatore d'azzardo che con la sua smania di elezioni subito rischia di far vincere Grillo, e preferisce quindi puntare sulla durata fino al 2018 del meno ambizioso ma al momento più affidabile Gentiloni. Un giudizio probabilmente condiviso da Mattarella, che infatti per il momento non si espone e attende silenziosamente gli eventi.
Eventi che vanno rapidamente evolvendosi, visto che neanche 24 ore dopo l'annunciato accordo elettorale tra PD, M5S e Lega, Grillo lo ha rimesso in discussione tornando a chiedere la cancellazione dei capilista bloccati: “Una scelta di democrazia”, l'ha definita sul suo blog, sconcertando Renzi, Salvini e Berlusconi per i quali i capilista bloccati sono proprio il punto di forza del nuovo Italicum. Evidentemente si stanno facendo sentire i contraccolpi negativi della vicenda giudiziaria della Raggi e dell'incapacità della sua giunta di governare Roma, delle faide interne al movimento e delle altre giunte comunali in crisi, e il padre padrone del M5S non è più tanto ansioso di correre al voto in un momento come questo, e perciò forse preferisce guadagnare tempo.
Il suo ripensamento, aggiunto alla scarsa voglia dei parlamentari di tutti i partiti di andarsene a casa prima del tempo, deve aver contribuito evidentemente alla frenata da parte della commissione Affari costituzionali, che ha deciso di rinviare la calendarizzazione del nuovo Italicum in parlamento in attesa della pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Consulta. Non è detto insomma che Renzi riesca a portarlo a casa in tempo utile per votare a giugno come vorrebbe. Inoltre la crisi riacutizzata nel PD, con la prospettiva di arrivare alle elezioni con un partito spaccato e che perde pezzi lo hanno costretto a tirare il freno, tanto che per la prima volta si è dichiarato possibilista sull'eventualità di votare nel 2018. Anche se successivamente si è dichiarato disposto a concedere il premio alla coalizione in cambio del voto a giugno.
Le manovre elettoralistiche all'esterno del PD
Avvalorano i timori di scissione le manovre in corso all'esterno del PD, con D'Alema che sta già lavorando per costruire un listone antiRenzi, e che a questo scopo ha invitato nella sede della sua fondazione ItalianiEuropei Nichi Vendola e Nicola Fratoianni, candidato alla testa di Sel-Sinistra italiana, il cui congresso previsto il 17 febbraio a Rimini, che dovrebbe inglobare anche i fuoriusciti del PD di Fassina, è ora rimesso in discussione dalla fazione dell'altro candidato Arturo Scotto, ma anche dalle novità che si sono aperte a sinistra con la crisi nel PD.
In quest'area, rimessa in movimento dalla sconfitta referendaria di Renzi, stanno cercando infatti una collocazione elettorale degna delle loro ambizioni personali anche l'ex sindaco di Milano Pisapia, che sta girando l'Italia per organizzare insieme al sindaco di Cagliari Zedda un suo Campo progressista da affiancare elettoralmente al PD, e il sindaco di Napoli, De Magistris, che da tempo si presenta come il leader capace di riunire sotto la sua bandiera elettorale tutti i movimenti antagonisti.
Come sempre l'obiettivo di tutti questi vecchi imbroglioni politici è quello di drenare i voti degli astensionisti di sinistra, cercando in particolare di canalizzare i comitati per il No a supporto delle loro manovre elettoralistiche, sempre e comunque rivolte a creare nuovi soggetti politici per ingannare i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo e riportarli nell'ambito del parlamentarismo, del riformismo e del legalitarismo borghesi.
8 febbraio 2017