Multe salate della Ue per la rete idrica vecchia
La privatizzazione dell'acqua è fallita e costa cara
Le grandi aziende, come Acea, Hera, A2A e Iren, chiedono l'aumento delle tariffe per aumentare i loro profitti
La situazione degli acquedotti, della distribuzione e della rete fognaria italiana è ormai nota da tempo; acquedotti vecchi di 30 o 50 anni con una dispersione media nazionale di circa il 50 per cento, particolarmente concentrata al Sud e nelle isole, e una depurazione delle acque reflue che copre solo per l’11 percento del totale delle utenze. Ci sono poi i casi più allucinanti, come Alcamo, in provincia di Trapani, che non eroga acqua dai rubinetti da anni. L’acqua viene distribuita a fasce orarie, utilizzando le autobotti, e costa tantissimo: un metro cubo, comprensivo di fantomatici servizi di depurazione e fognatura, costa 1,72 euro e non è neppure assicurato. A poco è servito l’avvicendamento del primo cittadino del comune che ora è amministrato dal Movimento 5 Stelle, poiché ancora non esiste una erogazione decente e tutto rimane in mano ai privati. Per sistemare tutto il “processo acqua”, in Sicilia come altrove, servirebbero fondi pubblici e soprattutto un servizio interamente pubblico, indipendente dal profitto, ed in coerenza con l’esito referendario del 2011. Le principali conseguenze di un sistema di distribuzione e di depurazione così vergognosi, sono gli incalcolabili danni per l’ambiente e per la qualità delle acque marine e di superficie; in seconda battuta ma non meno importanti, sono le sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque. Questa la situazione che emerge dal Blue Book 2017, realizzato dalla ex Federutility ora Utilitalia, l’associazione delle aziende multiulity italiane, che segnala anche come, a causa dei ritardi nell’ammodernamento delle infrastrutture idriche, gravi sull’Italia una nuova multa dell’Unione europea. Lo scorso dicembre l’Italia ha già subito due procedure d’infrazione con una conseguente sanzione pari a 62,7 milioni di euro, alla quale andranno aggiunti 346 mila euro al giorno fin quando non saranno sanate le irregolarità del ciclo integrato delle acque. In pratica altri 61 milioni a semestre di inadempienza, prelevati direttamente dalle tasche della popolazione. Su questo punto si arrampica sugli specchi il Ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, sostenendo che non sono le risorse a mancare, ma “la capacità, la velocità e la trasparenza nella spesa in sede locale”. Colpa degli enti periferici dunque, e di qualche isolato malfunzionamento. La privatizzazione non c’entrerebbe. Le grandi aziende dell’acqua quindi, tirano fuori il problema ma, naturalmente, propongono una soluzione a loro funzionale: nel report i gestori sostengono che l’unica soluzione per migliorare il servizio sia quella di alzare le tariffe per coprire i costi degli investimenti necessari, stimati in 5 miliardi l’anno. In pratica circa 80 euro per abitante, mentre ora il programma 2014-2017 prevede una media di 32 euro pro capite. Tutti soldi che, secondo le aziende, in base al sistema “full cost recovery” dovranno essere sborsati dai cittadini, per adeguarsi ad esempio alle tariffe di Berlino dove un metro cubo di acqua costa 6,03 dollari, o di Parigi e Londra, dove il costo è comunque più che doppio rispetto a quello di Roma. Soltanto Atene e Mosca, insiste il rapporto, hanno tariffe così basse come l’Italia. Peccato, sempre per fare un esempio, che il report dei padroni dell’acqua non tenga minimamente conto del rapporto costo-stipendi di un determinato Paese; in pratica quanto effettivamente la tariffa pesa per il reddito di una famiglia italiana, un costo dell’acqua praticamente doppio dell’attuale quando i suoi introiti sono della metà o di un terzo delle famiglie dei paesi sopra citati. Le grandi multiutility quotate in Borsa, come Acea, Hera, A2A ed Iren, per citare le maggiori, stanno premendo per assorbire i gestori più piccoli e rilanciare la politica del “full cost recovery”, e cioè il costo del servizio interamente coperto dalla tariffa. Queste proposte sono “una cura peggio della malattia” come dice il Forum dei Movimenti per l’Acqua Pubblica, poiché tali aziende hanno semplicemente fini di lucro ed hanno ampiamente dimostrato il loro disinteresse nel fornire un servizio decente. Nel report, a sentire le aziende, pare che il problema acqua in Italia sorga adesso; in realtà è dalla metà degli anni ’90 che è iniziata la privatizzazione dell’acqua perché, si diceva, solo una gestione privatistica delle municipalizzate avrebbe saputo migliorare la rete. La situazione attuale dimostra appieno il fallimento dei privati nel gestire la cosa pubblica e, di contro, gli utili di queste grandi multi utility che continuano a crescere, testimoniano che esse perseguono solo il profitto e nulla più. L’unica soluzione è invertire decisamente la rotta, ripubblicizzando il servizio con un grande piano di investimenti sul ciclo dell’acqua finanziato dalla fiscalità generale; bisogna innanzitutto ammodernare e garantire la costante manutenzione delle reti idriche per garantire l'igiene e evitare sprechi. Servono piani straordinari immediati per garantire in quantità sufficiente l'afflusso e i rifornimenti dell'acqua potabile in tutti i centri abitati, specie al Sud e nelle Isole; occorre adeguare e potenziare gli impianti municipali di depurazione dell'acqua che garantiscano condizioni di massima sicurezza igienica di potabilizzazione e pressione sufficiente nelle tubature dell'acquedotto, unitamente ad analisi periodiche e batteriologiche, da parte delle amministrazioni comunali, dell'acqua potabile pubblicizzandone i dati risultanti. Per il Sud e per le isole, dovrebbero essere fatti ulteriori sforzi per individuare nuove falde acquifere, creare invasi appositi per la raccolta di riserve d'acqua consentendo finalmente il rifornimento adeguato dei centri urbani.
8 febbraio 2017