Aperte le trattative per la costruzione dello stadio della Roma
La Raggi cede ai palazzinari e cementificatori rimangiandosi le sue promesse elettorali
Un'opera faraonica costosa per la collettività, urbanisticamente mostruosa e a rischio idrogeologico
Sembra proprio che, contrariamente alle recenti dichiarazioni della sindaca Virginia Raggi nelle quali afferma che la decisione definitiva sarà rimandata alla prossima conferenza dei servizi, l’accordo sulle cubature del maxi-impianto della AS Roma, sia stato già trovato. Secondo molti quotidiani, le parti avrebbero già messo a punto i termini dell’accordo: il progetto iniziale prevedeva per il “business park” 900mila metri cubi di nuove costruzioni, mentre l’allora assessore Berdini ne chiedeva il taglio di almeno il 60%, abbattendo così la cubatura a 330mila. A questa controproposta la As Roma e il costruttore Parnasi hanno risposto rilanciando a 600mila il totale dei nuovi cubaggi. Ed è qui che si è inserito nella contrattazione finale l’ex-vice sindaco Frongia, in oscuro accordo con Parnasi, per chiudere con una riduzione di un ulteriore 10% rispetto a quei 600mila. Un vero e proprio tradimento rispetto alle posizioni dell’ex assessore all’urbanistica Paolo Berdini, che ha considerato il patto un via libera alla speculazione firmato proprio da chi aveva promesso di combatterla, ma anche al programma elettorale dell’allora candidata cinquestelle che aveva opposto il “No” alle cubature extra, quale uno dei suoi maggiori cavalli di battaglia. Tor di Valle è divenuto invece il più grande crocevia di interessi, stimabili in 3 miliardi di euro, da investire per la costruzione dell’intero complesso; e quando ci sono tanti interessi in mezzo ed una possibile ritrovata popolarità, dopo le scandalose vicende di Raggi & Co., ricavata dal mondo calcistico, nuovo “oppio dei popoli”, non c’è Movimento o etica che tenga.
Il progetto, i costi e i rischi
Un milione di metri cubi a Tor di Valle, in una fragile ansa del Tevere non lontana dall’Eur, località difficilmente accessibile, servita solo dalla Roma-Lido, la peggiore ferrovia d’Italia. Questo è in estrema sintesi la “location” del “business park” di Pallotta. Delle nuove cubature previsto, lo stadio e le altre funzioni connesse alle attività sportive rappresentano solo una minima parte, meno del quindici per cento, del complesso immobiliare che comprende tre grattacieli alti più di duecento metri e tanti altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali senza rapporti con lo stadio, ma destinati a compensare il costo delle infrastrutture dichiarate necessarie per la funzionalità dell’insieme.
Una specie di piccola Eur dunque, dove il piano regolatore prevede impianti sportivi con modeste cubature. Tutto ciò sarebbe consentito non da una legge sugli stadi, della quale ogni tanto si sente parlare anche se non esiste, ma grazie a una norma inserita forzosamente e all’ultimo momento nella legge di stabilità del 2014, e quindi approvata solo per volontà del governo con voto di fiducia. Desta perplessità, o meglio, apre gli occhi sui reali fini dell’opera per la quale l’impianto sportivo è solo un contorno, la questione dei parcheggi previsti: nessuno Stadio europeo, grande o piccolo, vecchio o nuovo, presenta una dimensione di parcheggi a raso vasta 22 ettari. Un incredibile quanto inutile consumo di suolo. Ed il paragone non vale solo per gli impianti sportivi, perché anche se si guarda alle più grandi strutture per il divertimento in Italia, e perfino ai più grandi centri commerciali, in nessun caso si arriva a numeri simili. Anche lo slogan lanciato dal capitano della Roma Totti “#FamoStoStadio” è diventato il tormentone della campagna messa su dai club romanisti riunitisi nel “comitato per il sì” che già annunciano “promozione” in tutte le curve. Lo stesso slogan è stato ripreso anche con i cartelli innalzati in Aula da alcuni consiglieri capitolini del Pd.
Renzi che si è naturalmente schierato per il Sì, mentre nicchia Bersani che si rifiuta di prendere posizione poiché “non parla di cose di calcio”, come se fosse il calcio il nocciolo della questione. In realtà il progetto che sta per essere ufficializzato ha in sé enormi oneri di urbanizzazione e solo chi è in malafede non riesce a notare che in un contesto del genere lo stadio vero e proprio rappresenta solo il cavallo di Troia per realizzare tutto il resto. Inoltre è stata scelta un’area che ha bisogno di un enorme investimento pubblico, che potrebbe anche non essere risolutivo, data la sua conformità e le sue caratteristiche. In primis il rischio idrogeologico pare insormontabile; secondo alcuni esperti quella zona non è solo una delle più complicate di Roma, ma anche d’Europa e del mondo, se si considera l’edificazione. Esiste un documento del Comune di Roma che parla per quell’area di “regimazione” del fosso di Vallerano, un affluente sotterraneo del Tevere. Roma è percorsa da tanti fiumi sotterranei che, se da un lato la mettono a riparo dal rischio sismico, evidenziano fortemente il rischio idrogeologico. Per convogliare le acque piovane dai parcheggi, servirebbero idrovore per una spesa di oltre 9 milioni di euro, più altre opere idrauliche generali e molto probabilmente non risolutive per altri 16/16 milioni. Ne consegue in generale un progetto non sostenibile dal punto di vista finanziario poiché l’urbanizzazione costerebbe oltre 270 milioni, mentre la AS Roma ha posto il contributo massimo a 50.
La regia delle banche
Chi ha scelto dunque quell’area? Probabilmente chi aveva interessi, come Parnasi ed Unicredit. La grande Banca d’affari, ex proprietaria del 31% di quote della società giallorossa, poi cedute a Pallotta nel 2014, è anche la stessa che ha finanziato Parnasi nell’acquisizione dei terreni da girare per il nuovo stadio. Nel 2016 Parnasi, abbondantemente indebitato per circa 500 milioni con finanziarie e banche, sigla con la stessa Unicredit un accordo per il piano di ristrutturazione aziendale al quale seguono pesanti licenziamenti fra i lavoratori, dando vita a Parsitalia. Unicredit, quindi ha tutto l’interesse che Parsitalia rientri più rapidamente possibile, senza rischi. Quale migliore occasione di una boccone così goloso come la colossale cittadella dell’amico Pallotta che, insieme a Goldman Sachs e Rotschild, è già alla caccia di nuovi investitori? In pratica a Roma si stanno dando le chiavi della città in mano al privato, in piena continuità col passato e con “Mafia capitale”. Siamo probabilmente di fronte alla più grossa speculazione fondiaria tentata a Roma dopo l’Unità d’Italia e conta poco non sapere neppure quale sarà il destino dello stadio Olimpico e del vecchio stadio Flaminio, ormai vergognosamente abbandonato. Per non dire della futura difficoltà a negare lo stesso trattamento a una eventuale richiesta della Lazio o di altre società sportive. Ma, è vero, ci stiamo dimenticando che in questa vicenda lo sport non c’entra nulla.
I nuovi palazzinari del Movimento 5 stelle romano e l’epurazione di Berdini
Roma, infine, ha già nel piano regolatore una dotazione di milioni di metri cubi largamente inutilizzati poiché ci sono 185 mila alloggi sfitti o invenduti e parecchi metri quadrati di uffici altrettanto vuoti. Nella sua trattativa, tali argomentazioni sono state avanzate anche dall’assessore all’urbanistica Berdini, contrario a un progetto di queste dimensioni, anche se possibilista verso un intervento in forma “ridotta”. Sessantotto anni, ingegnere specializzato in urbanistica, Berdini ha un passato di militanza dal Pci a Rifondazione Comunista, ed è un ambientalista attivo, membro di Italia Nostra e per quattro anni, dal 2009 al 2012, del Consiglio nazionale del Wwf. Fin da quando il suo nome era comparso sul taccuino del toto-assessori e poi annunciato tra i primi aderenti alla squadra di governo Raggi, donandole una certa dose di autorevolezza e affidabilità presso ampi settori dell’opinione pubblica, le quotazioni del M5S erano salite presso ambienti prima difficilmente raggiungibili. Oggi però il suo destino pare segnato a seguito di una intervista “rubata” dalla telecamera di un giornalista precario nella quale Berdini esprime parole poco edificanti sulla Raggi e sulla sua giunta. In estrema sintesi ha definito la Raggi “impreparata”, circondata da “corte dei miracoli” che pare più una “banda” che un gruppo di tecnici. Da mesi però si parla della possibilità che Berdini sia cacciato dalla giunta vista la sua contrarietà al progetto del nuovo stadio, che vorrebbe fosse realizzato nel quadro dei vincoli del piano regolatore, ossia senza le tre torri e la centralità commerciale previsti dal disegno attuale, e con al massimo 300 mila nuovi metri cubi. Alla fine è stato lui che se ne è andato sbattendo la porta. Si tratta comunque di una nuova epurazione dunque a chi mette il bastone fra le ruote agli scagnozzi di Grillo, anche se essi cercano di limitare in qualche modo la piaga della speculazione.
Roma in sintesi, dopo decenni di governo del territorio realizzato con l’assenso dei principali proprietari fondiari, dei maggiori costruttori e immobiliaristi, rimane la stessa anche se “targata” 5 Stelle. La giunta Raggi, la questione “stadio”, Marra, Paola Muraro, Salvatore Romeo, così come le vicende che hanno coinvolto il movimento a Roma dimostrano che i vertici pentastellati rappresentano la continuità con i giochi di potere borghesi che dicono di contrastare; altro che alternativa, essi rappresentano un vero e proprio puntello al capitalismo.
15 febbraio 2017