Non si accontenta del ritiro del decreto “salva corrotti”
Il popolo romeno in piazza chiede le dimissioni del governo
Il primo ministro romeno Sorin Grindean annunciava il 5 febbraio il ritiro del decreto che era stato approvato dal suo governo per depenalizzare una serie di reati legati alla corruzione di fronte alle proteste di piazza che da sei giorni consecutivi si svogevano a Bucarest e in decine di altre città della Romania; nella capitale erano almeno 170 mila i manifestanti e oltre 300 mila nelle altre città che chiedevano il ritiro del decreto bollato come “salva corrotti” e che decidevano di restare in piazza chiedendo le dimissioni del governo.
La più massiccia protesta di piazza dal 1989, dalla rivolta che fece cadere la dittatura di Nicolae Ceausescu, metteva in difficoltà l'esecutivo a guida socialdemocratica e causava il 9 febbraio anche le dimissioni del ministro della Giustizia Florin Iordache, l'autore della legge contestata. In seguito alle proteste iniziate fin dalla presentazione del decreto all'inizio di gennaio si era già dimesso il ministro del Commercio Florin Jianu; in poco più di un mese sono saltate due poltrone dell'esecutivo entrato in carica il 4 gennaio.
L'esecutivo guidato da Sorin Grindean è formato dalla coalizione tra il Psd (Partito Social Democratico) e l'Alde (Alleanza Liberal Democratica) che alle elezioni politiche dell'11 dicembre 2016 avevano ottenuto rispettivamente il 42% e il 19% dei voti validi. E una solida maggioranza parlamentare che però non ha riscontro nel paese a fronte di una diserzione delle urne che aveva toccato il 60% dei circa 18 milioni di elettori e ridotto la rappresentatività reale dei partiti della coalizione a circa un quarto dell'elettorato.
L'esecutivo di Grindean succedeva ai due precedenti costretti alle dimissioni da imponenti manifestazioni di piazza; nel febbraio del 2012 si era dimesso il premier Emil Boc, sostenuto dalla formazione di centrodestra del Partito Democratico Liberale mentre nel 2015 era stata la volta del socialdemocratico Victor Ponta, costretto a farsi da parte per accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale dopo la tragedia della morte di 64 persone in una discoteca a Bucarest a causa di un incendio scoppiato per mancanza di norme di sicurezza e di controlli.
Nonostante questi precedenti il governo di Grindean approvava a fine gennaio un decreto d’emergenza predisposto dal ministro Iordache che entrava in vigore con effetto immediato per la depenalizzazione di una serie di reati legati alla corruzione. Il decreto, che sarebbe dovuto entrare in vigore il 10 febbraio, prevedeva tra le altre la punizione col carcere per reati quali l'abuso d’ufficio solo se fosse stato provato un danno per lo Stato superiore a 44.000 euro; una norma che sembrava costruita apposta per fornire un salvacondotto al leader del Psd, Liviu Dragnea, il premier di fatto alle spalle di Grindean, che nonostante avesse vinto le elezioni di dicembre non ha potuto sedersi sulla poltrona di capo del governo perché sospeso dagli incarichi pubblici per l’accusa di abuso d’ufficio, per un valore di 24.000 euro, e per frode elettorale in occasione del referendum presidenziale del 2012.
Assieme al varo della legge “salva corrotti” il governo aveva in programma di portre in parlamento anche una proposta per scarcerare 2.500 amministratori pubblici condannati a meno di cinque anni per reati non violenti. Gran parte di questi, assieme all'ex primo ministro Victor Ponta, a cinque ministri, 16 deputati e 5 senatori, sono finiti sotto accusa e condannati per abuso d’ufficio tra il 2014 e il 2016 per rispondere alle proteste popolari contro il dilagante fenomeno della corruzione nelle istituzioni. Nonostante il giro di vite degli ultimi due anni la Romania resta in cima alla classifica, redatta dall’organizzazione Transparency International, delle nazioni più corrotte dell’UE, si trova al quarto posto dietro Italia, Grecia e Bulgaria.
Il semplice ritiro del decreto “salva corrotti” non poteva accontentare il popolo romeno che restava in piazza a chiedere, dopo quelle del ministro della Giustizia, le dimissioni del governo. "Ladri", "dimissioni", "Noi resistiamo", continuavano a gridare quotidianamente i manifestanti sotto le finestre del governo in Piata Victorie a Bucarest. La partita non è chiusa, tanto più che il 10 febbraio la Corte di Cassazione dava il via libera al processo con accuse di frode e di falsa testimonianza a carico di Calin Tariceanu, il presidente del Senato e leader del partito liberale che sostiene il governo.
In soccorso del governo arrivava l'iniziativa del presidente romeno Klaus Iohannis che invitava il parlamento a affidargli il compito di indire un referendum popolare sul tema della lotta alla corruzione; il 13 febbraio il parlamento di Bucarest votava la proposta all'unanimità pensando di offrire alla piazza un diversivo che induca i manifestanti a tornare a casa in attesa che il presidente decida la data del referendum.
15 febbraio 2017