Cacciati dalla conferenza stampa i giornalisti non graditi
Trump rilancia l'egemonia militare dell'imperialismo americano
In base al principio “Io credo nella pace ottenuta con la forza”, annuncia la “supremazia atomica” e il rafforzamento dell'esercito
“Cancelleremo l'ISIS dalla faccia della terra”

 
La prima legge di bilancio della nuova amministrazione americana sarà presentata il prossimo 13 marzo ma già se ne conosce la bozza di proposta inviata dalla Casa Bianca alle agenzie federali e resa nota il 27 febbraio con la sottolineatura del capitolo sulle spese militari che nel 2018 aumenteranno di ben 54 miliardi di dollari, circa il 10% in più. “Sarà un budget che rispetta la mia promessa di proteggere gli americani”, assicurava il presidente Donald Trump che già in diverse occasioni nei giorni precedenti aveva suonato i tamburi di guerra e annunciato una politica di rilancio dell'egemonia militare dell'imperialismo americano.
Tra una intervista all'agenzia Reuters e l'intervento a una conferenza di formazioni di destra Trump aveva annunciato il riarmo atomico e convenzionale delle forze armate americane in base al principio della “pace ottenuta con la forza”, il rafforzamento di quello strumento militare che dovrebbe garantire il mantenimento della leadership imperialista mondiale da parte degli Usa.
Nell’intervista esclusiva del 23 febbraio rilasciata alla Reuters nello Studio Ovale il presidente americano aveva sostenuto che gli Stati Uniti vogliono ampliare il loro arsenale nucleare per “essere i primi” nel mondo; la capacità nucleare degli Stati Uniti “è scivolata indietro” negli ultimi anni, affermava Trump, “io sono il primo a cui piacerebbe che nessuno abbia armi nucleari ma non possiamo stare dietro ad altri, anche se si tratta di Paesi amici” e si impegnava a garantire che America sarà sempre “in testa al gruppo” delle potenze atomiche.
Secondo l'accordo di disarmo Start del 2010, Stati Uniti e Russia devono tagliare del 30% i rispettivi arsenali nucleari entro il febbraio 2018 e possedere al massimo 800 missili balistici intercontinentali ciascuna. Trump lo aveva definito in campagna elettorale “un altro cattivo accordo” da sostituire con un’intesa più favorevole agli Usa. Gli impegni di riduzione degli armamenti nucleari per il 2018 potrebbero saltare e già il presidente della Commissione Esteri della Duma, il parlamento russo, Leonid Slutzky ha minacciato che “se Washington procederà nel suo obiettivo di supremazia nella sfera nucleare, il mondo tornerà alla guerra fredda, con il rischio di una catastrofe globale”.
La decisione riarmista dell'amministrazione Usa era confermata il 24 febbraio dal portavoce della Casa Bianca Sean Spicer: “Gli Stati Uniti non vogliono cedere e non cederanno mai a nessuno la loro supremazia sul nucleare”. Spicer parlava in una conferenza stampa alla quale non erano stati ammessi i giornalisti non graditi, fra i quali quelli della rete televisiva Cnn e del New York Times. Una decisione denunciata da molte alte testate fra le quali il Washington Post che ricordava come Spicer solo due mesi fa aveva assicurato che la Casa Bianca non avrebbe mai bandito nessun giornale perché "questo è ciò che contraddistingue una democrazia da una dittatura". Appunto.
L'intervista alla Reuters era pubblicata lo stesso giorno che Trump partecipava a una conferenza della destra a Washington, alla Conservative Political Action Conference (Pcac).
Nel suo intervento Trump ha tra l'altro commentato: “Abbiamo ereditato una politica estera caratterizzata da un disastro dopo l'altro. Noi non vinciamo più. Quando è stata l'ultima volta che abbiamo vinto? Abbiamo vinto una guerra? Dobbiamo vincere qualcosa? Ora stiamo andando a vincere. Stiamo per iniziare a vincere di nuovo” perché “l'era delle parole vuote è finito. Ora è il momento di agire. (…) realizzerò la promessa di fare di nuovo grande l'America”. Annunciava un massiccio aumento delle spese militari, per rafforzare l'esercito attraverso la costruzione di nuove armi difensive e offensive. Secondo il principio imperialista e guerrafondaio: “Noi crediamo nella pace attraverso la forza, ed è quello che avremo”.
Non mancava nel discorso bellicista un riferimento alla guerra allo Stato islamico e all'impegno più volte espresso di “cancellare l'ISIS dalla faccia della terra”. Nei giorni successivi sulla scrivania di Trump arrivava il “piano anti Isis”, un documento messo a punto dal capo del Pentagono James Mattis e dal capo delle forze armate Joseph Dunford contenente una serie di “opzioni preliminari” per una escalation dell’impegno militare Usa in Iraq e in Siria, fra le quali probabilmente anche l’invio di altri soldati sul terreno. Un intervento che servirebbe all'imperialismo americano anche per tornare protagonista nella guerra in Medio Oriente dove è stato incalzato dall'iniziativa di Russia, Turchia e Iran.
“Siamo americani e il futuro appartiene a noi”, “l'America sta risalendo, sta tornando e si può sentire il suo ruggito”, era la chiusura dell'intervento di Trump alla conferenza di Washington; un pericoloso ruggito alimentato dall'incremento record delle spese militari.
Questo “Mein Kampf” trumpiano espone senza mezzi termini ai Paesi del mondo intero, nemici o alleati che siano, che la superpotenza Usa è pronta a un nuovo terrificante macello imperialista pur di non perdere la supremazia economica, politica e militare mondiale e di rintuzzare l'ascesa dei rivoli imperialisti che la mettono in discussione, a cominciare dal socialimperialismo cinese.

1 marzo 2017