Le donne in 57 paesi per i loro diritti e il lavoro e contro il femminicidio
Negli Usa attaccato duramente il dittatore fascista misogino, razzista e omofobo Trump
Uno stimolo per la lotta di classe su scala mondiale
“Siamo marea”, dichiarano le combattive donne di “Non una di meno”, e lo slogan corrisponde a realtà viste le importanti proporzioni raggiunte dallo sciopero globale dell'8 Marzo, con innumerevoli donne – e tantissimi uomini per la parità dei diritti e l'uguaglianza di genere – scesi come una fiumana nelle piazze di ben 57 Paesi del mondo.
La stessa idea dello sciopero globale ha preso forma nel corso dei mesi su scala mondiale, non per iniziativa di un singolo gruppo o per eventi avvenuti in singole nazioni: a ispirarlo sono state le grandi manifestazioni del 3 ottobre contro l'abolizione del diritto d'aborto in Polonia, contro il femminicidio in Argentina del 19 ottobre e contro Trump il 22 gennaio principalmente negli Stati Uniti, ma anche in altre parti del mondo, portando in piazza oltre 2 milioni di persone.
Le donne latino-americane contro il “capitalismo patriarcale e coloniale”
Contro “il capitale che sfrutta le nostre economie informali, precarie e intermittenti”, contro Stati e mercati che “ci sfruttano quando ci indebitano”, contro “il divario salariale”, contro il non riconoscere “che il lavoro domestico e di cura è lavoro non retribuito” che “aumenta la nostra vulnerabilità di fronte alla violenza maschile”, per “il diritto all'aborto libero” e la socializzazione del lavoro domestico: questa la piattaforma principale sulla base della quale decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in Argentina alla chiamata del movimento “Ni una de menos”, quello che concretamente ha proposto lo sciopero globale; già il 19 ottobre scorso, alla mobilitazione contro la violenza sulle donne che aveva promosso, 100mila persone erano scese in piazza solamente nella capitale Buenos Aires.
In generale sono state partecipatissime le iniziative in America Latina, dove le masse femminili subiscono fortemente il peso della violenza maschile e dello sfruttamento lavorativo. Commosso il ricordo dell'attivista ambientalista Berta Caceres, barbaramente assassinata il 3 marzo dell'anno scorso, e furioso l'attacco al presidente brasiliano Michel Temer che ha sbracatamente esaltato il ruolo domestico delle donne.
La battaglia per i diritti delle donne è stata dappertutto messa in relazione con la lotta contro il neoliberismo selvaggio che depreda il continente delle sue risorse naturali e il capitalismo “patriarcale e coloniale”.
Gli Usa in piazza contro Trump
Cuore pulsante dello sciopero globale sono stati però gli Usa, dove la protesta ha attaccato duramente Trump, campione di misoginia e razzismo, unendo così le forze con altre realtà in lotta contro il dittatore fascista di Washington, dai migranti e gli afro-americani agli omosessuali, ma è stata anche l'occasione per stigmatizzare la forte disuguaglianza sociale che strozza le masse americane. Su questa base migliaia di manifestanti hanno colorato le strade di rosso, il colore scelto per la giornata, con alla testa diverse organizzazioni per i diritti delle donne, antirazziste e di sinistra.
“L'8 Marzo”, proclamava la piattaforma di International Women's Strike USA, “sarà l'inizio di un nuovo movimento femminista internazionale che organizzerà la resistenza non solo contro Trump e le sue politiche misogine, ma anche contro le condizioni che l'hanno prodotto, cioè l'ultradecennale disuguaglianza economica, la violenza razziale e sessuale e le guerre imperiali all'estero”. Anche se sarebbe più corretto parlare di guerre imperialiste, tanto più che la stessa piattaforma si dichiara antimperialista. “L'emancipazione delle donne può giungere solo quando ci confronteremo col capitalismo e impareremo a costruire un socialismo benevolo e fruttuoso”, tuona dal palco di New York una delle organizzatrici, Suzanne Adely.
Addirittura dozzine di scuole hanno chiuso per lo sciopero, un fatto insolito negli Usa. A New York si registrano invece almeno 13 arresti contro manifestanti che hanno osato tentare di bloccare il traffico sotto il Trump Hotel, fra cui il quartetto di leader di “Women's March on Washington”.
Manifestazioni anche in Medio Oriente
Contro il fascismo imperante e l'attacco ai diritti delle donne, oltreché alle libertà democratiche, sono scese in piazza vere e proprie fiumane anche in Turchia. In 10mila a Istanbul hanno gridato “basta alla violenza maschile” e lanciato cori: “Tayyip, Tayyip, scappa scappa, stiamo arrivando”, riferendosi al presidente Erdogan. Ad Ankara e altrove il corteo ha portato cartelli con scritto “No”, rivolti al disegno dittatoriale di Erdogan.
La giornata è stata molto partecipata anche nel Rojava, dove la mobilitazione delle donne curde per “combattere 5 mila anni di mentalità di dominio maschile” ha rivendicato e riaffermato il loro ruolo essenziale in tutti i campi della società. “Libere donne per una libera società”, “Donne rivoluzionarie fino alla fine”, fra i loro slogan.
Nel resto del Medio Oriente la cappa dell'oppressione religiosa ha certamente pesato sulla riuscita dello sciopero, ma non vanno tralasciate le centinaia di donne scese in piazza a Gaza per protestare contro l'occupazione sionista della Palestina.
Per l'aborto e i pari diritti sul lavoro
Oltre 60 città sono state attraversate dallo sciopero globale in Polonia, dove attualmente i diritti delle donne, a partire da quello all'aborto, sono gravemente minacciati dalla cricca clerico-fascista di Jaroslaw Kaczynski: la pillola dei 5 giorni dopo è stata resa acquistabile solo con ricetta, mentre è tutt'altro che chiusa la partita sull'aborto. I manifestanti, alcuni dei quali portavano gli ombrelli neri simbolo delle proteste di ottobre, hanno persino assediato la camera bassa del parlamento polacco e la sede del partito di Kaczynski.
Cortei e iniziative si sono svolti anche negli altri Paesi europei, degna di nota l'Irlanda dove a migliaia hanno manifestato a Dublino e nel resto del Paese per chiedere un referendum che abolisca l'ottavo emendamento della Costituzione, che impedisce (per costituzione, appunto) la legalizzazione dell'aborto, dietro il dogma cattolico per cui la vita comincerebbe col concepimento. Sondaggi dimostrano che l'80% degli irlandesi è contrario a questa norma, ma il governo la difende.
In India ben 30 associazioni femminili si sono riunite per partecipare in maniera unitaria allo sciopero globale. “Vogliamo la libertà”, hanno gridato le manifestanti a Nuova Delhi, “dalla fame e dalla povertà, dallo sfruttamento, dalle atrocità contro le donne e dal terrorismo di Stato”.
Le donne australiane hanno incrociato le braccia alle 3 di pomeriggio, per denunciare la discriminazione salariale rispetto agli uomini, che vale statisticamente dalle due alle tre ore di lavoro. Contro questa disparità chiedono uguale salario e più servizi per l'infanzia. Una protesta simile, improntata sullo stesso tema, si è svolta anche in Corea del Sud.
Fa specie che, al contrario, in Cina sia stato represso chi cercava di distribuire volantini per organizzare lo sciopero e siano state oscurate le pagine di organizzazioni femministe sui social network; segno del balzo all'indietro prodotto dal revisionismo cinese anche sul fronte dell'emancipazione femminile. Come è avvenuto in Cambogia, dove le autorità hanno vietato in tutti i modi alle operie tessili di partecipare allo sciopero globale.
La lotta internazionale delle donne stimoli ora la lotta di classe su scala mondiale
Si può affermare che lo sciopero globale delle donne sia stato un grande successo, non soltanto in termini di partecipazione, ma anche perché ha rappresentato uno straordinario episodio di internazionalismo, una mobilitazione che ha unito e unisce tuttora le donne progressiste, antifasciste, antirazziste e antimperialiste di tutti i Paesi nella comune battaglia per l'emancipazione.
C'è perciò da sperare che questo successo incoraggi a portare avanti la lotta e, al contempo, ad approfondirne i temi e le analisi. Tra l'altro negli Usa si sta sviluppando un importante dibattito che respinge il “femminismo alla Clinton”, fatto cioè di successo personale e permeato da un senso di “rivalsa” individualistica della donna sull'uomo simboleggiato dall'accesso alle stanze del potere, e gli contrappone il “femminismo del 99%”, che invece punta il dito sulle cause sociali dell'oppressione femminile. Questa fondamentale ricerca delle cause (e delle soluzioni) della subalternità sociale delle donne trarrebbe grande giovamento se riscoprisse le analisi condotte in prima battuta da Marx ed Engels, che ne smascherarono il legame inscindibile con l'esistenza stessa del capitalismo e del tipo di ordinamento sociale, morale e famigliare determinato dal suo sistema economico.
Se a questo si unisce il fatto che praticamente dappertutto i temi più specifici dell'aborto, della lotta al femminicidio, della parità dei diritti sociali e civili, sono stati legati a questioni più generali, come l'antirazzismo, l'antimperialismo, la difesa delle libertà democratico-borghesi e, in certi casi, la critica aperta al capitalismo, ci sono tutti gli elementi perché questa mobilitazione possa stimolare la ripresa e l'avanzata della lotta di classe su scala mondiale.
15 marzo 2017