Sulla questione curda: storia e attualità

 
I curdi sono un popolo senza patria riconosciuta. Questo popolo, che si nominò tale nel 600 dopo Cristo, abita tuttora nella regione montana dove è sempre vissuto, la regione del Kurdistan, popolata da quasi 30 milioni di persone che si estende su un vasto territorio di 550 mila chilometri quadrati riguardante sei Stati dell'area mediorientale e asiatica: Turchia (sudest), Iraq (nordest), Siria (nordest), Iran (ovest), Armenia (sud) e Azerbaijan (sudovest). La maggior parte del Kurdistan è situato all'interno dei confini turchi per un'area di circa 230 mila kmq (30% del territorio turco). Si tratta di un territorio strategicamente rilevante per la ricchezza del petrolio e le risorse idriche. Il 75% del petrolio iracheno proviene da qui, gli unici giacimenti della Turchia e i più importanti della Siria si trovano in Kurdistan, anche nella zona di Kermanshah, territorio iraniano ma abitato dai curdi, si produce petrolio. Un paese che occupa gran parte della regione montagnosa che si estende dal Mar Nero al nord, fino alle steppe della Mesopotamia al sud, oltre la catena dei monti Zagros a est. Quest'area di alte montagne, alcune come l'Ararat superano i 5.000 metri, ha dato vita a numerosi corsi d'acqua tra cui i due grandi fiumi biblici, Tigri e Eufrate che scorrono per centinaia di chilometri nella regione prima di attraversare i territori arabi dell'Iraq e della Siria per poi gettarsi nel Golfo arabo-persico. È altresì il passaggio obbligato di alcune importanti vie di comunicazione, ad esempio tra le repubbliche centroasiatiche, l'Iran e la Turchia e si trova nel cuore di uno dei punti più caldi della politica mondiale. Una posizione geopolitica che ha condizionato molto le vicissitudini del popolo curdo.

Note storiche
La sua storia inizia in tempi remotissimi, il popolo curdo discende infatti dagli antichi medi, una popolazione di origine indo-iraniana, che dall'Asia centrale si diresse intorno al 614 avanti Cristo verso i monti dell'Iran. Nel VII secolo i curdi si convertono all'Islam sunnita, dando un contributo alla civiltà musulmana soprattutto nel campo militare. Salah ad-Din (Saladino), sultano d'Egitto che conquistò Gerusalemme nel 1187, proveniva dalla tribù curda di Rawadi. Passando dalla prima divisione del Kurdistan avvenuta nel 1639 tra l'impero ottomano e quello persiano (accordo Kasiri-Sirin), dalle forti limitazioni indipendentiste imposte dall'impero ottomano all'inizio del '900 che provocarono numerose rivolte che avevano come obiettivo l'unificazione del popolo curdo e la sua autonomia, ha subito un forte scossone nel novecento, con la disgregazione dell'impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale imperialista. I curdi avevano combattuto durante la prima guerra mondiale per la Repubblica turca contro francesi e inglesi, le potenze europee che come la Germania avevano occupato il Kurdistan, in cambio della promessa di veder riconosciuta la propria identità. Dal 1916, in pieno conflitto, gli “alleati” si mettono segretamente d'accordo per la spartizione delle spoglie dell'impero ottomano. I delegati francesi, inglesi e russi firmano una convenzione nota con il nome “accordo Sykes-Picot” , dai nomi dei ministri degli Esteri inglese e francese, che delimita le rispettive zone d'influenza: la zona britannica includeva Mesopotamia, Palestina e Giordania, quella francese Siria e Libano. La provincia di Mosul, o Kurdistan meridionale, viene divisa in due zone: la parte settentrionale, comprendente la città di Mosul, sotto influenza francese, e quella meridionale, con la regione petrolifera di Kirkuk, sotto l'influenza britannica. Sazanov, il ministro degli Esteri russo, informato precedentemente dell'accordo raggiunto, annunciò il suo assenso il 26 aprile 1916, a condizioni che i distretti nord-orientali della Turchia, inclusi Trebisonda ed il Kurdistan nord-orientale, fossero ceduti alla Russia zarista. Tracciate con linee rette, le frontiere di queste zone dividono il territorio curdo e il popolo curdo in quattro Stati. Sorgono dei conflitti tra i popoli della regione e le grandi potenze, ma il regolamento dei problemi dell'area è ormai imposto dalle forze armate imperialiste britanniche e francesi.
Nel 1920 gli accordi di pace culminati nel Trattato di Sevres riconoscevano il diritto della popolazione curda ad avere un proprio Stato, ma il Trattato successivo, quello di Losanna del 1923, disconobbe il precedente accordo, impedendo la formazione di uno Stato indipendente curdo nell'area e gettando le basi per le successive politiche di discriminazione politica, economica e culturale della popolazione curda, da quel momento formalmente sparpagliata nei diversi Stati. Gli appetiti petroliferi delle grandi potenze europee e la politica ambigua di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia avevano vinto. L'allora Società delle Nazioni decise nel 1925 l'annessione all'Iraq (sotto mandato britannico) della provincia di Mosul, comprendente i giacimenti petroliferi di Kirkuk. Il Kurdistan ottomano viene diviso fra tre Stati (Turchia, Iraq, Siria), mentre il Kurdistan persiano resta incluso nei confini dell'Iran.
Inizia così la lotta, prima politico-culturale, poi anche militare, di rivendicazione dei diritti delle differenti minoranze curde nei rispettivi paesi di appartenenza e il Kurdistan diviene una sorta di colonia internazionale dominata dall'imperialismo.
Tenendo conto della non omogeneità della popolazione curda, un sistema feudale all'interno del quale si parlavano diversi dialetti e venivano praticate le più diverse religioni, la Turchia mirava ad occupare una alla volta le diverse regioni, in vista di un controllo di massa nel territorio curdo. Inevitabilmente scoppiarono molte rivolte (1925, 1930), soffocate nel sangue. Il culmine fu toccato a Dersim nel 1937, quando migliaia di curdi in rivolta vennero massacrati dalle truppe kemaliste e il nome della città venne cambiato in Tunceli. Il governo turco trucidò milioni di curdi, che si erano rifiutati di rinnegare la propria identità per confondersi con quella turca. Tutte le tradizioni, anche nell'abbigliamento, tutti gli assembramenti, anche di musica e danza, vengono aboliti a partire dal 1932. Ogni cerimonia curda è vietata. Il costume nazionale curdo è proibito e una legge vieta l'uso della lingua curda. La parola “curdo” viene cancellata dal vocabolario ufficiale, rimpiazzata da “turchi della montagna”, “turchi dell'Est”, il Kurdistan diventa “Anatolia orientale”, “regione dell'est”. Città e villaggi curdi vengono ribattezzati con nomi turchizzati.
Dopo il 1940 il regime turco usò una strategia diversa per raggiungere il medesimo obiettivo, attraverso l'assimilazione, con l'insediamento di scuole turche in ogni paese e villaggio. I bambini, sottratti alle famiglie, erano obbligati a frequentare le scuole fino all'età di 16-17 anni con il divieto assoluto di parlare curdo e la possibilità di incontrare i genitori solo una o due volte all'anno. Gran parte dei familiari di quelli che avevano partecipato alle rivolte erano intanto costretti all'esilio.

L'Urss di Stalin e i curdi in Iran e Azerbaijan
Il movimento democratico aveva conosciuto un enorme sviluppo alla fine della seconda guerra mondiale nell'Azerbaijan e nel Kurdistan dove si era identificato con la lotta degli azerbaigiani e dei curdi per l'autonomia di questi territori nell'ambito dello Stato iraniano e per l'instaurazione di regimi democratici e nazionali. Nel Kurdistan la lotta era condotta dal Partito popolare del Kurdistan. Nell'agosto 1945 nel Kurdistan iraniano fu fondato il PDK, il Partito democratico del Kurdistan. Un anno dopo, 16 agosto 1946, a Baghdad fu la volta di quello iracheno sotto la presidenza di Mustafà Barzani. Nel dicembre del 1945 grazie all'appoggio convinto dell'Urss di Stalin, il popolo di questa regione ottenne l'autonomia nell'ambito dell'Iran e formò un governo autonomo. Qazi Mohammad, il notabile religioso più in vista della capitale Mahamad, venne designato presidente. L'Urss appoggiò il nuovo governo curdo inviando armi, denaro e perfino una moderna tipografia. Fu un'esperienza eccezionale cui parteciparono molti leader curdi provenienti dall'Iraq e dalla Siria, tra i quali Mustafà Barzani.
Già i tanti scritti di Lenin sulle nazionalità avevano ispirato dopo la Rivoluzione d'Ottobre l'azione dei curdi nel Kurdistan persiano, dove furono fondati molti soviet, addirittura nel 1923 venne costituita una regione autonoma curda, nell'Azerbaigian, con capitale amministrativa Lachin. In generale il popolo curdo conobbe una promozione sociale e culturale senza precedenti. Vennero aperte scuole e teatri in lingua curda, pubblicati manuali scolastici, libri, giornali. Dal 1921 i sovietici promossero l'alfabetizzazione della popolazione curda su vasta scala. La frequenza scolastica era obbligatoria. Prima della Rivoluzione d'Ottobre il 99 per cento dei curdi era analfabeta, ma alla fine degli anni trenta l'analfabetismo era sradicato. Già nel 1930 nelle repubbliche sovietiche di Armenia, Georgia e Azerbaigian erano state aperte scuole dove l'insegnamento veniva effettuato in curdo e anche a livello universitario esistevano corsi di lingua e letteratura curda a Mosca e Leningrado, Erevan e Tashkent ed ora grazie alla tipografia sovietica furono pubblicati manuali scolastici, riviste letterarie e giornali in lingua curda.
Il 17 dicembre 1945 la bandiera curda viene sostituita a quella iraniana sull'edificio del dipartimento della giustizia di Mahabad e il 22 gennaio 1946 avvenne la proclamazione della prima Repubblica curda della storia, appoggiata sia dalle tribu della zona, i Mamash, i Maengur, i Gawurk e i Zarza, sia dalle tribù Shikak, Jalai, Herki, Begzadeh, Milani e Barzani.
Nel periodo in cui ebbe vita il regime autonomo curdo in questa regione fu attuata la riforma agraria, con l'assegnazione gratuita ai contadini delle terre statali e delle terre confiscate ai proprietari terrieri reazionari fuggiti a Teheran, furono promulgate leggi sul lavoro e sulla protezione sociale, fu imposta la giornata lavorativa di otto ore, fu proclamata la parità di diritti tra uomini e donne, fu introdotto nelle scuole lo studio della lingua curda.
I circoli reazionari iraniani, convinti dell'impossibilità di bloccare con le sole loro forze il movimento democratico che si andava estendendo in tutto il paese persiano, chiesero aiuto alla Gran Bretagna e agli USA. Sostenuto da Londra e Washington, nel gennaio del 1946 il governo di Teheran sottopose al Consiglio di sicurezza dell'Onu il problema “iraniano”. Presentando il movimento popolare del Kurdistan come un prodotto dell'attività delle truppe sovietiche presenti nella regione, i reazionari iraniani tentarono di accusare l'Urss di intervento negli affari interni dell'Iran.
Le trattative con l'Urss iniziate dal governo iraniano di Qavam al-Saltana a Mosca nel febbraio del 1946 si conclusero a Teheran con la firma di un comunicato congiunto il 4 aprile 1946. Le parti si accordarono sull'evacuazione dei reparti dell'Armata rossa dall'Iran entro un mese e mezzo, concedendo la creazione di una compagnia petrolifera mista iraniano-sovietica. Nel giugno del 1946 il governo di Teheran riconobbe ufficialmente l'autonomia del Kurdistan. Ma il comportamento di Qavam non era sincero. Al riparo di parole d'ordine democratiche il governo preparava il contrattacco contro il movimento democratico in tutto il paese. Dalla metà di settembre la reazione iraniana con l'appoggio britannico e americano passò all'attacco aperto. Reparti formati da elementi delle tribù dei bakhtiyari e dei qashqai scatenarono una rivolta, trucidando membri del partito popolare dell'Iran, attivisti sindacali e membri delle unioni contadine. Si intensificò l'azione terroristica delle bande nere di “sicurezza nazionale”, della polizia e della gendarmeria. Il 10 dicembre 1946, con la pretesa di “garantire l'ordine” e la “libertà di elezioni” per il futuro parlamento dell'Azerbaigian iraniano e nel Kurdistan iraniano furono inviate truppe che diedero inizio a repressioni sanguinose contro i membri del movimento democratico. Gli organi amministrativi del Kurdistan furono soppressi e le conquiste democratiche annullate; migliaia di democratici furono imprigionati, esiliati, impiccati e fucilati. In tutto l'Iran si procedette ad arresti di massa. Alle spedizioni punitive parteciparono anche i consiglieri americani. Il presidente Qazi Mohammad finì impiccato mentre Barzani che guidava le forze armate curde riuscì a rifugiarsi con un centinaio di partigiani in Unione Sovietica. Su suggerimento americano il governo iraniano denunciò l'accordo con l'Urss di Stalin del '46 e il parlamento di Teheran lo annullò ufficialmente il 22 ottobre 1947.

La lotta dei curdi in Iraq, Siria e Turchia
Dopo 11 anni di esilio in Unione Sovietica Barzani rientrò nel Kurdistan iracheno con l'avvento al potere in Iraq del regime repubblicano di Kassem. Dopo un breve periodo di riconciliazione e convivenza, Barzani e il suo movimento, il Partito democratico curdo (PDK), ripresero le armi per combattere contro il governo centrale di Baghdad (1962-1963). Con un esercito di 70 mila peshmerga, letteralmente “combattenti della morte”, i curdi insorsero più volte in Iraq e Iran. L'11 marzo 1970 il nuovo regime iracheno firmava un accordo con il PDK che accoglieva in parte le richieste dei curdi riconoscendoli come la seconda nazione (insieme agli arabi) del paese. In seguito Barzani, ormai apertamente schieratosi con gli USA, (dopo che il 9 aprile 1972 era stato siglato il trattato Iraq-Urss il presidente USA Nixon approvando il piano della Cia inviò a Barzani 16 milioni di dollari in 3 anni) ritornerà in Iran da cui esilierà dopo la rivoluzione islamica khomeinista del 1979 per morire negli Stati Uniti. Una parte del PDK, quella diretta dal figlio di Barzani, Masoud, entrerà a far parte del Fronte nazionale progressista iracheno. L'11 marzo 1974 nell'area curda dell'Iraq si era costituita una regione autonoma con capitale Erbil (ma con la significativa esclusione dell'area petrolifera di Kirkuk). Il conflitto tra curdi e Baghdad riprenderà comunque nella seconda metà degli anni settanta.
In Siria nel 1957 si era assistito alla fondazione del PDK siriano e alla seguente repressione curda del 1962-63 con un processo di arabizzazione di tutto il Kurdistan siriano, portato avanti da Hafiz al-Assad padre per decenni. Circa 300.000 curdi siriani erano stati privati della cittadinanza e dal 1962, fino allo scoppio del conflitto civile del 2011, avevano vissuto di fatto come apolidi perché accusati di essere immigrati irregolari dalla Turchia, con conseguenti importanti ripercussioni dal punto di vista dell’emarginazione sociale, economica e politica. Un decreto di 12 articoli pianificò ufficialmente questa politica che portò all’insediamento degli arabi nella regione abitata dai curdi costringendoli all’esilio. L’amministrazione siriana attirò gli arabi offrendo loro facilitazioni economiche e facendoli stabilire in villaggi arabi al fine di tagliare le comunicazioni tra i villaggi curdi rimanenti. In Siria la lingua curda fu proibita nella stampa e nella società, i nomi delle città e dei luoghi storici furono arabizzati. Oltre al genocidio culturale il regime siriano di Assad non ha disdegnato la repressione fisica dei curdi. L’evento più tragico il 12 marzo 2004 a Qamislo nel corso di una partita di calcio, quando le forze governative siriane aiutate dai nazionalisti arabi attaccarono i curdi, uccidendone una trentina, centinaia i feriti e gli imprigionati. Eventi che hanno spinto i curdi siriani ad organizzarsi politicamente e militarmente contro il regime attuale di Bashar al-Assad, figlio di Hafiz.
Eppure negli anni Novanta, chi più di tutti ricorse alla guerriglia curda come strumento di guerra per procura contro la Turchia fu proprio il regime siriano di Hafiz al-Assad. La Siria infatti aveva relazioni molto tese con la Turchia per via del controllo delle risorse idriche del Tigri e dell’Eufrate, oltre che per i vecchi dissidi legati alla rispettiva appartenenza ai due blocchi contrapposti durante lo scontro tra l’imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico, tanto che la Siria legata allora all’URSS socialimperialista di Breznev veniva definita la “Cuba del Medio Oriente”. Damasco divenne un rifugio sicuro per i guerriglieri curdi che usavano la Siria come base per poter compiere attacchi in Turchia. La situazione divenne talmente insostenibile per la Turchia che, nel 1988, i due paesi, per via della reazione di Ankara, furono sull’orlo di un conflitto armato, evitato soltanto dalla decisione del governo di Damasco di espellere il leader curdo Ocalan dal proprio territorio. Paradossalmente la Siria, mentre sosteneva la guerriglia curda in chiave antiturca, era allo stesso tempo lo Stato in cui le minoranze curde vivevano nelle condizioni peggiori.
In Turchia il possente vento delle lotte di liberazione nazionali ispirate dalla Cina di Mao avevano dato nuova linfa alla resistenza curda che sfocerà nella creazione nel 1978 del PKK, il Partito dei lavoratori curdi, diretto da Ocalan, che dall'agosto 1984 inizia la lotta armata. Basato inizialmente sui principi marxisti-leninisti, il PKK fu fondato in clandestinità e dopo il colpo di Stato militare del 1980 in Turchia, appoggiato dagli USA, fu costretto a trasferire la sua sede in Siria e in Libano. È stato l'unico partito a stabilire le sue basi nel Vicino Oriente, mentre le altre organizzazioni curde e della sinistra turca si rifugiarono in Europa.
Dal 1988 al 1993 si contano più di 40 azioni militari turche di ampia portata nelle zone curde in Turchia. L'esercito turco fece anche uso di armi chimiche, gas nervino, in particolare nel villaggio di Hani, nei pressi di Dijarbakir, sulle aree forestali di Ovarck e Pertek e sul monte Gabar dove si nascondevano i guerriglieri del PKK. Interi distretti vennero bombardati dalla Turchia con armi chimiche tra il 1991 e 1992, duramente colpite le località di Palamut, Umurlu, Eskicek, Bassine, Emte, Erzurum. Nel 1993 è la volta dell'area del monte Nurhak, con molti villaggi rasi al suolo per costringere i curdi ad abbandonare i loro territori. Nel 1995 l'unico quotidiano curdo turco “Paese libero” viene chiuso agli inizi di febbraio, mentre il 20 marzo 35 mila militari turchi varcano il confine iracheno per distruggere le basi del PKK. A giugno del 1998 il conflitto aveva fatto registrare 30.000 vittime, di cui 21.000 militanti del PKK, 4.600 appartenenti alle forze di sicurezza turca e 4.400 civili di cui 490 bambini.
Nel frattempo il regime iracheno di Saddam Hussein non era stato a guardare. Il 18 marzo del 1988 nel villaggio di Halabja almeno 5 mila curdi furono sterminati con gas nervino, napalm, fosforo bianco, sganciato dalle truppe di Saddam in quel momento baluardo e all'alleato dell'imperialismo occidentale. In Iran dopo la caduta dello scià i curdi avevano sperato in una maggiore autonomia. Cercavano la convivenza con il popolo iraniano, in attesa di una futura maggiore possibilità di autodeterminazione, ma la risposta di Teheran alle aspettative curde fu molto dura. Prima il Kurdistan venne bombardato a tappeto, nel 1980 e 1981 e poi venne rioccupato da qualche migliaio di soldati.
Nel marzo 1991, al termine della guerra di aggressione irachena all'Iran, fallisce la rivolta curda contro Saddam Hussein. Almeno due milioni di curdi si rifugiano in Iran e Turchia. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu (5 aprile 1991) vota la risoluzione n. 688 “a favore del popolo curdo”, un pretesto per giustificare l'occupazione militare dell'Iraq. È la prima volta che l'Onu sancisce il “dovere di ingerenza umanitaria” negli “affari interni di uno Stato”. Gli Usa mettono in guardia l'Iraq dall'intraprendere azioni militari con forze di terra o d'aria a nord del 36° parallelo. Viene inviata la Forza di pronto intervento multinazionale per “proteggere” il Kurdistan iracheno. Si forma così sotto l'egida dell'imperialismo occidentale la Regione autonoma del Kurdistan iracheno che nel 1992, dopo le elezioni, darà vita al governo regionale e all'Assemblea nazionale del Kurdistan iracheno. Nient'altro che un abbozzo di Stato curdo nello Stato iracheno, di fatto un protettorato turco-occidentale. Il 19 maggio del 1992 nelle elezioni vincono il PDK guidato da Barzani e l'Unione patriottica del Kurdistan di Talabani che si spartiscono al 50% i seggi dell'Assemblea nazionale e le cariche pubbliche.
L'accordo militare di cooperazione strategica e tecnica stipulato da Turchia e Israele nel febbraio 1996 viene considerato un deterrente all'aiuto siriano al PKK, tanto che nel seguente 20 ottobre 1998 in base all'accordo turco-siriano Damasco deve sospendere immediatamente ogni aiuto al PKK ed espellerne il leader Ocalan e i suoi tremila guerriglieri. Proveniente da Mosca, ospitato dai socialimperialisti, Ocalan sarà arrestato a Roma con la complicità dell’allora governo D’Alema. Il 16 gennaio 1999 sarà estradato in Kenia, dove sarà catturato il 15 febbraio a Nairobi dagli agenti della CIA, del Mossad e del Mit (i servizi segreti turchi) che lo consegneranno alle autorità di Ankara. Sta ancora scontando l'ergastolo nella prigione dell'isola turca di Imrali.
Dal 1997 il PKK è intanto incluso nella lista delle formazioni terroristiche compilate dal Dipartimento di Stato americano e dal 2002 è incluso nelle corrispettive liste dell’Unione Europea.
Dal 2013 al 2015 il PKK ha rispettato il cessate il fuoco concordato da Ocalan con la Turchia ma dopo le elezioni politiche turche del giugno 2015 il presidente fascista Erdogan ha dato il via ad una nuova stretta che ha colpito le popolazioni curde. Il coprifuoco senza sosta nelle loro città ha portato la popolazione a essere privata delle forniture necessarie a vivere, come acqua, cibo, elettricità e le dotazioni mediche. Oggi per i curdi la Turchia è un vero e proprio inferno. Dalle ripetute stragi degli oppositori politici, alla chiusura dei giornali non allineati al regime di Erdogan.

Rojava
Rojava è una regione autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria. Nel 2012, nel corso della guerra civile siriana, le forze governative di Damasco si sono ritirate da tre aree abitate dai curdi rilasciando il controllo militare alle milizie curde dell'YPG (Unità di Difesa del Popolo). Il Comitato supremo curdo (DBK) è stato istituito con il Partito dell'Unione Democratica (PYD) e il Consiglio nazionale curdo (KNC) come organo di governo del Kurdistan siriano nel luglio 2012. Il Consiglio è composto da un numero uguale di membri del PYD e KNC. Nel novembre 2013 il PYD ha annunciato un governo ad interim diviso in tre aree autonome non contigue, i cantoni, Afrin, Jazira e Kobane.
I partiti falsi comunisti, gli anarchici, gli “antagonisti” e certi gruppi trotzkisti italiani, esaltano l’esperienza di Rojava che dovrebbe rappresentare il “faro comunista” dei prossimi decenni. La stessa cosa avvenuta alla fine del secolo scorso con il movimento zapatista del cosiddetto “municipalismo”, che a distanza di oltre venti anni non ha torto un capello all’imperialismo in Messico e in America Latina, fallendo totalmente in tutte le sue linee guida. Anche allora si era parlato dell’esperienza guida del “socialismo del XXI secolo”.
Noi prendiamo atto della nascita della realtà autonoma curda nella Siria del Nord, che non è però una tappa verso l’indipendenza del Kurdistan e men che mai verso il socialismo. Essa è il frutto della conversione del leader del PKK Ocalan al pensiero borghese, libertario, ecologista, femminista e municipalista. Ispirandosi alle teorie dell’anarchico americano Murray Bookchin morto nel 2006, di origine marxista-leninista passato al trotzkismo nel 1936 e cacciato anche dall’allora PC americano nel 1939 con l’accusa di praticare “trotzkismo anarchico” per approdare nel libertarismo e nell’anarchia, delineando un progetto di comunalismo che racchiudeva in sé lo spirito del comune, dei beni comuni e del comunismo come filosofia di vita e non come progetto politico reale, il leader curdo ha impresso una svolta teorica-ideologica e strategica nel PKK, che oggi non aspira più a costruire uno Stato curdo indipendente, ma solo ad allargare zone di autonomia e autogoverno attraverso il cosiddetto “Confederalismo democratico”. Ossia un percorso di democrazia diretta con comuni e cooperative, consigli di strada locali e regionali, allo scopo sì di aumentare il coinvolgimento politico, la partecipazione e la gestione della proprietà collettiva ma con un rapporto basato sui valori comuni e interclassisti di tolleranza e mutualistica coesistenza, che niente hanno a che vedere con il socialismo e il comunismo. Addirittura in Rojava la proprietà privata e l’imprenditorialità capitalista sono protetti dalla sua stessa Costituzione, con l’obiettivo di “mettere la proprietà privata al servizio di tutti i popoli che vivono in Rojava”.
Nel pensiero e nelle convinzioni di Ocalan “l’ecologia sociale” è il nuovo punto di approdo del livello di civiltà e democraticità di una società e la visione della sacralità della donna, addirittura di un ritorno alle condizioni della società matriarcale, seppure in uno stato avanzato, quale condizione per “realizzare al meglio la natura umana”.
Il PKK, di cui Ocalan è stato uno dei fondatori, esordì come organizzazione marxista-leninista fedele al pensiero di Mao a Ankara dopo il golpe militare del 1971, e si costituì in Partito il 27 novembre 1978. Il suo obiettivo iniziale era la realizzazione di uno Stato curdo indipendente e socialista. A partire dal 1999 ha abbandonato ufficialmente il marxismo-leninismo rimuovendo il simbolo della falce e martello dalla sua bandiera. Ocalan dal carcere ha impartito le direttive: rinnegare non solo il marxismo-leninismo, ma tutta la storia del movimento comunista internazionale e la sua lotta antimperialista. Il socialismo (per lui “capitalismo di Stato”) non può essere la meta del popolo curdo né tantomeno un valido strumento per “l’autonomia federale” all’interno dei vari Stati in cui è presente il Kurdistan, tutto il Partito doveva adottare la nuova piattaforma politica del “Confederalismo democratico”.
Per Ocalan, sue parole, “Il Confederalismo democratico del Kurdistan non è un sistema di Stato, è il sistema democratico di un popolo senza Stato. Prende il potere dal popolo e l’adatta per raggiungere l’autosufficienza in ogni campo tra cui l’economia”. Bahoz Berxwedan, comandante dell’YPG, docente di educazione politica della provincia di al-Hasakah, è diretto e chiarisce bene programma e natura del Rojava: “Non siamo comunisti né per l’indipendenza di uno Stato curdo. Noi siamo democratici che sostengono la terza via in Siria, sulla base del Confederalismo democratico tracciato da Abdullah Ocalan. La YPG è una milizia popolare e le persone sono libere di sostenere ogni ideologia”. Haval Rachid, co-presidente del dipartimento di economia del Kurdistan siriano, spiega: “Vogliamo che la nostra economia sia costituita per l’80% da cooperative, non crediamo in un modello socialista che proibisca l’iniziativa privata. La nostra idea è che ogni persona abbia un ruolo economico attivo nella società e che la trasformazione avvenga gradualmente attraverso la partecipazione della gente”. Mentre Muslim, il sindaco di Kobane, afferma che dopo la guerra il Rojava sarà aperto a tutti: “Anche agli investimenti petroliferi di italiani, francesi e americani, purché vengano qui e rispettino le nostre regole, i diritti dei nostri lavoratori e il nostro ambiente”.
Il Rojava dunque viene proposto come una “terza via”, tra il neoliberismo capitalista e il socialismo, che di fatto si accoda a tutte quelle esperienze come lo zapatismo nel Chiapas messicano e a quelle simili anche in Italia basate sull’autogoverno e sulla democrazia diretta, che in definitiva decretano la fine di ogni orizzonte alternativo al capitalismo e all’imperialismo, che possono essere migliorati ma non superati. Il fatto che la nuova struttura economica e la sovrastruttura politica instaurata in Rojava non mirino all’eliminazione della proprietà privata, all’abolizione delle classi ma all’interclassismo, che il sistema tribale rimane in piedi e che i leader tribali partecipino pesantemente nell’amministrazione della Regione dimostrano che non vengono rimossi i rapporti feudali né quelli della produzione capitalistica. Secondo i suoi promotori il modello Rojava dovrebbe essere un modello per l’intero Medio Oriente. Aperta questa porta si è gettato alle ortiche non solo l’aspirazione al socialismo ma anche l'antimperialismo e l’obiettivo di conquistare uno Stato curdo indipendente e sovrano.
Tant’è che la proclamazione della Federazione democratica del nord della Siria realizzatasi alla fine del 2016 è avvenuta all’insegna di una amministrazione autonoma curda e all’interno di uno Stato federale siriano. Tolta addirittura nella denominazione il nome di Rojava, per il suo riferimento alla singola etnia curda.

Le contraddizioni tra le forze curde
Attualmente non esiste un’unità di intenti all’interno del variegato movimento curdo per l’indipendenza o autonomia del Kurdistan. Molte sono le contraddizioni legate alla storia che abbiamo trattato ed ai vari campi di azione nei quattro Stati in cui sono presenti.
Nel Kurdistan iracheno, l’entità governativa della Regione autonoma (KRG) che ha sede a Erbil, è attualmente governata da una coalizione comprendente le due storiche forze politiche curdo-irachene, il PDK di Barzani e l’UPK di Talabani. Il primo, che detiene la maggioranza, dal 2003 ha intessuto ottimi rapporti con la Turchia di Erdogan, che massacra i curdi seguaci del PKK e quelli residenti nel Nord della Siria, a cui fornisce il petrolio, è interlocutore curdo privilegiato dal governo fantoccio di Baghdad istituito e protetto dagli USA, ed è il principale alleato curdo della santa alleanza imperialista che vuole spazzare via lo Stato islamico. Il secondo riceve il sostegno dell’Iran. Nel 2009 ha subito un’importante scissione interna da cui ha preso vita il Gorran (Movimento per il cambiamento), che è diventato la principale forza di opposizione al duopolio PDK-UPK, con le elezioni del 2013 è il secondo partito curdo in Iraq, e dall’uscita di scena di Talabani non ha ancora ritrovato una leadership importante e riconosciuta.
PDK e UPK hanno dato vita ad una guerra civile interrotta dall’intervento di Clinton nel 1998, allorché l’amministrazione USA dettò di fatto una spartizione del Kurdistan iracheno in due zone d’influenza, decretando vantaggi non indifferenti per le due parti della borghesia curda rappresentate.
Attualmente la pesante crisi economica sta inasprendo nuovamente le contraddizioni interne. L’accordo che legava le esportazioni di petrolio dal Kurdistan alla devoluzione del 17% del bilancio dell’Iraq alla regione autonoma, raggiunto faticosamente verso la fine del 2014 è ormai lettera morta. La decisione del KRG di commercializzare direttamente con la Turchia gli idrocarburi estratti nel proprio territorio ha causato la sospensione dei trasferimenti di denaro da Baghdad a Erbil. Di conseguenza il debito pubblico del Kurdistan iracheno ha raggiunto il livello record di 25 miliardi di dollari e continua ad aggravarsi al ritmo di 100 milioni al mese, causando un deficit di bilancio tale che il petrolio da solo non può ripianare. Sono gli USA, la Gran Bretagna e la Francia che stanno elargendo copiosi finanziamenti per evitare la bancarotta di questo prezioso alleato. Intanto da due anni gli stipendi dei funzionari pubblici arrivano a singhiozzo e le spese pubbliche sono state tagliate del 75%. Secondo il Gorran l’attuale crisi ha messo in evidenza la gestione mafiosa del Kurdistan iracheno da parte del PDK.
L’alto livello di cooperazione raggiunto tra le forze dei peshmerga del KRG e l’esercito iracheno nella guerra allo Stato islamico, per la prima volta in 25 anni l’esercito di Baghdad è stato autorizzato ad intervenire in Kurdistan, ha spronato il primo ministro curdo Nechirvan Barzani a presentare il conto al suo omologo al-Abadi chiedendo ufficialmente l’apertura di negoziati per l’indipendenza di uno Stato curdo in Iraq. UPK e Gorran frenano sull’indipendenza di questa parte del Kurdistan perché temono la nascita di un’entità assoggettata unicamente al clan Barzani, che è contrario a qualsiasi forma di indipendenza o autonomia nelle altre parti del Kurdistan, a partire da Rojava. Il PDK vorrebbe essere riconosciuto come l’unico rappresentante dell’intero popolo curdo: “Riteniamo che l’indipendenza del Kurdistan – ha affermato Barzani – contribuirà a migliorare la stabilità regionale. Non possiamo continuare con lo stesso modello che abbiamo avuto fino a qui con Baghdad. I curdi in Iraq non si sono integrati con la parte araba. Ora con il sostegno della comunità internazionale, e in particolare degli americani, abbiamo riguadagnato e ripreso il controllo di tutti i nostri territori. Ora penso sia il momento giusto per parlare di indipendenza”. E lo sta facendo sia con Baghdad che con la Turchia.
Contraddizioni esistono anche tra il PDK e il PKK che ha le sue basi operative proprio nel Kurdistan iracheno, nelle aree montuose di Qandil. Il PDK vorrebbe che il PKK abbandonasse la lotta armata e si offre da mediatore con i paesi imperialisti dell’Occidente e la Turchia per gli accordi di pace. Il PKK condanna gli accordi di Barzani con Erdogan e quando può attenta militarmente il passaggio del petrolio dal Kurdistan iracheno in Turchia. Altresì il PDK intima al PKK di lasciare l’area di Sinjar, dove vive la popolazione locale degli yazidi, abbandonata dai peshmerga di fronte all’avanzata dell’IS e salvata unicamente dalle forze del PKK. Addirittura il 3 marzo i Rojava Peshmerga affiliati al PDK di Barzani hanno attaccato le forze dell'YPG/PKK in un villaggio vicino a Shengal nel distretto di Sinjar, provocando morti e feriti tra civili e militari. Una pericolosissima escalation del conflitto intercurdo.
Le stesse contraddizioni le ritroviamo nel Kurdistan siriano dove il KRG e il PDK di Barzani supportano l’ENKS o KNC nell’abbreviazione inglese (Consiglio nazionale curdo in Siria) in funzione anti PYD (Partito dell’unione democratica) fondato nel 2003 e diretta emanazione del PKK, che nel contesto della guerra civile siriana, è divenuto, quest’ultimo, il più importante attore curdo in Siria e attualmente è la principale forza all’interno dell’Unione della comunità curda (KCK), anch’essa promossa dal PKK. Il PDK vede il PYD e quindi il PKK come un agente del regime siriano di Assad, soprattutto dopo l’accordo del 2012 con cui le forze siriane si sono ritirate dal Rojava.

Le forze curde e lo Stato islamico
Nel corso dell’estate del 2014 lo Stato islamico (IS) ha conquistato ampie porzioni di Kurdistan iracheno, occupando città importanti come Mosul e Makhnour. E dalla fine dello stesso anno ha messo sotto assedio Kobane e altri territori curdi in Siria. Ciò facendo ha commesso un grave errore. Sarebbe stata invece necessaria ricercare un’alleanza con i curdi contro i comuni nemici. L’IS ha violato la sovranità del Kurdistan siriano e calpestato i diritti dei curdi nelle loro terre, compiuto stragi indiscriminate verso i curdi yazidi nella lotta generata dalle rivalità per il controllo dei territori con popolazione mista arabo-curda, finendo per spingere le varie forze curde nelle grinfie dell’imperialismo, in particolare degli Stati Uniti. Non ci riferiamo tanto al governo della regione autonoma del Kurdistan guidato dal PDK di Masoud Barzani, che va a braccetto ormai da decenni con l’imperialismo americano, che è arrivato più di una volta ad accordarsi con la Turchia fascista e si è alleato con gli USA e il governo fantoccio di Baghdad per strappare Mosul all’IS, ma al PKK e alla sua propagazione siriana dell’YPG, che difficilmente riusciranno a liberarsi dall’abbraccio peloso dell’imperialismo.
Gli USA infatti, alla ricerca di partner locali affidabili nella lotta contro l’IS, hanno investito sui curdi siriani. All’inizio Washington era prudente per evitare grane con la Turchia di Erdogan, ma persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, gli USA hanno puntato direttamente su chi sul campo forniva maggiori garanzie.
Dalla battaglia di Kobane, difesa strenuamente dai combattenti curdi sostenuti dai ripetuti e martellanti raid aerei statunitensi nel gennaio 2015, l’YPG si è lanciato in operazioni militari contro l’IS in Siria e Irak, arrivando a riprendere il controllo della diga di Mosul a metà agosto del 2016. Attualmente i curdi compongono l’80% delle Syrian democratic forces (SDF) che tuttora stringono d’assedio le città vitali dell’IS, Mosul e Raqqa, insieme a una decina di altri gruppi minori arabi e siriani, coperte sempre dai bombardamenti della coalizione imperialista a guida USA.
Dal 19 ottobre 2016 la Turchia ha bombardato le forze dell’YPG in marcia verso Bab, città governata dall’IS, uccidendo 200 militari curdi, ha messo in grave pericolo la flebile promessa fatta da USA e Israele ai curdi di ritagliare per loro uno Stato autonomo e loro satellite nella zona tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Erdogan si è pronunciato per il mantenimento dell’integrità territoriale della Siria, di cui Turchia e Iran si fanno garanti. Il dittatore fascista turco ha altresì avuto dal nuovo zar Putin il via libera a colpire zone curde e a occupare in Siria la regione di confine di Jarablus che si interpone tra le regioni curde e ne impedisce la contiguità territoriale. Da qui le mire turche si sono allargate alle città di Manbij e Afrin, già controllate dall’IS e riconquistate dalle forze curde.
Insomma strumentalizzati dagli USA, barattati dalla Russia di Putin, odiati da Assad e massacrati da Erdogan. Per il popolo curdo niente di buono sotto il cielo imperialista. Si dimostra ancora una volta vero il più antico proverbio curdo: “Non abbiamo altro alleato che le nostre montagne”.
Noi marxisti-leninisti italiani peroriamo la causa del popolo curdo, vorremmo che tutto il Kurdistan fosse unito, libero e indipendente. Ma questo non c’entra niente col nostro appoggio all’IS che è sotto aggressione da parte dell’imperialismo e che intende cacciarlo dal Medio Oriente. Come ha ribadito il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, nel suo discorso dell’11 settembre scorso a Firenze a nome del CC del PMLI per il 40° Anniversario della scomparsa di Mao: “Tra il PMLI e lo Stato islamico esiste un abisso incolmabile dal punto di vista ideologico, culturale, tattico e strategico, e non condividiamo tutti i suoi metodi di lotta, atti e obiettivi, in particolare gli attentati terroristici nei confronti di civili innocenti e incolpevoli. Ciononostante, trattandosi al momento di una contraddizione secondaria rispetto a quella principale della lotta all’imperialismo non possiamo non appoggiarlo perché tra i due belligeranti è esso che ha ragione. Naturalmente, se e quando la contraddizione tra noi e lo Stato islamico dovesse diventare la contraddizione principale, in conseguenza del cambiamento della situazione internazionale, rivedremo prontamente la nostra posizione. Per adesso non possiamo certo stare dalla parte dell’imperialismo che è il comune nemico” .
L’alleanza attuale dei curdi con la santa alleanza imperialista è subalterna ad essa e noi marxisti-leninisti siamo convinti che nessuno degli attori imperialisti, USA in testa, una volta sconfitto l’IS, appoggeranno i diritti del Kurdistan e del suo popolo. La storia, che abbiamo sinteticamente trattato, e l’attualità ci danno ragione. Sia le amministrazioni USA democratiche sia quelle repubblicane hanno continuato nel tempo ad “assistere” e poi tradire il popolo curdo a favore degli interessi geostrategici dell’imperialismo americano. Nel 1973 Mustafa Barzani dichiarò:” Io mi fido dell’America. L’America è una potenza troppo grande per tradire un popolo piccolo come i curdi”. Da lì a poco cessarono le forniture di armi ai curdi che combattevano contro lo scia iraniano, protetto dagli USA, nel Bashur. Negli anni ‘80 l’amministrazione repubblicana di Reagan tolse l’Iraq di Saddam dalla lista degli Stati sostenitori del terrorismo in funzione antiraniana e permise l’utilizzo di gas tossici nello sterminio del popolo curdo. All’inizio del 1991 l’operazione “Desert Storm” non fu certo messa in atto per preoccupazioni umanitarie verso i curdi, quanto per il petrolio. E fino ai primi anni del Duemila l’amministrazione democratica di Clinton ha assistito militarmente la Turchia, vendendogli di tutto, nella sistematica distruzione di oltre 4.000 villaggi curdi oltre il confine del Kurdistan del nord. Niente è cambiato con il democratico Obama che ha strumentalizzato i curdi in funzione anti IS e niente cambierà con il dittatore fascista Trump che ha mandato i marines in Siria per unirsi alle forze militari siriane, russe e curde per l'assalto finale a Raqqa, capitale dello Stato islamico.

22 marzo 2017