La diga dei No TAP contro il gasdotto e lo scempio degli ulivi
Emiliano nicchia, governo e multinazionali a braccetto
Né la recente decisione del Consiglio di Stato né i manganelli della polizia di Gentiloni e Minniti fanno desistere il coraggioso popolo No TAP dalla protesta e dal presidio per impedire la costruzione devastante del gasdotto e lo scempio degli olivi.
Il TAP, Trans-Adriatic Pipeline, prevede la costruzione di un gasdotto lungo 871 chilometri che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, dopo aver attraversato per 510 chilometri la Grecia e per 151 l’Albania. L’approdo è previsto in provincia di Lecce, a San Foca (marina di Melendugno). TAP è, nei fatti, una multinazionale svizzera con la propria sede centrale a Baar, e uffici operativi in tutti i paesi attraversati dal gasdotto quali Grecia, Albania ed Italia. Gli azionisti attuali del progetto sono Snam (20%), l'inglese BP (20%), l'azera SOCAR (20%), la belga Fluxis (19%), la spagnola Enagas (16%), la svizzera Axpo (5%). Nonostante i sindaci dei comuni coinvolti dal passaggio del gasdotto si siano da tempo dichiarati contrari, già nel luglio 2014, il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, volò fino a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Renzi in seduta riservatissima. Pochi mesi dopo il quotidiano inglese “The Guardian”, riportò come Tony Blair, ex premier laburista britannico, fosse diventato lobbista per il consorzio che realizzerà l’opera, con il compito di facilitare la soluzione dei problemi politici, sociali e di reputazione che il progetto sta incontrando, principalmente in Italia.
L’impatto sul territorio
“Nessuna ripercussione, nessuna cicatrice rimarrà sul territorio”, ha garantito a più riprese la multinazionale; un po’ difficile da credere poiché da Melendugno, Snam dovrà proseguire i lavori fino a Mesagne, in provincia di Brindisi, per il collegamento alla rete nazionale con il progetto che al momento prevede un inopportuno quanto potenzialmente disastroso attraversamento delle zone dell’appennino centrale altamente sismiche ed al centro delle tragedie di questi ultimi mesi (vedi il bolscevico n.1/2017). È a 800 metri dal litorale di San Foca che, a 18 metri di profondità, si infilerà un “microtunnel” largo tre metri e lungo due chilometri. Così come descritto nel progetto definitivo stilato da Saipem, all’imboccatura, sul fondale, sarà costruito un terrapieno in calcestruzzo cementizio, proprio di fronte alla spiaggia che per il quarto anno consecutivo ha conquistato la bandiera blu. Il tubo dunque scaverà come una talpa il sottosuolo, per riemergere, al di là della pineta a ridosso della litoranea, in un pozzo artificiale, da dove prosegue per otto chilometri nell’entroterra. Lungo quel percorso interrato di un metro, vi sono 1.900 ulivi da abbattere, da sistemare altrove o tramutare in legna da ardere. Il tutto senza considerare la centrale di depressurizzazione che sarà estesa su dodici ettari, e che ospiterà due macchine termiche a gas della potenza di 3,5 megawatt, con due camini alti dieci metri per smaltire i fumi delle combustioni. Per finire in bellezza, a fine vita tra cinquant’anni, si prevede che le condutture in terra e in mare siano lasciate in loco come opera persa. Tap saluterà San Foca, dove però resteranno ovvi problemi di liberazione progressiva di polimeri, metalli, residui solidi del passaggio del gas naturale, oltre che agli altri problemi geomorfologici e geoidrologici, biologici e ecosistemici in genere legati alla presenza dell’infrastruttura.
L’opposizione della popolazione pugliese
Ecco perché lo scorso 17 marzo, all’avvio dei lavori del cantiere di Melendugno con l'espianto degli ulivi dalla zona in cui dovrà passare il gasdotto, l'area è stata blindata fin dalla prima mattina, quando decine di attivisti hanno bloccato con i propri corpi i camion delle ditte incaricate dalla multinazionale di effettuare i lavori, prima di essere allontanati con la forza dagli agenti. Da giorni la popolazione locale presidia il cantiere, nei pressi del quale un contadino ha messo a disposizione un terreno che è stato trasformato nella base operativa della gente che protesta sia contro l'espianto degli ulivi, sia contro la realizzazione del gasdotto in genere, nella convinzione che la presenza di questa infrastruttura sia incompatibile con la vocazione turistica di un territorio qual è Melendugno e tutto il litorale pugliese. Ogni giorno vengono effettuate due assemblee pubbliche, per informare la gente delle modalità con cui procede il braccio di ferro tra Comune di Melendugno e multinazionale. Il 21 marzo la tensione ha toccato il suo apice e si sono verificati scontri fra manifestanti e forze dell’ordine. Scontri che si sono ripetuti il 27, guando i manifestanti sono stati caricati dalla polizia dopo che la Trans Adriatic Pipeline, grazie alla sentenza favorevole del Consiglio di Stato, ha proceduto all'espianto dei primi due olivi sugli oltre 200 che saranno eradicati per far posto al gasdotto.
L’appoggio del Governo alla multinazionale TIP
Infatti pochi giorni dopo il 21 marzo, il prefetto di Lecce, Claudio Palomba, intimava alla multinazionale svizzera di sospendere temporaneamente i lavori di espianto degli ulivi in attesa di un chiarimento da parte del ministero dell'Ambiente. Da Roma, invece, non solo è arrivato pieno sostegno all'infrastruttura che Trans Adriatic Pipeline vuole realizzare per portare in Italia il gas dell'Azerbaijan. In regola tutte le autorizzazioni, come ha tenuto a rimarcare il ministero dello Sviluppo, che ha rilasciato l'autorizzazione unica, e come ripete la multinazionale, ricordando che persino l'Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia ha dato parere favorevole all'espianto di 231 ulivi dal tracciato del gasdotto. Ma il 27 marzo è arrivata anche la sentenza del Consiglio di Stato che giudica legittimo l'iter autorizzativo del gasdotto. La sentenza non sblocca direttamente il fermo imposto al cantiere ma segna un punto importante a favore della multinazionale. Vengono così bocciati i ricorsi con cui Regione Puglia e Comune di Melendugno avevano tentato di riaprire la trattativa in ambito nazionale per un diverso punto di approdo dell'opera.
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, aveva detto che ci vuole concertazione e anche flessibilità. “L’espianto degli ulivi in Puglia è illegittimo e non bisogna essere sordi rispetto alle proteste della popolazione. Naturalmente la Regione non ha strumenti per fermare un lavoro per il quale il Governo ha dato disposizione alle forze di polizia di favorire un’operazione considerata assolutamente strategica”. Versione con la quale non concordano i No-Tap, secondo i quali la Regione Puglia avrebbe il dovere di intervenire in quanto ente vigilante. Poco dopo Emiliano, candidato segretario nazionale del PD, aveva tenuto a precisare che “il Comune di Squinzano ha già dato la disponibilità con un atto del Consiglio comunale, ad ospitare l’approdo di Tap in un luogo dove non ci sarebbero polemiche. Quindi, non è vero che la Puglia dice no”. In pratica ancora una volta le comunità locali, dovranno cavarsela da sole.
Le ragioni del NO al TIP
Attraverso Melendugno, la Puglia intera grida contro l’eradicazione degli ulivi che si trovano nell’area interessata dai lavori tra le quali anche 16 piante monumentali tutelate da una legge regionale e per i quali Tap non ha ancora un parere della commissione regionale competente. Le grida si levano anche conto gli inutili danni ambientali a una terra che trae dal turismo, e quindi dall’ambiente, le sue comunque appena sufficienti ricchezze: solo nell’estate 2013, San Foca è stata in grado di calamitare circa 400mila presenze turistiche stimate. E poi, dati i consumi in continuo calo e la sovrabbondanza di metano ora esistente, il gasdotto servirà davvero all’Italia? Tap sicuramente è considerata “opera strategica” da Bruxelles anche se essa, da sola, non basterà sicuramente a compensare il fabbisogno europeo ora coperto da Gazprom e a sganciarsi, come vorrebbero alcuni, economicamente dalla Russia. Il tutto senza entrare nel merito delle fonti energetiche rinnovabili delle quali il nostro Paese dispone. L'Italia, col particolare apporto del centro-sud, ha nel sole una fonte rinnovabile d'immensa potenzialità, e dal ridottissimo impatto ambientale; perché allora non destinare risorse nella ricerca, al fine di superare la difficoltà di accumulazione, principale causa che impedisce l'utilizzo massiccio anche a fini industriali di questa energia pulita? Alla fine quindi, cosa rimane del TAP se non gli interessi esclusivi dell’Azerbaijan, dei politici borghesi e della stessa multinazionale?
29 marzo 2017