Riunione della Coalizione internazionale contro l'IS a Washington
La sconfitta dell'IS è “l'obiettivo numero uno degli Usa nella Regione”
Il segretario di Stato Tillerson chiede agli alleati un maggiore impegno “specialmente sul piano militare”
La coalizione internazionale contro lo Stato islamico (IS) si è riunita a Washington il 22 marzo per un incontro di tutti i ministri degli Esteri dei 68 paesi che ne fanno parte, il primo da quando è stata costituita nel 2014 da Obama, ospitato dal dipartimento di Stato. Una occasione ufficiale per il nuovo segretario di Stato americano Rex Tillerson, appena rientrato dal giro diplomatico in Asia dove aveva acceso la miccia sotto la crisi della penisola coreana, per chiamare a raccolta gli alleati imperialisti nell'azione in Siria e Iraq su Raqqa e Mosul che alla Casa Bianca ritengono decisiva nella guerra all'IS.
Presenti fra gli altri il ministro degli esteri del governo fantoccio libico di Al Sarraij e il ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, che ha chiesto un aiuto in particolare per l'azione in Libia e ha portato a casa diversi riconoscimenti per il ruolo attivo svolto dall'imperialismo italiano nella “guerra al terrorismo”.
“Il degrado dell'Isis non basta, dobbiamo sconfiggerlo. Questo è l'obiettivo numero uno degli Usa nella Regione”, ripeteva Tillerson, secondo il quale il leader dell'Isis avrebbe le ore contate, “i vice di Abu Bakr al Baghdadi sono morti, inclusa la mente dietro agli attacchi di Bruxelles e Parigi” dello scorso anno e del 2015 rispettivamente, “è solo una questione di tempo prima che lo stesso Baghdadi faccia la stessa fine”.
Ci manca poco alla sconfitta dell'IS, concordava il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, secondo il quale “non dovremmo perdere la concentrazione, non dovremmo dare all'IS una seconda possibilità” anche perché la battaglia è ormai “all'ultimo stadio”.
Un obiettivo per il quale sono necessari maggiori sforzi militari e Tillerson, come aveva già fatto in sede Nato, sollecita gli alleati a dare un maggiore contributo. “La situazione sul campo richiede di più da tutti voi”, affermava Tillerson sottolineando che in Iraq e Siria Washington “fornisce il 75% delle risorse militari a sostegno dei partner locali nella loro lotta contro l'Isis”, al contrario della situazione “sul fronte degli aiuti umanitari e per la stabilizzazione dove gli Usa forniscono il 25% delle risorse totali”, che nel 2017 ammontano a oltre due miliardi di dollari.
Nel campo di quelli che sono considerati aiuti “umanitari” e per la stabilizzazione, ovvero per tentare quell'operazione di affidare il controllo del paese alle sole forze del governo fantoccio di Baghdad fatto fallire dalla resistenza dei Talebani in Afghanistan, il dipartimento di Stato americano ha sottolineato il lavoro di “cinque nazioni che si sono unite agli sforzi capitanati dall'Italia per fornire training a oltre 7.000 agenti iracheni di polizia”.
“Gli Usa faranno la loro parte ma la situazione sul campo richiede di più da tutti voi” affermava Tillerson che chiedeva ai singoli Paesi di capire come dare il sostegno migliore “specialmente in merito ai contributi alle risorse finanziarie e militare”, più soldi e soldati. E “mentre stabilizziamo e conteniamo fisicamente il califfato in Iraq e Siria, dobbiamo anche prevenire che il suo seme dell'odio metta radici altrove”, avvertiva il segretario di Stato americano che avvisava della creazione di “cellule dell'Isis dal Pacifico all'Asia centrale fino all'America del Sud”. Non è poco per uno Stato islamico dato quasi per morto.
Altro terreno di scontro con l'IS è la comunicazione digitale dato che Internet è ”l'arma migliore di Isis” per fare proseliti e quindi occorre combattere “sul web con la stessa forza usata sul campo”, avvisava Tillerson, “bisogna fermare la diffusione online dei messaggi dell'Isis” perché “un califfato digitale non deve fiorire al posto di quello fisico”. E per “cercare negli angoli più bui del web” chiedeva anche la collaborazione delle aziende tecnologiche, arruolate nella guerra all'IS.
29 marzo 2017