Desecretati 61 documenti sulle “navi dei veleni”
90 navi affondate con rifiuti tossici nel Mar Mediterraneo
Il vero affare erano le armi e i rifiuti di Stato. Collegamenti con l'assassinio della giornalista Ilaria Alpi
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha declassificato oggi sessantuno documenti forniti dal Sismi sul tema della “nave dei veleni”, a seguito del consenso arrivato dal DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Repubblica. I documenti contengono analisi, note e rapporti informativi dei servizi segreti militari, che arrivano fino a metà degli anni 2000, riguardanti soprattutto l'attività di contrasto dei traffici illegali di rifiuti, in particolare quelli radioattivi. Carte in cui si conferma quanto Legambiente, insieme ad altre associazioni e investigatori coraggiosi, denuncia sin dall'inizio degli anni Novanta. Flussi impressionanti di rifiuti industriali, compresi quelli radioattivi e in mano a enti pubblici, provenienti spesso dall'estero, che grazie al ruolo svolto da strutture criminali per decenni sono stati spediti in giro per il mondo e seppelliti in mille modi nel nostro Paese, avvelenandolo. Uno dei rapporti declassificati considerato tra i più significativi riguarda Giorgio Comerio, imprenditore navale già ascoltato dalla commissione il 25 maggio 2015, e già al centro di alcune inchieste della magistratura. Sarebbero evidenti legami di traffici clandestini con particolare riferimento allo smaltimento di scorie nucleari e rifiuti tossici, al riciclaggio di denaro ed al contrabbando di armi. Secondo quanto anticipato dalla Commissione, Comerio sarebbe stato attivo a partire dal 1995 nella zona della Baia di Hungnam, grazie ad accordi stretti con il governo della Corea del Nord. Secondo il Sismi insieme ai suoi collaboratori l'uomo sarebbe stato coinvolto nello smantellamento di “200.000 cask di residui radioattivi”, per una cifra d'affari di “227 milioni di dollari” nell'area di Taiwan.
Novanta navi cariche di rifiuti affondate nel Mediterraneo
Secondo molte testimonianze largamente conosciute, al largo delle nostre coste si sarebbero consumati naufragi pianificati a tavolino sotto la regia dei capi mafia, soprattutto afferenti alle locali di 'ndrangheta, con quel minimo di tritolo che abbondava nei loro arsenali e che serviva ad aprire ampie brecce negli scafi. L'abisso avrebbe custodito ogni segreto. “Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare?” dice un boss al suo interlocutore durante una conversazione intercettata dalla Dda di Reggio Calabria, “Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte...”. In un documento ufficiale della Dia, solo nell'arco temporale 1995-2000 sono stati registrati ben 637 affondamenti sospetti nei mari del mondo. Tra le carte ottenute dalla commissione parlamentare d'inchiesta ci sono quelle relative alle navi affondate nel Mediterraneo. Sarebbero ben 90 gli affondamenti riscontrati con relative coordinate, carico, dati dell'armatore, percorso e motivi apparenti del naufragio che verranno analizzati e confrontati con gli altri atti già acquisiti dalla commissione.
Rifiuti in cambio di armi. Il governo italiano sapeva
Ci sarebbero anche notizie relative ai traffici internazionali di rifiuti destinati in Somalia negli anni 2000. Il Sismi il 30 luglio 2003 informò la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministro degli Esteri dell'allora governo Berlusconi, dell'arrivo a Mogadiscio di due navi “cariche di rifiuti industriali e scorie tossiche”. “Su questi temi, l'intreccio tra i traffici di rifiuti e di armi col coinvolgimento di apparati dello Stato italiano, stavano lavorando la giornalista della Rai Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin – ha commentato il presidente della commissione Alessandro Bratti – che persero la vita in un agguato il 20 marzo 1994 proprio a Mogadiscio. Pensando al loro sacrificio e ai silenzi e depistaggi ormai accertati sulla loro morte abbiamo fatto uno sforzo notevole come commissione per individuare centinaia di documenti, inviando gli interpelli al governo per la declassificazione. È solo un primo passo, altri documenti diverranno pubblici presto, appena termineranno le procedure”. Trapelano anche notizie sul coinvolgimento di alcune industrie del settore pubblico, su tutte la Montedison, pubblica alla data dei fatti, ed anche della Monteco la quale manager Cesarina Ferruzzi si occupò di riportare indietro un carico di rifiuti industriali pericolosi italiani che si volevano smaltire in Libano, sulla motonave Jolly Rosso. La nave si arenò il 14 dicembre 1990 sulla spiaggia in località Formiciche, nel Comune di Amantea in provincia di Cosenza, priva di equipaggio e anch'essa è collegata da dinamiche processuali all'assassinio Alpi anche a causa della forte radioattività di una cava, ora sigillata, legata a rifiuti nucleari radioattivi giunti per via navale nella zona. Esiste anche una commissione specifica costituita per cercare di capire la verità su quanto accaduto sulla Moby Prince. L'affondamento della Moby Prince è stato inserito dall'intelligence in uno schema, dedicato al traffico di materiale bellico recuperato, di scorie nucleari e armi. Questi nuovi files potrebbero evidenziare nuovi sviluppi rimasti segreti. Sarà quindi necessario studiare molto bene quelle carte, e in maniera trasparente, consapevoli che esse vedono il pieno coinvolgimento di varie potenze mondiali. Si parla infatti di Corea e Cina, di rapporti con la Russia, col Marocco e la Tunisia. Insomma emergono delle indicazioni e ipotesi di lavoro, tracciate dagli investigatori, relative a uno scenario inquietante, pericoloso e probabilmente, per certi versi, non scongiurato. Seguiremo gli sviluppi ma ci auguriamo che i lavori delle commissioni possano essere seguiti dalle associazioni ambientaliste, che per prime lanciarono l'allarme, per vigilare e pretendere la verità. Non vorremmo che il tutto venisse insabbiato ancora una volta, rimandando ancora informazioni e responsabilità a un futuro che poi non arriva mai.
5 aprile 2017