Seguendo l'esempio dell'imperialismo americano
Il socialimperialismo cinese aumenta le sue spese militari
Li Keqiang: “Rafforzeremo le nostre difese di mare e di cielo”
Se il presidente Donald Trump rilancia l'egemonia militare dell'imperialismo americano e annuncia un aumento delle spese militari del 10%, il principale concorrente socialimperialista cinese non è da meno, tiene botta e aumenta il proprio bilancio militare intorno al 7%. Lo ha annunciato a Pechino lo scorso 4 marzo, alla vigilia dell'Assemblea nazionale del popolo, Fu Ying, la portavoce del Congresso Nazionale del Popolo, precisando che il futuro delle spese militari della Cina dipenderà anche dalla “intromissione di esterni” nelle dispute territoriali nella regione con quasi tutti i paesi dirimpettai del mar del Giappone, dal Giappone a Vietnam e Filippine, alla Corea, ovvero dal livello degli interventi degli Stati Uniti .
Il bilancio della Difesa americano è di quasi 600 miliardi di dollari e Trump vuole incrementarlo fino al 2018 di almeno 54 miliardi; quello cinese è molto inferiore, pari a 138 miliardi di dollari e secondo l'agenzia Xinhua
salirebbe fino a circa 143 miliardi di euro. Ne mancherebbero alcuni per raggiungere la cifra annunciata dalla portavoce del Congresso ma resta il fatto che l'incremento è quello più basso dal 2010, dagli ultimi 25 anni quando il budget militare cresceva del 10% e oltre.
A togliere qualsiasi dubbio sulle intenzioni riarmiste della Cina ci pensava il 5 marzo il premier Li Keqiang che garantiva: “rafforzeremo le difese di mare e di cielo”, “aumenteremo la preparazione e la velocità di reazione dell'esercito”, “aumenteremo i controlli alle frontiere”. L'argomento centrale del discorso del premier cinese era l'economia, con la sottolineatura del perdurare della crisi economica che “limita” ancora la crescita del pil “intorno al 6.5%”. Una crescita che rappresenta un miraggio per le economie capitalistiche occidentali, fra i peggiori risultati per quella del socialimperialismo cinese. E i tempi sono ancora difficili, avvertiva Li Keqiang, la situazione è “più complicata e grave del previsto sia all'interno che all'esterno” dato che i “fattori che possono causare instabilità e incertezza non sembrano temporanei. Anzi, stanno visibilmente crescendo”. “La crescita economica mondiale resta debole mentre la deglobalizzazione e il protezionismo aumentano” commentava il premier cinese con una evidente denuncia delle politiche economiche del concorrente imperialismo americano, temute alla pari delle possibili future sfide militari.
Li Keqiang non ha detto una parola su quanti milioni di yuan Pechino vorrebbe impegnare per tener fede agli impegni militari. Certamente tanti, a partire dalla serie di investimenti che pur non figurando nel bilancio delle spese militari servono per scopi militari e strategici, vedi i miliardi spesi da Pechino per costruire piste di atterraggio, basi militari, impianti radar, e postazioni missilistiche su diverse delle isole contese del Mar Cinese meridionale, spese definite come necessarie per dare un “aiuto alla navigazione sicura” delle merci.
Nel bilancio della Difesa cinese non compaiono inoltre i miliardi spesi per la cosiddette sicurezza interna, quelle destinate al “sistema di mantenimento della stabilità” che servono per reprimere le proteste di massa e mettere a tacere gli oppositori. Tanto per dare un'idea, l'ultima cifra conosciuta è quella del 2013 quando le spese per la sicurezza interna, pari a 130 miliardi di dollari, superarono quelle per la difesa militare.
A segnalare l'aria che tira a Pechino basti sottolienare che a margine della riunione dei primi di marzo della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, il generale in pensione Wang Hongguang dichiarava che “siccome il bilancio militare degli Usa è aumentato del 10%, anche noi abbiamo bisogno di aumentarlo in doppia cifra. L’ideale sarebbe un incremento del 12%”. Che la crisi lo consenta o meno quello che conta è tenere botta alle iniziative della concorrenza imperialista.
5 aprile 2017