Sganciata dal criminale terrorista della Casa bianca
Superbomba contro lo Stato islamico in Afghanistan
Un avvertimento a Putin, Kim e Xi
Il 13 aprile un MC-130 delle Forze speciali dell'aeronautica militare americana sganciava una GBU-43B, la più potente bomba non nucleare finora mai usata, in una zona nel distretto di Achin, nella provincia di Nangarhar dell'Afghanistan orientale, a ridosso della frontiera con il Pakistan dove operano formazioni legate allo Stato islamico (IS). La notizia, anticipata dalla rete televisiva Cnn era confermata dal Pentagono e dal portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, che spiegava l'impiego della superbomba con la necessità di colpire “un sistema di tunnel e grotte che i combattenti dell'Isis utilizzano per muoversi liberamente, in modo da poter colpire più facilmente i militari e i consiglieri americani e le forze afghane nell'area”. Nell'azione “sono state prese tutte le precauzioni per evitare vittime civili e danni collaterali”, assicurava Spicer che rimandava al Pentagono per ulteriori dettagli. Poiché l'IS utilizza bunker e tunnel che non possono essere distrutti con gli ordigni ordinari, spiegava il generale John W. Nicholson, comandante le forze americane in Afghanistan, la superbomba era lo strumento più adatto “per eliminare gli ostacoli e mantenere il vantaggio nella nostra offensiva contro l'Isis”.
La superbomba chiamata MOAB, che nella sigla inglese vuol dire “Massive ordnance air blast” ma ribattezzata “Mother of all bombs” (madre di tutte le bombe, ndr), pesa quasi 10 tonnellate e ha la capacità di distruggere in profondità nel terreno e in un raggio di centinaia di metri. Costruita dall'aviazione Usa era disponibile a partire dal 2002 e inserita nell'arsenale delle armi da poter usare contro Saddam Hussein in Iraq; nel 2009, secondo il Pentagono era stata inserita dall'amministrazione Obama tra quelle possibili da usare contro i siti nucleari sotterranei dell'Iran. Torna oggi utile al criminale terrorista della Casa Bianca, Donald Trump, che non ha esitato a collaudarla sul campo contro l'IS e mandare un messaggio inequivocabile ai nuovi avversari dell'America.
“Abbiamo i migliori militari del mondo e hanno fatto il loro lavoro. Per questo hanno avuto un tale successo ultimamente. Si guardi a quanto accaduto nelle ultime otto settimane e lo si paragoni agli ultimi otto anni: vedrete la grande differenza. Questa è stata un'altra missione di grande successo”, affermava Trump dalla Casa Bianca in riferimento ai “successi” della sua politica bellicista in confronto a quella del doppio mandato di Obama. E nel rispondere alle domande dei giornalisti chiariva un altro tassello della sua politica estera muscolosa dichiarando che “non so se ciò rappresenta un messaggio alla Corea del Nord ma non fa molta differenza. La Corea del Nord è un problema che sarà risolto”, magari dalla portaerei Carl Vinson e dal suo gruppo navale d'attacco che erano appena stati spediti verso la penisola coreana.
In Afghanistan non è l'IS il principale nemico del regime fantoccio che il contingente imperialista tiene in piedi a Kabul, la resistenza è in larga parte condotta dalle forze dei Talebani e la presenza di formazioni che si sono dichiarate affiliate all'IS sembra ancora marginale seppur in via di sviluppo. Il bersaglio IS e il teatro afghano è stato comunque scelto da Trump per dimostrare che l'imperialismo americano è in prima fila contro lo Stato islamico in Siria e Iraq ma anche nell'occupazione in Afghanistan, non molla cioè alcun fronte e anzi si prepara a aprirne uno nuovo nella penisola coreana.
Il messaggio di Trump al mondo è chiaro: la potenza militare statunitense è smisurata e può colpire con effetti devastanti ovunque lo ritenga opportuno.
Si tratta di un messaggio diretto alla Corea del Nord di Kim Jong-un ma anche ad Assad e in ultima analisi a Xi e Putin, i due bersagli “grossi” della politica di rilancio delle ambizioni dell'imperialismo americano che cerca di ribaltare il declino degli ultimi anni e recuperare il precedente indiscusso primato mondiale.
19 aprile 2017