Approvato a colpi di fiducia il decreto Minniti-Orlando
Confermato il “reato di immigrazione clandestina”
Tribunali speciali per espellere i migranti
Appena 53 giorni dopo la sua promulgazione, il decreto Minniti-Orlando, che reintroduce di fatto i tribunali speciali di mussoliniana memoria per espellere i migranti richiedenti asilo politico, è legge dello Stato.
Dopo il Si del Senato che il 29 marzo con 145 voti favorevoli (93 PD su 99, 25 Ap su 27, 13 Mdp su 15, 11 Autonomie su 13 e 3 senatori Gal), 107 contrari e un astenuto, aveva approvato la fiducia imposta dal governo Gentiloni sul maxi-emendamento che sostituisce per intero il decreto legge; l'11 aprile anche la Camera sempre a colpi di fiducia con 330 Sì, 161 No e 1 astenuto, ha dato il via libera alla nuova legge che contiene “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e il contrasto dell’immigrazione illegale”.
Il provvedimento, di chiaro stampo fascista, xenofobo e razzista è stato molto criticato fin dalla sua presentazione a gennaio scorso da tutte le associazioni umanitarie che si occupano di migranti: dall’Arci ad Amnesty, da Antigone al Cir, al Centro Astalli, al Cnca e alla Comunità di sant’Egidio. Contraria anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) e il Consiglio superiore della magistratura che in un parere inviato nei giorni scorsi al Guardasigilli ha denunciato il rischio di una “diffusa compressione delle garanzie del richiedente”.
Contro il decreto si sono schierati solo i senatori PD Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato, e Walter Tocci, in contrasto con il loro partito e la stessa maggioranza di governo che, per non correre rischi, ha imposto il doppio voto di fiducia.
"Molte le ragioni di questa scelta – hanno chiarito Manconi e Tocci - ma una ha un peso particolare. Il decreto, infatti, configura per gli stranieri una giustizia minore e un 'diritto diseguale', se non una sorta di 'diritto etnico'". Mentre buona parte della cosiddetta “sinistra” ha rinunciato a dare battaglia lasciando di fatto campo libero alla maggioranza PD e al governo a cominciare dal nuovo gruppo Mdp articolo 1 che riunisce bersaniani, d'alemiani e gli ex Sel che non hanno aderito al Sinistra Italiana Possibile, i quali, a parte i 15 che hanno deciso di non rispondere alla chiama, hanno votato compatti la fiducia.
Nei 23 articoli che compongono il decreto legge 13/2017 è previsto innanzitutto la creazione di “26 sezioni specializzate” presso i tribunali delle corti d'appello col compito di esaminare le richieste di asilo e gestire i rimpatri. Queste sezioni saranno formate da “magistrati con una profonda conoscenza del fenomeno migratorio”.
Esattamente il contrario di quanto prevede l’articolo 102 della Costituzione, secondo cui: “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”.
Su questo punto l'ex braccio destro di D'alema, Minniti, e la ministra dei rapporti col parlamento, Finocchiaro, accusati perfino da una parte dello stesso PD di rincorrere la linea xenofoba e razzista del fascio leghista Salvini, hanno cercato di sminuire la natura fascista e razzista del provvedimento affermando che nel testo della legge non si parla di “giudici speciali”, vietati espressamente dalla Costituzione, ma di “sezioni specializzate”.
In realtà, come hanno chiarito diversi costituzionalisti, la “specializzazione dei giudici” così come è scritto nel testo della legge non è riferita all’intera materia, e cioè al diritto dell’immigrazione nel suo complesso, ma solo ai rifugiati, cioè solo alla protezione internazionale. Di conseguenza avremo giudici specializzati solo per i richiedenti asilo, esperti più che di immigrazione in generale, soltanto di protezione internazionale, e ciò configura un palese conflitto di legittimità della norma che dunque è anticostituzionale e palesemente discriminatoria.
Non a caso, col presteso di “snellire e velocizzare le procedure di rimpatrio” la nuova legge nei capitoli successivi prevede anche l’abolizione del secondo grado di giudizio in appello per chi si vede rifiutata la richiesta di asilo in primo grado. I diritti della difesa verranno praticamente cancellati. Il richiedente asilo è lasciato solo davanti alla commissione e senza nemmeno un avvocato. In caso di diniego egli avrà solo 30 giorni di tempo per nominare un avvocato e avviare le procedure per il cosiddetto “ricorso contro la decisione negativa o parzialmente negativa della commissione territoriale” che comunque sarà affidato a un giudice monocratico la cui decisione, assunta in sede camerale senza udienza né contraddittorio, potrà essere impugnata solo in Cassazione e ovviamente solo per motivi puramente formali.
Una procedura in stridente contrasto sia l'articolo 111 della Costituzione secondo il quale “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, in contraddittorio e parità tra le parti e un giudice terzo e imparziale” che con la direttiva europea 32/2013 sulle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato che, per la stragrande maggioranza dei casi, per il soggetto espulso equivale non a un rimpatrio ma a una vera e propria condanna a morte, dal momento che si tratta perlopiù di persone che scappano dalle guerre, torture, fame, carestie e persecuzioni.
Il governo ha inoltre deciso non solo di mantenere ma di moltiplicare i Cie (Centri per l’identificazione e l’espulsione dei migranti irregolari) limitandosi a cambiarne il nome in Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) che dagli attuali 6 diventeranno 20, uno per ogni regione, e di conseguenza anche la capienza attuale, che sta tra le 600 e le 700 persone, arriverà a oltre 2000 reclusi. Inoltre è prevista la possibilità di allungare anche i tempi di detenzione dagli attuali 90 giorni fino a 135.
Il provvedimento infine non solo non prevede l'abolizione dell'odioso reato di “immigrazione clandistina” ma addirittura ne aggrava le conseguenze introducendo anche la possibilità per un Comune di sfruttare i richiedenti asilo presenti nel proprio territorio “per lavori socialmente utili, senza compensi in denaro”.
Insomma, proprio coloro che si proclamano, “democratici” e fieramente “garantisti” e invocano il principio di innocenza fino al terzo grado di giudizio (e anche oltre, vedi caso Minzolini salvato dal PD), quando si tratta di politici corrotti, sono gli stessi che sono pronti a mettersi sotto i piedi codici, garanzie costituzionali e la stessa presunzione di innocenza quando si tratta invece di immigrati, rifugiati politici, ma anche tossicodipendenti ed emarginati sociali!
19 aprile 2017