Nonostante le pressioni di Gentiloni
I lavoratori Alitalia bocciano l'accordo tra governo, Cgil, Cisl, Uil e azienda
NO 68%, Sì 32%. Affluenza quasi al 90%
L'Alitalia va nazionalizzata

Il verdetto è stato netto e inequivocabile: i lavoratori Alitalia hanno respinto l'ipotesi d'accordo tra l'azienda e i sindacati confederali raggiunto con la mediazione e la pressione del governo. La partecipazione al referendum svoltosi il 23 e 24 aprile è stata molto alta, hanno votato in 10.184 su 11.673 aventi diritto (87,24%), 151 le bianche e nulle. Si è dichiarato favorevole solo il 32% dei lavoratori mentre il 68% ha detto NO. Anche se era nell'aria in molti sono rimasti spiazzati e sorpresi da questo risultato tanto da reagire stizziti, come ha fatto il quotidiano romano il Messaggero che il giorno dopo titolava “suicidio collettivo”, e su quella falsariga si posizionavano molte testate giornalistiche e vari commentatori.
In questo modo si è cercato di avvallare la tesi per cui l'azienda sarebbe affondata perché i lavoratori hanno voluto salvaguardare i loro “privilegi” in cambio di “ragionevoli” sacrifici. Ma nessuno si è dilungato sui tagli richiesti dall'azienda (e dal governo) che sono invece pesantissimi. Quasi mille dipendenti a tempo indeterminato tra il personale di terra considerati “esuberi” e liquidati con la cassa integrazione straordinaria per due anni, più 140 tagli nelle sedi estere e il mancato rinnovo di contratti a termine, per un totale di 1700 persone coinvolte e praticamente licenziate su un totale di 12mila.
L'intesa prevedeva inoltre un taglio medio dell'8% alla retribuzione del personale navigante (ma che i sindacati di base hanno denunciato essere del 25%), bassi salari d'ingresso per le future assunzioni e altri interventi operativi per ridurre il costo del lavoro: sui voli a lungo raggio ci sarebbe stato un assistente di volo in meno e l'equipaggio doveva avere più compiti, i turni di riposo ridotti, alla faccia della tanto decantata sicurezza. Il taglio complessivo al costo del lavoro vicino agli 80 milioni l'anno.
I lavoratori hanno detto chiaramente di non essere disposti ad accettare questi pesanti tagli, di essere stanchi di subire sulla loro pelle l'ennesima ristrutturazione capitalistica in cambio di false promesse di rilancio come avviene fin dalla sua privatizzazione avvenuta nel 2008 ad opera del governo Berlusconi con l'avvallo di quasi tutti i partiti e sindacati, confederali e autonomi. I NO sono stati schiaccianti, in particolare tra il personale di volo, ma hanno vinto anche tra quello di terra, sia a Milano che a Roma. Solo in due seggi della capitale, dove si trova la maggior parte del personale a terra, hanno vinto i Sì, ma anche qui complessivamente hanno prevalso i NO ricacciando indietro il tentativo di dividere i lavoratori come era avvenuto per i dipendenti Almaviva che di fronte a un ricatto simile a Roma e Napoli si erano espressi in maniera diversa.
La stessa Camusso, nonostante la Cgil si fosse spesa molto a favore del Sì, ha dovuto ammettere come “il NO al referendum dimostra la sfiducia dei lavoratori nell'azienda”, e non poteva essere altrimenti dopo che la privatizzazione e due pesanti ristrutturazioni in meno di 10 anni hanno fatto perdere 12mila posti di lavoro con un riduzione del 50% del personale e causato un continuo peggioramento dei salari e delle condizioni di lavoro.
La Cisl invece, per bocca della Furlan, ha attaccato i lavoratori e difeso il governo: "sottoporre l'accordo su Alitalia al referendum tra i dipendenti, snaturando il nostro ruolo, forse è stato un errore... la democrazia sindacale non può fare a meno della responsabilità. Bisogna riflettere sulle forme di partecipazione, anche perché questo voto ha scatenato delle forme di populismo sindacale. Il governo ha fatto di tutto per trovare una mediazione.” Evidentemente i referendum vanno bene solo quando il risultato è quello voluto dalla Cisl.
Che il governo abbia fatto di tutto per far ingoiare ai lavoratori l'accordo è incontestabile. Gentiloni ha minacciato apertamente i lavoratori mentre le urne erano ancora aperte: “so bene che ai dipendenti sono chiesti sacrifici, ma so che senza l'intesa l'Alitalia non potrà sopravvivere. Mentre è in corso la consultazione, sento il dovere di ricordare a tutti la gravità della situazione i cui ci troviamo”.
I lavoratori però non intendono pagare ulteriormente le colpe degli altri, pagare il conto in attesa di essere gettati alla fine comunque sul lastrico. L'Alitalia l'hanno spolpata prima i partiti di regime e le lobby quando era in mano pubblica, specie la DC e il PSI con le loro nomine lottizzate e hanno fatto ancora peggio i privati che grazie allo Stato hanno preso la parte “buona” scorporata dai debiti accollati ai contribuenti lasciandola nuovamente con miliardi di euro di perdita e da manager Alitalia che l’hanno sfasciata con una serie di piani industriali buttati al macero, grosse fette di mercato concesse alle low cost straniere mentre loro si riempivano i portafogli di bonus astronomici.
Anche l'ingresso di Etihad, annunciata come la salvatrice di Alitalia, si è rivelato un fallimento. Si parlava di nuovi aerei, nuove rotte a lungo raggio e addirittura la previsione di un pareggio di bilancio entro il 2017. Ma a quanto sembra a rimetterci sarà solo la compagnia italiana mentre quella degli Emirati avrebbe già recuperato il capitale investito. Secondo un articolo del Sole 24 ore Etihad ha speso per rilevare il 49% di Alitalia 560 milioni, di cui però solo 387 sono capitale azionario. Con gli altri soldi ha acquistato società e beni Alitalia floridi e remunerativi tra cui 5 slot (concessioni di utilizzo aeroportuali) nel grande scalo londinese di Heathrow pagate un quinto del prezzo di mercato che rimarranno in mano ad Etihad in caso di scioglimento dell'alleanza. In più, sempre secondo il Sole , nelle tratte condivise la società italiana doveva pagare il doppio rispetto a quella araba quando era il momento di riconoscere i costi della gestione del volo.
Adesso l'unica soluzione è la nazionalizzazione accompagnata da un diverso piano strategico che regoli il traffico aereo perché uno dei fattori della perdita di grandi fette di mercato sono le condizioni di favore di cui godono le low cost, grazie alle quali Ryanair si è imposta come la prima compagnia aerea operante in Italia per numero di passeggeri. Oltre a pagare meno i lavoratori queste società godono dei finanziamenti dei piccoli aereoporti italiani, spesso doppioni e a poca distanza da quelli grandi, che altrimenti non potrebbero sopravvivere; la società irlandese per far atterrare i suoi aerei intasca oltre 100milioni di euro l'anno da enti, province e regioni.
Il commissariamento è solo l'anticamera del fallimento e del licenziamento di 12mila lavoratori. Non è vero che non è permesso nazionalizzare, la nostra Costituzione lo prevede, specialmente per aziende d'interesse generale, nazionale e strategico. Per finanziare le banche i soldi sono stati trovati immediatamente, per finanziare un ambizioso piano imperialista di rilancio militare sono previsti miliardi di euro, si trovino subito per nazionalizzare e rilanciare Alitalia.
 

3 maggio 2017