Si alleano i sindaci contro la chiusura dei reparti dei paesi lontani dai grandi centri
Gli ospedali dei paesi di montagna non devono chiudere
Tra i tagli ai servizi sociali decisi dagli ultimi governi particolarmente gravi sono quelli che minacciano il diritto alla salute in località che si trovano in montagna: a questo drammatico problema, che rischia di aggravare e di accelerare lo spopolamento di preziose aree di territorio montano è stato dedicato l’importante convegno tenutosi a Trento lo scorso 9 febbraio sul tema ‘Piccoli ospedali di montagna: il futuro dei punti nascita.
All’incontro, organizzato dall’Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna, hanno preso parte sindaci e direttori sanitari dei piccoli ospedali alpini con meno di 500 nascite l’anno: in modo particolare sono intervenuti i sindaci dei comuni alpini di Cavalese, Cles, Tione, Borgo Valsugana, Silandro, Vipiteno, San Candido, Sondalo, Chiavenna, Gravedona, Tolmezzo, Domodossola, Susa, Borgosesia, Agordo, Pieve di Cadore e Asiago, insieme ai direttori sanitari dei piccoli ospedali che si trovano su tali territori e ai rappresentanti delle i sindaci dei comuni dove si trovano tali.
Le regioni nel cui territorio si trovano gli ospedali a rischio di chiusura sono il Trentino Alto Adige, il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia e il Piemonte.
L’obiettivo del convegno è anche quello di far partire un'iniziativa comune al fine di riaprire una trattativa presso la Conferenza Stato-Regioni in ordine all'accordo sulla salute firmato del 2010, che ha programmato la graduale chiusura dei piccoli ospedali, tutti situati in aree montane, dove avvengono meno di 500 nascite l’anno.
Nel convegno è emerso un dato chiaro: al di là del mero dato economico legato ai costi, tali strutture sono indispensabili a garantire in vaste aree poco popolate del nostro Paese quei livelli minimi di prestazioni sanitarie che sono la condizione necessaria per garantire l’esistenza della vita in montagna, e che la programmazione sanitaria delle regioni alpine non può prescindere da quel principio costituzionale di sussidiarietà responsabile che possa tenere il più vicino possibile ai cittadini i servizi di base.
Anche se gli ospedali e i comuni intervenuti al convegno sono tutti ubicati nell’arco alpino, al convegno è emerso che il problema ha portata nazionale, dalla Sicilia alle zone periferiche della Sardegna fino a coinvolgere tutta la catena degli Appennini, con decine di ospedali già chiusi o a rischio di chiusura, e sono un centinaio quelli costretti attualmente ad aprire solo di giorno: infatti la riunione svolta a Trento vuole aprire la strada alla rappresentanza di altri ospedali e relativi territori sparsi in tutta l’Italia che si trovano ad avere lo stesso, identico problema.
Sono stati portati anche esempi virtuosi di altri Paesi come la Svizzera, l’Austria e la Germania per i quali la cura dei territori alpini è fondamentale anche per ciò che riguarda la sanità: è emerso che nella Confederazione Elvetica, in Tirolo e in Baviera, grazie alla tecnologia, gli ospedali garantiscono un valido presidio sul territorio anche dove i parti non sono più di trenta all'anno, tramite la diffusione sul territorio di piccoli strutture sanitarie raggiungibili con meno di due ore di auto, e con un servizio di eliambulanze molto efficiente.
Un durissimo attacco è stato riservato, durante il convegno, al modello di sanità introdotto in Lombardia da Formigoni, fondato su una velleitaria ricerca di eccellenza clinica e contemporaneamente sulla riduzione di medici, reparti e posti letto, per penalizzare infine gli ospedali pubblici a favore delle cliniche private, un modello di sanità che si sta estendendo in tutta la penisola, penalizzando soprattutto i piccoli presidi ospedalieri, che sono invece vitali per i territori montani.
17 maggio 2017