Secondo de Bortoli, ex direttore del “Corriere della Sera”
Boschi voleva rifilare la banca Etruria a Unicredit
La sottosegretaria di fiducia di Renzi deve dimettersi
"L'allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all'amministratore delegato di Unicredit.
Maria Elena Boschi chiese quindi a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all'amministratore delegato di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere".
Lo scrive l'ex direttore Ferruccio De Bortoli, alla guida del Corriere della Sera per dodici anni e del Sole 24 Ore per cinque, nel libro "Poteri forti (o quasi)", in libreria da pochi giorni.
A pagina 209, nel capitolo intitolato “Matteo Renzi, ovvero la bulimia del potere personale” De Bortoli, dopo aver ricordato gli incontri di Pier Luigi Boschi con il faccendiere Flavio Carboni, coinvolto nelle varie inchieste sulla P2 e P3, per chiedergli di interessarsi ai destini di Banca Etruria, di cui il padre di Maria Elena era vicepresidente, delinea uno scenario a dir poco inquietante, confermato anche dal clamoroso e persistente silenzio di Ghizzoni, in cui si vede l'allora ministro delle Riforme e attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio che, nella sua qualità poco istituzionale di figlia del vicepresidente di Banca Etruria e di rappresentante politica del territorio aretino, interpella direttamente il numero uno di Unicredit e gli chiede di intervenire per salvare la banca del paparino che versa in gravi difficoltà economiche e che per un trentennio è stata guidata da Elio Faralli, “notoriamente un massone”.
Non è la prima volta che De Bortoli accusa Renzi e il suo “giglio magico” di essere contigui alla massoneria. Esattamente tre anni fa, il 24 settembre 2014, sempre De Bortoli in un editoriale critico nei confronti del governo aveva rievocato l'“odore di massoneria” che ha sancito il patto del Nazareno fra Renzi e Berlusconi, la caduta del governo Letta e il conseguente insediamento del nuovo Mussolini a Palazzo Chigi.
Così come non è la prima volta che De Bortoli ricostruisce la torbida vicenda che ruota intorno al fallimento di Banca Etruria come ad esempio il 19 settembre 2016 a Cesenatico quando nel corso di una conferenza tenuta presso la “Scuola di Politiche” arrivò a dire che: “Su vicende bancarie, Etruria, Siena, si sente odore di massoneria”.
Accuse precise, dirette e circostanziate, confermate in pieno dall'accuratezza della sua fonte, probabilmente dentro Unicredit, a cui la Boschi ha reagito in modo rabbioso: “Non ho mai chiesto all’ex ad di Unicredit, Ghizzoni, né ad altri, di acquistare Banca Etruria. Ho incontrato Ghizzoni come tante altre personalità del mondo economico e del lavoro ma non ho mai avanzato una richiesta di questo genere. È un'ennesima campagna di fango”.
Ma i fatti e le vicende economiche e giudiziarie che hanno portato al fallimento di Banca Etruria dimostrano esattamente il contrario; confermano in pieno la ricostruzione di De Bortoli il quale fra l'altro ricorda come il 10 febbraio del 2015 Etruria venne commissariata dal ministro dell'Economia Padoan su proposta del governatore Ignazio Visco e la sua crisi deflagra.
La Boschi finisce nella graticola e si arrampica sugli specchi nel tentativo di far credere che non c'entra niente con le vicende di Etruria e di non essere in conflitto di interessi. In realtà ha lavorato sotto traccia per trovare la partnership "di elevato standing" in grado di salvare la banca del paparino come raccomandato dagli ispettori di Bankitalia.
È in questa fase che avviene il famigerato incontro organizzato da papà Boschi, all'epoca consigliere di Etruria, presso la sua villa di Laterina in provincia di Arezzo nel marzo del 2014 fra il presidente della banca aretina, Giuseppe Fornasari, e Flavio Trinca, presidente di Veneto Banca, e Vincenzo Consoli, amministratore delegato. Fornasari, che tra l'altro conosce bene Trinca in quanto entrambi sono stati deputati DC, è convinto di poter salvare la sua banca grazie anche all'intervento della figlia di Boschi, da pochi giorni ministra del governo Renzi.
Alla neo ministra i banchieri spiegano che da alcuni mesi sia Etruria sia Veneto Banca sono nel mirino della Vigilanza di Bankitalia e che il governatore Ignazio Visco e il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo gli offrono come unica via d'uscita la fusione con la Popolare di Vicenza del “nemico” Gianni Zonin.
La Boschi raccoglie la richiesta di aiuto dei banchieri e si attiva sia per far cessare le pressioni di Visco su Etruria, sia per trovare una soluzione alternativa alla fusione con Zonin.
Nel frattempo le prime inchieste giudiziarie della procura di Arezzo e la contestuale crisi di tutto il sistema bancario italiano azzerano il Cda di Etruria.
Lorenzo Rosi diventa presidente di Etruria e Boschi padre vicepresidente. Bankitalia invece non allenta la morsa e continua a tenere il fiato sul collo di Etruria soprattutto dopo il rifiuto della fusione con Zonin.
Rosi e Boschi tentano tutte le strade possibili per evitare il fallimento, nell'estate 2014 si affidano al faccendiere Flavio Carboni presentatogli dall'amico Valeriano Mureddu, vicino di casa della famiglia Renzi a Rignano e pochi mesi fa arrestato per bancarotta fraudolenta, nel tentativo di salvare Etruria tramite l'intervento del fondo Qvs dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, lo stesso al quale, secondo indiscrezioni de La Stampa, si sarebbe rivolto Renzi nei giorni scorsi per chiedergli di salvare Alitalia.
Poi si rivolgono alla banca francese Lazard e a Mediobanca, le quali contattano almeno una trentina di banche in tutta Europa che rifiutano l'offerta.
Si arriva così a gennaio 2015 con la ministra Boschi che, in un ultimo disperato tentativo, si rivolge in modo pressante e diretto al numero uno di Unicredit chiedendogli di salvare la banca del paparino. Mentre, come emerge da alcune intercettazione della procura di Roma che indaga su Consoli e altri per ostacolo alla vigilanza, il dg di Veneto banca, su consiglio di Vincenzo Umbrella, all'epoca direttore della sede di Bankitalia di Firenze, cerca di contattare sempre tramite i Boschi, padre e figlia, direttamente il premier Renzi per informarlo su quanto accaduto e farsi consigliare sul da farsi.
Intanto su migliaia di risparmiatori aretini incombe la mannaia del “bail in” che puntualmente scatterà il 22 novembre 2015 e azzererà i risparmi di molte famiglie.
Mentre le varie ispezioni di Bankitalia e le inchieste della magistratura rischiano di finire con un nulla di fatto. La prima indagine si è infatti chiusa in udienza preliminare nel novembre 2016 con l'assoluzione dell'ex presidente Giuseppe Fornasari, degli ex direttori generale e centrale, Luca Bronchi e Davide Canestri, dall'accusa di ostacolo alla Vigilanza. Un secondo filone d'indagine, relativo alle distrazioni patrimoniali per 180 milioni, è arrivata a chiusura indagine lo scorso dicembre e ha portato la procura di Arezzo a emettere 22 avvisi di garanzia per bancarotta fraudolenta nei confronti di altrettanti ex amministratori della popolare, escluso Boschi senior.
Il padre dell'attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato escluso anche dal filone delle cosiddette "elargizioni facili" per 180 milioni di euro.
Boschi senior risulta marginalmente coinvolto solo nelle indagini relative alla liquidazione di Bronchi deliberata dal cda il 30 giugno 2014 e ritenuta dalla procura eccessiva. In particolare la cifra di 475 mila euro riconosciuta come indennità supplementare di 16 mensilità in aggiunta alle 7 di preavviso - secondo l'accusa rappresenta una distrazione patrimoniale e di conseguenza, in regime di insolvenza, un capitolo di bancarotta fraudolenta.
In sostanza papà Boschi non rischia quasi niente anche perché nel novembre del 2015 il Consiglio dei ministri di Renzi e di sua figlia Maria Elena ha varato il famigerato decreto "Salva Banche" che, oltre a recepire le direttive europee sul “bail in”, contiene anche una modifica che impedisce ai creditori sociali azione di responsabilità contro i ”membri degli organi amministrativi e di controllo", tra i quali, guarda caso, figura proprio il padre dell'allora ministro Boschi. Un decreto ad personam confermato anche dall'indagine sui conflitti di interessi del ministro Boschi dall'Antitrust che, da un lato, conferma che la Boschi era assente alla riunione del Consiglio dei ministri del 22 novembre 2015, quando si è deciso di smontare Banca Etruria, azzerando azioni e obbligazioni subordinate. Ma, dall'altro lato, sottolinea che la stessa ministra era presente il 15 settembre 2015 quando si è approvato lo schema di decreto legislativo che poi ha fissato il quadro di regole per gestire le crisi bancarie.
Dunque, invece di continuare a mentire affermando che “Io sono dalla parte delle istituzioni e non ho mai favorito familiari o amici, non c’è alcun conflitto di interessi”; invece di minacciare querele a destra e a manca “per tutelare il mio nome e il mio onore”, la Boschi dovrebbe dimettersi subito, raccontare tutta la verità sul contenuto degli incontri avuti con Ghizzoni e sui retroscena della gestione fallimentare della banca in cui per anni hanno lavorato suo padre e suo fratello, visto che ha brigato in palese conflitto di interessi per tutelare solo gli interessi di famiglia e non certo quelli dei tanti risparmiatori truffati e ridotti sul lastrico.
Di fronte a tutto ciò, il premier Gentiloni, invece di trarre le dovute conclusioni, con arroganza difende a spada tratta la sua sottosegretaria e dalla Cina, in cui si trova in visita istituzionale, liquida la faccenda e blinda la Boschi con queste parole: “Mi pare che lei abbia ampiamente chiarito. Non mi pare ci siano novità e non ci sono certamente implicazioni per il governo”.
E invece sono tante le domande sulla presunta "diplomazia bancaria" della Boschi, che esigono una risposta definitiva per chiarire ad esempio se è vero (come ha scritto il Fattoquotidiano) che già nel marzo 2014 la ministra e suo papà nella loro villa di Laterina incontrarono il presidente di Etruria e i vertici di Veneto Banca, per concordare una "resistenza" rispetto ai tentativi di acquisizione da parte della Popolare di Vicenza? Oppure se è altrettanto vero (come ha scritto de Bortoli nel suo libro) che nel gennaio 2015 la ministra chiese a Ghizzoni un intervento di Unicredit su Etruria, e che la manager Marina Natale fu incaricata di aprire un dossier per valutare l'acquisto, salvo poi richiuderlo con "parere negativo"? E ancora se è vero (come ha scritto la Stampa) che nel febbraio 2015 l'allora neo-presidente di Etruria, Rosi, ebbe a sua volta un altro incontro con Ghizzoni ("facilitato da qualcuno...") per tentare un ultimo affondo sul salvataggio da parte di Unicredit? E infine è vero o no che la ministra ha mentito all'assemblea di Montecitorio? E se ha mentito, può ancora restare al suo posto nel governo Gentiloni?
17 maggio 2017