Rapporto annuale Istat
Aumentate le disuguaglianze sociali e la povertà assoluta
4,3 milioni di precari. 2,2 milioni di giovani né studiano né lavorano
A Sud il 10% della popolazione rinuncia a curarsi
Un Paese sempre più invecchiato, il più vecchio d'Europa, in cui aumentano le disuguaglianze sociali e la povertà assoluta, tanto che si rinuncia perfino a curarsi, e in cui i giovani continuano a non trovare lavoro o lo trovano solo precario e sottopagato: questa la sconfortante fotografia dell'Italia che emerge dal 25° rapporto annuale dell'Istat presentato il 17 maggio scorso alla Camera.
Un rapporto, questo, basato sui dati del 2015-2016 quando governava Renzi, che è anche un'operazione politico-mediatica, perché invece della consueta classificazione sociale delle famiglie, è stata adottata una nuova classificazione che non tiene conto solo del reddito e della classe sociale della persona di riferimento (operaio, impiegato, lavoratore autonomo, imprenditore ecc.), ma di una serie di altri fattori, come numero di componenti, titolo di studio, livello di pensione, lavoratore atipico, disoccupato ecc., che scompongono le vecchie classi e le riaggregano secondo un diverso ordine. Classificazione che a detta del presidente dell'istituto di statistica, Giorgio Alleva, dovrebbe essere più rappresentativa dei cambiamenti sociali prodottisi negli ultimi anni. Ma che ha fatto subito gridare la stampa di regime alla “scomparsa” della divisione in classi tra proletariato e borghesia.
Ma al di là di questa furbizia, che rende solo più faticosa e incerta ai non addetti ai lavori l'interpretazione sociale e politica dei dati, quello che emerge lo stesso basta e avanza per rendersi conto che non solo le disuguaglianze sociali tra famiglie ricche e povere corrispondono sempre alla divisione fondamentale tra borghesia e proletariato, ma che queste disuguaglianze sono state accentuate all'estremo dalla crisi economica capitalistica, che ha colpito a senso unico solo tra i lavoratori, i disoccupati, i giovani, i pensionati al minimo, gli immigrati, le donne e il Meridione.
La povertà è aumentata
Il primo dato che emerge è che in Italia è aumentata la povertà assoluta, che nel 2015 ha riguardato 1,6 milioni di famiglie, pari al 6,1% delle famiglie residenti. Ricordiamo che l'incidenza della povertà assoluta è calcolata su una soglia monetaria corrispondente alla spesa minima mensile per assicurare ad una famiglia una vita appena accettabile ed evitare gravi esclusioni sociali. Poiché le famiglie più povere sono anche quelle mediamente con più componenti, l'incidenza sugli individui è ancora superiore che sulle famiglie, e arriva al 7,6%, pari a 4,6 milioni di persone. Al Sud la povertà assoluta colpisce addirittura il 9% delle famiglie e il 10% della popolazione. Se poi si prendono come base solo le famiglie a basso reddito, magari con immigrati, l'incidenza della povertà assoluta sale al 27,9%; e comunque anche tra quelle a basso reddito di soli italiani l'incidenza sale al 12,7%. Per non parlare delle famiglie a basso reddito che vivono nel Mezzogiorno, dove quasi una ogni cinque vive in condizioni di povertà assoluta.
Un altro aspetto di questa drammatica situazione è la risalita dell'”indice di grave deprivazione materiale”, che nel 2015 era sceso al 11,5% mentre nel 2016 è aumentato al 11,9%. Se poi la persona di riferimento in famiglia è in cerca di lavoro, questo indice di grave disagio economico sale al 35,8%, riguarda cioè una famiglia su tre di questo gruppo. Il rapporto definisce inoltre “particolarmente critica la condizione dei genitori soli, soprattutto se hanno figli minori”.
Le famiglie più povere, o comunque che non sono riuscite a recuperare i livelli di reddito che avevano prima della recessione iniziata nel 2008, hanno anche sempre più difficoltà a curarsi, tanto che la quota di persone che hanno rinunciato ad una visita specialistica negli ultimi 12 mesi, perché troppo costosa, è cresciuta tra il 2008 e il 2015 dal 4% al 6,5% della popolazione. Nel Mezzogiorno, dove nel 2008 questa quota arrivava già all'attuale media nazionale, nel 2015 essa è salita al 10,1%.
Aumentate anche le disuguaglianze
Tra il 2008 e il 2015 la crisi economica e finanziaria del capitalismo ha aumentato le disuguaglianze in quasi tutta l'Europa, ma in Italia questo aumento è ancor più marcato, perché, come sottolinea il rapporto, “la capacità redistributiva dell'intervento pubblico è in Italia tra le più basse in Europa... mostrando la difficoltà del sistema welfare nel contrapporsi alle forze di mercato”. Tanto che “la gran parte dell'azione redistributiva è attribuibile ai trasferimenti pensionistici che, nel caso di pensionati senza altra fonte di reddito, assicurano un reddito disponibile a persone con un reddito di mercato nullo (figli e nipoti disoccupati, ndr), mentre un ruolo modesto è ricoperto dai trasferimenti di sostegno al reddito quali gli assegni al nucleo familiare o i sussidi di disoccupazione”.
In altri termini sono i pensionati italiani che suppliscono, ma solo in parte, alla distruzione dello Stato sociale che ha accompagnato la recessione, senza che i governi di questi anni, quello del nuovo duce Renzi compreso, abbiano mosso un dito per sostenere le famiglie e i senza lavoro. Al punto che oggi quasi sette giovani sotto i 35 anni su dieci sono costretti a vivere ancora nella famiglia d'origine. Precisamente sono il 68,1% dei giovani tra i 15 e i 34 anni, pari a 8,6 milioni di persone.
Anche l'invecchiamento della popolazione italiana, che è il più alto d'Europa e secondo nel mondo solo al Giappone, è una conseguenza dell'impoverimento delle classi meno abbienti e dell'aumento delle disuguaglianze rispetto alle classi più ricche. In Italia si fanno meno figli perché non c'è lavoro e c'è meno Stato sociale rispetto alla media europea. Nel 2016 si è anzi raggiunto un nuovo minimo delle nascite (474 mila), e gli over 65 hanno raggiunto il 22% della popolazione. Anche l'età media della popolazione straniera è aumentata nel periodo 2008-2017, da 31,1 a 34,2 anni.
Il risultato di tutto ciò è che oggi in Italia, se dividiamo il totale delle famiglie in cinque quinti, il primo quinto più povero spende solo l'8% del totale della spesa familiare, mentre l'ultimo quinto, quello più ricco, spende il 39% del totale. Se si considerano gli ultimi due quinti di famiglie più ricche, esse da sole consumano ben il 62,2% dell'intera spesa familiare, mentre ai primi due quinti più poveri resta solo il 20,8%.
Cresce solo il lavoro precario
E mentre nel resto della Ue continua da tre anni l'incremento degli occupati (+1,6% nel 2016 rispetto al 2015, col tasso di disoccupazione che scende dal 9,4% al 8,6%), in Italia si segna quantomeno il passo: c'è stato cioè un leggero aumento degli occupati nel 2016 (293 mila unità pari ad un +1,3%), ma siamo ancora ben lungi dal livello del 2008, dal quale mancano ancora 333 mila unità. Al Sud ne mancano ancora di più, 381 mila, per ritornare ai livelli pre-crisi. Comunque il tasso ufficiale di disoccupazione in Italia si attesta al 11,7%, ancora ben al di sopra della media Ue.
Per non parlare della disoccupazione giovanile, che è sempre ai livelli più alti in Europa. Per esempio i cosiddetti “Neet”, acronimo che include i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, né studiano, né fanno formazione, nel 2016 sono ancora circa 2,2 milioni, di cui quasi la metà disoccupati e ben 566 mila che il lavoro nemmeno lo cercano più perché scoraggiati o perché donne con figli da accudire. É vero che i “Neet” sono diminuiti di circa 100 mila unità dal 2015, con un'incidenza che è scesa dal 25,7% al 24,3%, ma si tratta comunque della quota più elevata tra i paesi dell'Unione europea, dove la media è di circa 10 punti inferiore (14,2%).
Nel periodo 2008-2016 solo il lavoro precario è cresciuto in maniera significativa: i precari in generale sono aumentati di quasi un milione di unità (+29,3%) arrivando a sfiorare i 4,3 milioni di persone. Per quanto riguarda il lavoro a tempo indeterminato è aumentato solo quello a tempo parziale. Sono aumentati anche gli abbandoni scolastici, che oggi riguardano il 13,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, e che salgono fino al 30,8% nelle famiglie a basso reddito con stranieri.
24 maggio 2017