Per l'anniversario della Nakba
I palestinesi in piazza: scontri con la polizia di Israele
Prosegue lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi
I palestinesi sono scesi in piazza il 15 maggio e hanno affrontato la repressione della polizia per ricordare l'anniversario della Nakba, la “catastrofe”, ovvero l’esodo di centinaia di migliaia di civili costretti con la forza dai sionisti o fuggiti dai loro villaggi nel 1948 per la fondazione dello Stato di Israele, proclamata ufficialmente il giorno prima, il 14 maggio 1948. A distanza di 69 anni i loro discendenti, che sono oltre cinque milioni, sono confinati in campi profughi sparsi in vari paesi arabi e non possono rientrare per l'opposizione degli occupanti sionisti e la volontà di tutti i governi di Tel Aviv fino all'attuale regime del boia Benjamin Netanyahu che con la complicità dei paesi imperialisti e dei paesi arabi reazionari si sono fatti beffe della risoluzione delle Nazioni Unite numero 194 dell'11 dicembre 1948 che sancirebbe il diritto dei palestinesi al ritorno nella terra d’origine.
Un diritto riaffermato ogni anno dai palestinesi con manifestazioni che spesso sono state attaccate dalla polizia e dai soldati sionisti mobilitati in forza dal regime di Tel Aviv anche lo scorso 15 maggio nei territori occupati della Cisgiordania. Scontri e feriti tra i manifestanti si sono registrati nei pressi del campo profughi di Aida a Betlemme dove l'esercito è intervenuto con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma per sopprimere la marcia di protesta. Una decina i palestinesi feriti a Ramallah dove centinaia di manifestanti bruciavano pneumatici e lanciavano pietre per rispondere alla repressione della polizia che impediva al corteo, dove spiccavano bandiere palestinesi e nere con la scritta “noi ritorneremo” in arabo, di dirigersi verso il punto di transito di Bet El.
Ad Anabta è stata invece la polizia dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen a caricare i dimostranti. Anche se nel giorno della Nakba il segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) che regge l'Anp, Saeb Erakat, aveva sostenuto che “al fine di raggiungere una pace giusta e duratura fra Israele e Palestina è importante che Israele riconosca la Nakba e chieda scusa”. Il governo di Hamas organizzava le manifestazioni nella striscia di Gaza e il nuovo leader dell'organizzazione islamica Haniyeh sosteneva che “se alcune persone hanno dimenticato la nostra causa, noi diciamo che non l’abbiamo dimenticata e che l’occupazione sarà spazzata via presto, se Dio vuole, e la Palestina resterà araba e islamica”. Contro la “catastrofe” ribadiva la sua posizione anche lo storico israeliano Ilan Pappé, fautore di un solo Stato in Palestina, che definiva la cacciata della popolazione palestinese e la distruzione dei loro insediamenti una vera e propria “pulizia etnica” della Palestina, volta a cancellare non solo la presenza fisica ma anche culturale, storica e politica palestinese; una politica che in forme diverse continua ancora oggi.
Come conferma la lotta dei prigionieri politici palestinesi attuata con uno sciopero della fame iniziato lo scorso 17 aprile accompagnato da una serie di iniziative di sostegno, dai presidi ai cortei che da allora si susseguono nonostante la represione dei militari israeliani.
Uno dei promotori della protesta, il leader di al Fatah in Cisgiordania Marwan Barghouti, in una lettera resa nota dal suo avvocato invitava a proseguire la lotta contro l’occupazione israeliana sostenendo che le trattative saranno inutili fintanto che “Israele non cesserà la costruzione di colonie, non si impegnerà a terminare l’occupazione, non riconoscerà il diritto al ritorno per i profughi, non libererà tutti i prigionieri, non accetterà il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente nei confini del 1967” con capitale Gerusalemme. Su queste basi anche un'intesa tra Hamas e Al Fatah potrebbe essere più facile dopo che recentemente l'organizzazione islamica ha modificato lo Statuto del 1988 riconoscendo di fatto Israele e accettando i confini territoriali della Palestina stabiliti nel 1967 dagli aggressori sionisti.
24 maggio 2017