Il G7 di Taormina unito contro lo Stato islamico
Gentiloni esalta l'accordo guerrafondaio
Trump non ci sta su clima e migrazioni
Nella conferenza stampa finale, disertata dal presidente americano Donald Trump e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel oltre che come previsto dalla premier inglese Teresa May rientrata anticipatamente a Londra al termine del primo giorno dei lavori per la gestione del dopo attentato di Manchester, toccava al padrone di casa, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni, l'onere di illustrare i risultati del vertice del G7 a Taormina del 26 e 27. Gentiloni sottolienava che c'era stata una “discussione vera” che aveva messo a fuoco “le posizioni anche quando sono diverse, individuando convergenze quando è possibile, o rendendo più chiare le differenze quando ci sono” per descrivere le divergenze in particolare con l'alleato più potente, gli Usa di Trump che non ha accettato compromessi sul tema del clima e delle migrazioni, tentennato sul punto relativo al commercio e portato a casa il risultato sul punto principale che gli stava a cuore: l'unità dei sette partner contro lo Stato islamico (IS), registrato dalla apposita dichiarazione finale. Che si aggiunge a quello intascato il giorno prima in sede Nato.
A Gentiloni che nei giorni precedenti aveva fatto i salti mortali per avere un risultato di compromesso accettabile su tutti e quattro gli argomenti del vertice non è restato che esaltare l'unica intesa piena, l'accordo guerrafondaio denominato la Dichiarazione su Sicurezza e Lotta al Terrorismo che era l'unico punto all'ordine del giorno del 26 maggio. Per il primo ministro italiano “l'impegno contro il terrorismo è il successo più grande, con la dichiarazione di Taormina firmata ieri, importante per il momento in cui avviene”. E che si apre appunto con la condanna “dell'atto terroristico di Manchester” e con la riaffermazione che combattere il terrorismo “rimane una priorità fondamentale per il G7”.
L'argomento della guerra al terrorismo avrà spazio anche nel comunicato finale generale del vertice dove al punto 11 si afferma che “abbiamo compiuto notevoli progressi nella riduzione della presenza di ISIS / ISIL / Daesh in Siria e Iraq, e ci impegniamo a proseguire questi sforzi per completare la liberazione in particolare di Mosul e Raqqa, nel perseguimento della distruzione finale di ISIS / ISIL / Daesh” e invitano “tutti i paesi della regione che svolgono un ruolo costruttivo di contribuire allo sforzo per raggiungere soluzioni politiche, la riconciliazione e la pace, che sono l'unico modo per sradicare l'ISIS / ISIL / Daesh, altri gruppi terroristici e l'estremismo violento a lungo termine in Iraq, Siria, Yemen e oltre”.
Nel documento ci sono anche alcuni passaggi che sono un raro esempio di ipocrisia imperialista, come al capitolo 14 dove si afferma che “poiché la mancanza di inclusività sociale e economica e le opportunità possono contribuire all'aumento del terrorismo e dell'estremismo violento, ci impegniamo ad affrontare questi problemi attraverso un approccio globale che collega sicurezza, inclusione sociale e sviluppo. Gli sforzi del G7 per promuovere il pluralismo, la tolleranza e l'uguaglianza di genere come ad esempio il dialogo culturale e interreligioso accresceranno l'efficacia della nostra azione contro il terrorismo e l'estremismo violento”. Belle parole, smentite diametralmente dalla realtà.
Mentre i Sette grandi firmavano il documento specifico sul terrorismo, il 26 maggio, gli aerei della coalizione contro l'IS a guida Usa bombardavano la cittadina di Mayadin, nella regione orientale di Dayr az Zor in Siria, nella parte ancora controllata dall'IS provocando, secondo la stima dell'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, oltre 100 morti dei quali 42 bambini e adolescenti con meno di 16 anni di età. Il G7 discuteva di altro, come se la guerra non ci fosse assieme alle criminali responsabilità dei paesi imperialisti che ne fano parte.
Una sessione a margine dei lavori della giornata del 27 maggio era dedicata ai paesi Africani con la partecipazione dei leader di Etiopia, Kenya, Niger, Nigeria e Tunisia che nei progetti dell'Unione europea (Ue) sono tra quei paesi che dovrebbero dare il loro contributo per fermare i flussi migratori, alla partenza o lungo il percorso verso il Mediterraneo, imprigionandoli in centri di accoglienza del tipo se non peggiori di quelli che l'aspettano in Europa. Sul modello dell'intesa con la Turchia del fascista Erdogan che ha chiuso il corridoio balcanico ai profughi siriani e afghani. Un comportamento non condiviso da Trump che preferisce costruire i muri.
I migranti vanno fermati in ogni modo, afferma il comunicato finale al punto 6 dove i Sette affermano che “condividiamo lo stesso interesse nel rafforzamento di un ordine internazionale basato su regole che promuove la pace tra i paesi, le nazioni, e protegge la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di tutti gli Stati e garantisce protezione dei diritti umani. Il nostro mondo ha bisogno del nostro impegno genuino alla soluzione dei conflitti che stanno interessando milioni di persone innocenti e disturbano lo sviluppo e la crescita sana delle generazioni future”. Continuando tranquillamente a bombardare in Africa e Asia, a uccidere civili, fomentare guerre e a discutere se sia meglio costruire muri ai confini, come Trump, o costrurli anche nei paesi di partenza e transito dei migranti, come la Ue.
In ogni caso Trump ha fatto scrivere nel documento che i leader del G7 “riaffermano il diritto sovrano degli Stati, individualmente e collettivamente, a controllare i loro confini e a stabilire politiche nel loro interesse nazionale e per la sicurezza nazionale”. Muri e ancora muri.
Sul tema del commercio i Sette si sono impegnati a “combattere il protezionismo” e a “mantenere aperti i nostri mercati”. Trump ha accettato di impegnarsi nella lotta al protezionismo ma ha ottenuto di inserire anche l'impegno a opporsi a “tutte le pratiche scorrette del commercio”. Pratiche scorrette da parte dei concorrenti imperialisti che la Casa Bianca ha già annunciato di voler combattere, a partire da quelle che secondo Washington avrebbero favorito la crescita del surplus commerciale tedesco a fronte di un pesante deficit da parte degli Usa. Su questo importante tema economico si è centrato il duello fra Trump e Angela Merkel, non tanto quello sul tema del clima. Dove gli Stati Uniti, “non sono nelle condizioni di unirsi agli altri partner”, recita il comunicato, nell'impegno a rispettare il piano d’azione concordato a nella conferenza COP21 di Parigi nel dicembre 2015. Gli altri sei “riaffermano il loro forte impegno per una rapida applicazione dell'accordo”, Trump comunicava che avrebbe deciso entro una settimana.
Trump disertava a sorpresa la conferenza stampa finale e volava a Sigonella per un saluto ai soldati americani. Invece che afrontare domande solo potenzialmente inopportune di una stampa spesso asservita, Trump preferiva esultare di fronte alle sue truppe per stilare un bilancio della sua missione diplomatica in Arabia Saudita e in Europa. Ringraziate l'Italia e la Nato per il loro contributo alla lotta al terrorismo affermando che “siete nel crocevia del Mediterraneo per far fronte alla minaccia di straordinaria violenza che regna in Africa settentrionale e in Medio Oriente” sottolineava che “abbiamo spianato la strada a una nuova era di cooperazione tra i paesi del mondo per sconfiggere il nostro nemico comune, il terrorismo. Per questo ho voluto concludere questo mio viaggio a Sigonella. Avrete sempre il mio sostegno. Noi vogliamo la pace attraverso la forza. Avremo molta forza, ma anche molta pace”. E prometteva: “noi paesi civilizzati ridurremo in polvere il terrorismo”. Il 28 maggio, tornato a Washington, via tweet affermava che il G7 “è stato un grande successo per gli Usa”. Per le aspirazioni dell'imperialismo americano di tornare a essere il numero uno indiscusso del mondo.
La conferenza stampa finale è stata disertanta anche dalla Merkel che si è limitata a un breve incontro con i giornalisti tedeschi. Ma il 28 maggio nel discorso tenuto in occasione di una manifestazione politica organizzata dal partito cristiano sociale bavarese (Csu) in una grande birreria di Monaco di Baviera affermava che “i tempi in cui si poteva fare pieno affidamento sugli altri sono passati da un bel pezzo, questo l'ho capito negli ultimi giorni. Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”. Ovvero chiudere il capitolo Brexit e rilanciare sulla costruzione della superpotenza imperialista europea sempre più distaccata dall'alleato/concorrente Usa. Berlino diventerebbe l'asse europeo, contando sulla Francia di Macron e su chi ci sta, anche attraverso la riforma dei trattati istitutivi della Ue.
31 maggio 2017