La vendita del gruppo siderurgico a Marcegaglia-Mittal sulla pelle degli operai
5-6mila licenziamenti all'Ilva
Scioperi e manifestazioni a Taranto e Genova in difesa del posto di lavoro
No alla privatizzazione. Si' alla nazionalizzazione
Da Taranto a Genova esplode la lotta dei lavoratori Ilva contro i 4 mila e 800 licenziamenti previsti dal piano industriale presentato da Am Investco: la cordata composta da ArcelorMittal e Marcegaglia con la partecipazione di Intesa San Paolo che, secondo i commissari governativi “ha presentato l'offerta più favorevole” rispetto al concorrente Acciaitalia, composta dall'indiana Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Delfin.
I primi a scendere in piazza sono stati i lavoratori dell'Ilva di Taranto che, il 1° giugno, in concomitanza dell'incontro tra governo e sindacati svoltosi con un nulla di fatto al ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), hanno indetto 4 ore di sciopero.
Oltre 2 mila lavoratori diretti e degli appalti, pari ad oltre il 70 per cento di quelli impegnati nel primo turno, hanno incrociato le braccia e si sono radunati davanti alla direzione dello stabilimento in attesa di notizie da Roma. Allo sciopero, organizzato da Fiom, Fim e UIlm, hanno aderito anche le sigle sindacali dei lavoratori delle mense, delle pulizie industriali e delle attività edili. Vasta adesione anche da parte dei lavoratori impiegati dalle aziende dell'appalto e dell'indotto Ilva.
Si tratta di un piano industriale inaccettabile attuato ancora una volta sulla pelle dei lavoratori e che sotto tanti aspetti è peggiore di quello degli ex padroni Riva del 2005. “Taranto – sostengono i lavoratori - dopo aver pagato la presenza di Ilva in termini di ambiente e di salute non può pagare anche in termini occupazionali. Ci hanno presentato piani industriali e ambientali vaghi. Non sono chiari gli investimenti né sul profilo delle nuove tecnologie né su quello di ambientalizzazione della fabbrica. Ora abbiamo bisogno di capire bene tempi e proposte. Se l'Ilva è strategica per l'intero Paese allora il rilancio non può passare dal licenziamento dei lavoratori".
Nello stabilimento siderurgico jonico, il più grande e importante del gruppo, attualmente sono impiegati 14.220 lavoratori di cui circa 2.400 in cassa integrazione. La proprietà Marcegaglia-Mittal ne vuole licenziare 4.800 subito e almeno altri mille successivamente riducendo in 5 anni lorganico complessivo a 8.400 unità.
E pensare che il MiSE aveva assicurato che “nessun lavoratore” dell’Ilva “sarà licenziato e/o lasciato privo di protezione” perché “tutti i lavoratori non assunti dall’acquirente rimarranno in capo all’amministrazione straordinaria per la durata del programma e potranno essere impiegati nelle attività di decontaminazione eseguite dalla procedura”.
Il piano, replicano i lavoratori “va riscritto garantendo salute, ambiente, occupazione e salari”. I sindacati ribadiscono “la necessità di costruire una piattaforma rivendicativa che preveda il coinvolgimento della città. Ambiente, salute e lavoro sono imprescindibili per il rilancio di Ilva e della provincia ionica già fortemente in crisi”.
Il 5 luglio anche i lavoratori dello stabilimento Ilva di Genova Cornigliano sono sfilati in corteo per le vie della città in difesa del posto di lavoro. La lunga giornata di lotta è iniziata alle 7 con l’assemblea dei lavoratori in sciopero convocata dalla rsu (Rappresentanza sindacale unitaria) all’Ilva di Cornigliano, per decidere le forme di mobilitazione dei prossimi giorni. Intorno alle 8.45, i lavoratori al grido di "Senza lavoro c'è l'agitazione" e "l'accordo di programma non si tocca: lo difenderemo con la lotta" si sono mossi in corteo fin sotto le finestre della Prefettura, in largo Lanfranco, dove hanno dato vita a un combattivo presidio di protesta mentre una delegazione di operai partecipava all'incontro con il prefetto Fiamma Spena, il presidente della Regione, Giovanni Toti e il sindaco Marco Doria.
Allo sciopero con punte di adesione oltre il 90% si sono uniti anche i lavoratori dello stabilimento di Novi Ligure (Alessandria) che hanno indetto otto ore di sciopero per partecipare alla protesta. Agli operai dell’Ilva è giunta la solidarietà di numerose realtà industriali e portuali genovesi che hanno portato in corteo i loro striscioni.
Sfila anche uno striscione della Culmv, la Compagnia Unica del Porto di Genova, accanto a quello dei lavoratori del Terminal Sech. Al termine della manifestazione, una delegazione di lavoratori è stata ricevuta in Prefettura, dove è stato preparato un documento da mandare alla presidenza del Consiglio per ribadire le richieste: la convocazione di un incontro urgente con tutti i firmatari dell’accordo di programma; la conferma degli impegni previsti all’interno della trattativa in corso per la cessione di Ilva; la possibilità di conoscere nel dettaglio il piano industriale e le ricadute dello stesso sul territorio genovese, «di cui a oggi le istituzioni locali non hanno avuto alcuna comunicazione»
Il documento è stato firmato da tutti i soggetti che nel 2005 avevano sottoscritto l’Accordo di Programma, che modificava una precedente intesa risalente al 1999: Regione, Comune, Prefettura, Autorità Portuale e organizzazioni sindacali.
Oggi nello stabilimento di Cornigliano sono impiegati 1500 lavoratori, di cui 380 in cassa integrazione, rispetto ai 2700 occupati al momento della chiusura dell'area a caldo, nel 2005. L’Accordo di Programma, che in cambio della chiusura degli impianti a caldo garantiva occupazione e salario, viene integrato dai lavori di pubblica utilità. Quell'accordo, firmato nel lontano 2005, sostengono i lavoratori, ha valore di legge e ha certificato la riconversione dello stabilimento siderurgico genovese per dare aria più pulita alla città in cambio di garanzie di occupazione e reddito per i lavoratori e in cambio della concessione di un milione di metri quadrati per cinquant'anni all'imprenditore attivo su quelle aree, allora Riva oggi la nuova cordata in arrivo. “Perciò – avvertono i lavoratori - l'accordo di programma non si tocca anche perché è stato firmato da cinque ministri e se qualcuno pensa di metterlo in discussione deve ricordarsi che da quell'intesa dipendono anche le concessioni su aree e banchine”.
Il futuro dell'Ilva non può dipendere da questa o quest'altra cordata capitalistica perché esse comunque non hanno in alcuna considerazione né le condizioni di vita e di lavoro degli operai e della popolazione né la difesa della salute e dell'ambiente a Taranto perché sono unicamente alla ricerca del massimo profitto capitalistico. Ecco perché ribadiamo il nostro NO categorico alla privatizzazione e il SÌ alla nazionalizzazione dell'Ilva.
7 giugno 2017