Elezioni in Gran Bretagna
I conservatori perdono la maggioranza assoluta. I laburisti avanzano
Corbyn, l'altra faccia della May. Entrambi al servizio del capitalismo
Il 31,3% dell'elettorato diserta le urne
La premier inglese Teresa May voleva per i Conservatori una maggioranza parlamentare ancora più ampia dei 17 seggi che aveva per pilotare più agevolmente il negoziato con la Ue per l'uscita della Gran Bretagna. Con questo obiettivo lo scorso aprile aveva indetto le elezioni politiche anticipate che si sono tenute l'8 giugno ma così come il suo predecessore David Cameron aveva sbagliato i conti sul referendum sulla Brexit perso quando pensava di vincerlo, ha perso anche la maggioranza relativa alla Camera e si avvia a governare con maggiori incognite di durata solo grazie all'intesa in via di definizione col gruppo omofobo e antiabortista dei protestanti nord-irlandesi del Democratic Unionist Party (Dup). Piangono i Tories guidati dalla May, ridono nella sede del Labour di Jeremy Corbyn che con un programma leggermente spostato a “sinistra” pare avere invertito il declinio dei laburisti.
I risultati definitivi mettono in risalto anzitutto che il 31,3% dell'elettorato ha disertato le urne, due punti percentuali in meno delle politiche precedenti del 2015 ma che confermano come quasi un terzo dei 46,9 milioni di elettori ha disertato le urne e votato la sua sfiducia a governo e parlamento borghesi. I Conservatori hanno ottenuto il 42,45% dei voti validi e 318 seggi, con una perdita di 13 seggi; i Laburisti col 39,99% conquistano 262 seggi, guadagnandone 32; gli scozzesi del SNP ottengono il 3,04% e 35 seggi, perdendone 19; i liberaldemocratici col 7,37% ottengono 12 seggi, 3 in più; chiude la lista dei principali partiti il DUP con lo 0,91% dei voti e 10 seggi, 2 in più. Sempre pochi ma sono quelli che potrebbero bastare alla May per formare un governo sostenuto da 348 seggi sui 650 del parlamento; il 10 giugno il Dup acconsentiva a un "accordo di principio" con il partito conservatore al momento dato per scontato ma in via di definizione. Sparisce l’unico seggio dei razzisti dell’Ukip, i compari del M5S all'europarlamento di Bruxelles.
La May il 9 giugno, dopo un breve colloquio a Buckingham Palace con la regina, annunciava che avrebbe fatto “un nuovo governo, per rispettare la promessa della Brexit” e confermava i ministri in carica alla guida dei principali ministeri, da Boris Johnson agli Esteri a Amber Rudd agli Interni, da Philip Hammond alle Finanze a Michael Fallon alla Difesa e confermava David Davis quale ministro per la Brexit.
I “capri espiatori” della sconfitta della May erano identificati nei due capi dello staff di Downing Street e i più stretti consiglieri della premier che si dimettevano il 10 giugno.
I laburisti di Jeremy Corbyn recuperano parte del loro elettorato in particolare in Galles e in Scozia a scapito dei nazionalisti del SPN di Nicola Sturgeon che al momento pare voler mettere nel cassetto il progetto di un nuovo referendum separatista. Corbyn ha rispolverato parole d’ordine in difesa del welfare, dell’occupazione e contro la guerra, dell'abolizione delle pesantissime tasse universitarie. Ma ha anche attaccato il governo della May per i tagli alle forze di polizia dopo gli attentati di Manchester e Londra. Corbyn è in ultima analisi l'altra faccia della May, sono entrambi al servizio del capitalismo
14 giugno 2017