Insabbiato lo scandalo Consip col concorso di Forza Italia e Verdini
Il Senato salva Lotti e caccia il suo accusatore Marroni
Per la seconda volta nel giro di appena tre mesi il Senato nero salva il ministro dello Sport Luca Lotti, braccio destro del nuovo duce Renzi, da mesi indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreti d’ufficio per il verminaio delle tangenti Consip.
Il primo salvataggio era avvenuto il 15 marzo scorso con la bocciatura a larga maggioranza della mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle.
Questa volta con 185 si, 76 no e 5 astenuti è passata la mozione presentata dal capogruppo PD Luigi Zanda in cui si impegna il governo "a procedere in tempi celeri e solleciti al rinnovo dei vertici della Consip".
La mozione aveva il parere favorevole del governo ma decisivi sono stati ancora una volta i 28 voti di Forza Italia, gli 8 dei verdiniani di Ala e i 3 di Federazione della libertà (Idea-fl). Non solo. L'Aula nera di palazzo Madama grazie all'ennesimo inciucio fra PD-FI-Ala-FDL ha approvato a larghissima maggioranza anche un secondo atto d’indirizzo a firma di Andrea Augello (ex An, eletto con l'allora PDL e ora passato a Federazione della Libertà) per cacciare l'ad Marroni, il grande accusatore di Lotti e papà Renzi, e avviare un'inchiesta amministrativa interna per capire meglio di cosa parlasse Marroni quando ha raccontato ai Pm di aver subito pressioni da Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio.
Bocciate invece tutte le altre mozioni presentate da SI, Lega e Articolo1-Mdp ivi compresa quella che chiedeva il ritiro delle deleghe a Lotti, respinta con 182 no, 69 sì, e 16 astenuti.
A pagare quindi è solo Marroni, tra l'altro nemmeno indagato, reo di aver denunciato agli inquirenti il magna magna alla Consip. Mentre tutti gli altri protagonisti della scandalosa vicenda a cominciare dal ministro Lotti, papà Renzi, il presidente di Consip Luigi Ferrara, indagato per aver cambiato versione durante i diversi interrogatori svolti in qualità di testimone, il comandante generale dell'Arma dei carabinieri Tullio Del Sette, indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto d'ufficio, e il generale dei carabinieri, Emanuele Saltalamacchia, sotto inchiesta per traffico d’influenze in concorso, rischiano di passarla liscia.
E pensare che appena 20 giorni fa dal “balcone” di Ore Nove, l’appuntamento quotidiano con la rassegna stampa di ‘Pd Bob’, il nuovo duce Renzi tuonava: “chi sbaglia deve pagare e chi fabbrica prove false deve risponderne”.
28 giugno 2017