Per rilanciare le sue tesi antileniniste
“Il manifesto” guarda alla Rivoluzione d'Ottobre con le lenti di Trotzki
Lo sfidiamo a rivelare i fatti sul suo opportunismo e sul ruolo di Stalin
In attesa di arruolarsi nell'armata Brancaleone di Pisapia, Articolo 1 e Sinistra italiana, “il manifesto” ha dedicato un'intera pagina del suo inserto sulla Rivoluzione d'Ottobre del 21 maggio scorso alla figura di Trotzki, per beatificare colui che è stato il principale opportunista e traditore di Lenin e dell'Ottobre.
Nell'articolo di Enrico Galmozzi se ne leggono di tutti i colori, infarcito com'è di un linguaggio e posizioni apparentemente rivoluzionarie e radicali, in realtà patina “ultrasinistra” a copertura del concetto chiave, ossia dare una lettura della Rivoluzione d'Ottobre di fatto antileninista, concentrando l'attacco su ciò che ai trotzkisti – ma anche ai revisionisti e agli opportunisti di ogni epoca e ogni risma – è sempre stato più inviso: il partito rivoluzionario come lo concepiva Lenin.
Infatti, secondo l'articolo, Trotzki, addirittura osannato come la “rappresentazione compiuta”
del rapporto fra teoria e prassi, sarebbe l'autore di un “capolavoro teorico”
che consiste nell'identificare il ruolo di “una soggettività rivoluzionaria”,
rappresentata dai Soviet, che crea “le condizioni per le quali si determina la 'continuità rivoluzionaria' che permette di superare la 'classica distinzione fra programma minimo e programma massimo'”.
I Soviet sono “lo strumento della rivoluzione stessa. Dopo la vittoria, i soviet sono diventati gli organi del potere. Il ruolo del partito e dei sindacati, senza venir sminuito, è però essenzialmente mutato”.
Lenin non sminuì mai il ruolo dei Soviet come organi del potere proletario, ma li inquadrò correttamente nel rapporto dialettico che era necessario avere con il Partito comunista al potere. Sulla questione dei sindacati proprio in polemica con Trotzki, che mal digeriva la dittatura del proletariato e il ruolo dirigente del partito, Lenin negli ultimi anni della sua vita spiegò che: “Ma non si può attuare la dittatura del proletariato per mezzo dell'organizzazione che riunisce tutta questa classe. Perché non soltanto da noi, in uno dei paesi capitalistici più arretrati, ma anche in tuti gli altri paesi capitalistici, il proletariato è ancora così frazionato, umiliato, qua e là corrotto (proprio dall'imperialismo in certi paesi), che l'organizzazione di tutto il proletariato non può esercitare direttamente la sua dittatura. Soltanto l'avanguardia che ha assorbito l'energia rivoluzionaria della classe può esercitare la dittatura”.
Ora come allora quindi l'attacco alla centralità e alla “dittatura” del partito nasconde l'attacco all'intera concezione leninista del partito rivoluzionario, fondato sul marxismo-leninismo (“senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”,
sosteneva il padre dell'Ottobre) e sul centralismo democratico, insofferente verso il frazionismo ed edificato attraverso la lotta teorica attiva contro le tendenze ideologiche non proletarie e riformiste. In secondo luogo, nasconde l'attacco alla dittatura del proletariato come indispensabile strumento tramite cui la classe operaia giunta al potere può costruire il socialismo e respingere i tentativi di restaurazione da parte della classe borghese rovesciata.
Come Trotzki e attraverso Trotzki, quindi, “il manifesto” guarda alla Rivoluzione d'Ottobre minimizzando il ruolo centrale e dirigente avuto dal partito leninista. Questo, oltre ad essere una gigantesca stortura storica, equivale dire a chi oggi aspira al vero cambiamento che non serve organizzarsi nel partito rivoluzionario, non serve riscoprire il marxismo-leninismo, basta affidarsi al movimento spontaneo ed alle forme che vorrà darsi: una strategia che proprio la Rivoluzione d'Ottobre – oltre a innumerevoli episodi nella storia successiva – ha dimostrato universalmente fallimentare e controproducente.
Trotzki prima, durante e dopo la Rivoluzione d'Ottobre
È poi indicativo che “il manifesto” trotzkista ometta completamente il ruolo e le posizioni di Trotzki prima, durante e dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Lo sfidiamo a farlo nei suoi successivi “reportage” mensili sulla storia dell'Ottobre, ma dubitiamo molto che raccoglierà la sfida, perché significherebbe rivelare la sua natura di opportunista di prim'ordine.
Nato politicamente come populista, una corrente russa di fine Ottocento in odor di anarchismo, Trotzki entra nel Partito operaio socialdemocratico russo, che allora riuniva i marxisti russi, dove infuria la battaglia sulla natura del partito. Nonostante Lenin nel suo Che fare?
(1903) avesse tracciato con chiarezza la natura e gli scopi del partito rivoluzionario d'avanguardia, al II Congresso del Posdr Trotzki si schiera con Martov e i menscevichi, con i quali rimarrà per oltre 10 anni. Oltre alla concezione del partito, di Lenin critica le lungimiranti idee sull'alleanza fra operai e contadini, che saranno invece fondamentali per il successo della rivoluzione in un Paese popolato perlopiù da contadini poveri e sfruttati.
Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 e la feroce reazione che segue, Trotzki resta con i menscevichi quando questi propongono la liquidazione del partito e la rinuncia ad ogni attività clandestina e illegale; fa lo stesso nel 1910 quando si oppone alle decisioni della maggioranza bolscevica e all'eliminazione delle frazioni nel momento in cui era necessario un rilancio unitario del Posdr contro l'autocrazia zarista. Da Lenin si guadagna l'appellattivo di “Iuduska Trotzki”, dal nome di un personaggio della letteratura russa che incarna l'ipocrisia. Nel 1912 si consuma la scissione, ormai inevitabile. Trotzki a questo punto comincia una campagna di attacchi contro il Posdr bolscevico, che Lenin stesso definirà “un cumulo di menzogne”.
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale la situazione si evolve rapidamente in senso rivoluzionario. Lenin già all'indomani della rivoluzione borghese di febbraio sostiene che è necessario passare alla rivoluzione socialista, Trotzki, che dal 1913 è a capo di un gruppo centrista, menscevico di fatto e favorevole alla conciliazione con i riformisti, chiede e ottiene di entrare nel Posdr solo in agosto, al VI Congresso, che tra l'altro ne cambia il nome in Partito comunista russo. Lenin e i bolscevichi accettano nella speranza di poter unire le forze rivoluzionarie nel momento decisivo: Trotzki entra così nel Comitato centrale del PCR. Propone di rimandare l'insurrezione a dopo il II Congresso panrusso dei Soviet e rivelarne in anticipo la data, il ché significherebbe avvertire il governo e far fallire tutto, ma la proposta viene respinta.
Nel governo sovietico eletto dopo la presa del potere da parte dei Soviet, Trotzki diventa commissario del popolo agli Affari esteri. Il suo primo compito è quello di siglare la pace con la Germania, ma durante le trattative di pace contravviene alle direttive del partito e comunica che la Russia sovietica continuerà la guerra. Addirittura Trotzki mobilita i suoi seguaci “comunisti di sinistra” per causare una scissione della sezione del PCR di Mosca. Ciò consente ai tedeschi di riprendere l'offensiva e sottrarre alla Russia sovietica ampi territori prima di obbligarla ad una pace ancora più sfavorevole. È il primo grave tradimento di Trotzki all'indomani dell'Ottobre, che lo smaschera come frazionista e scissionista inguaribile, dettato dalla sua teoria della “rivoluzione permanente” secondo cui la Rivoluzione sovietica per sopravvivere deve non consolidare il socialismo in Russia, com'è la posizione di Lenin, ma lanciarsi in avventure suicide per esportare la rivoluzione.
Successivamente fra Lenin e Trotzki esplodono ulteriori divergenze, la più acuta è sulla questione dei sindacati, che Trotzki vorrebbe mettere a tacere imponendo nelle fabbriche un regime da caserma. Dopo la morte di Lenin la contraddizione fra leninismo e trotzkismo esplode definitivamente: Trotzki tenterà di presentarsi come il suo legittimo successore e di provocare una scissione nel partito, dopo essere stato sconfitto politicamente da Stalin passa alla lotta armata, al sabotaggio e al terrorismo. Il punto più infimo e spregevole della carriera politica di Trotzki, che dimostra quanto il suo opportunismo fosse in realtà controrivoluzionario, è quando, alla vigilia della seconda guerra mondiale e dell'aggressione nazista, dichiara quello che suona come un inquietante invito a Hitler: “La spinta del movimento rivoluzionario degli operai sovietici
[contro la “burocrazia stalinista”, ndr] sarà data, verosimilmente, da avvenimenti esterni”.
Ecco perché il potere sovietico dovette intervenire anche con la repressione contro gli agenti trotzkisti infiltrati nel Partito e nello Stato, che persino inneggiavano alla rivolta militare contro Stalin mentre la Germania hitleriana cominciava le sue guerre d'aggressione.
In generale il trotzkismo non aveva alcuna fiducia nella possibilità di costruire il socialismo, riteneva immaturo il proletariato rivoluzionario, era contrario all'alleanza operai-contadini, non capiva la tattica e, proprio come la borghesia rovesciata, non sopportava la direzione del Partito comunista e la dittatura del proletariato.
“Il manifesto” farebbe un servizio migliore ai suoi lettori se raccontasse questi fatti e, magari, ammettesse il ruolo di primo piano svolto da Stalin al fianco di Lenin e in difesa delle sue tesi e posizioni, spesso proprio durante questi accesi scontri con lo stesso Trotzki.
Comunque la dice lunga se questo è l'eroe che ispira “il manifesto” mentre accredita l'ennesima operazione riformista e opportunista di Bersani, D'Alema e Pisapia, che si scontra con quella della lista civica di Tommaso Montanari e Anna Falcone, per recuperare i voti di sinistra e riprendere il terreno parlamentare e governativo strappato da Renzi, senza nessun piano di rottura con il capitalismo.
5 luglio 2017