Contro le bestiali condizioni di lavoro
Sciopero di 8 ore negli stabilimenti Fiat/Fca
Il 30 giugno gli operai di tutti gli stabilimenti Fca (Fiat): da Cassino a Melfi, da Termoli a Pomigliano e Mirafiori hanno attuato uno sciopero di otto ore indetto dai “sindacati di base” per protestare contro le bestiali condizioni di lavoro imposte dal nuovo Valletta della Fca Marchionne.
Nonostante la multinazionale cerchi di darsi una verniciata di “modernità”, “etica” e “collaborazione aziendale” le condizioni di lavoro che impone ricordano molto da vicino quelle del capitalismo ottocentesco.
Il “Modello Marchionne” che tanto piace al nuovo duce Renzi e ai pescecani capitalisti italiani che lo hanno imposto ormai in quasi tutte le grandi aziende, prevede ritmi e turni di lavoro massacranti ivi compresi i sabati e le domeniche che ormai sono diventati ufficialmente giorni lavorativi; salari da fame legati esclusivamente alla produttività e regolati da una contrattazione aziendale di stampo corporativo e filopadronale che di fatto ha abolito il contratto collettivo nazionale; deportazione dei lavoratori più combattivi e sindacalizzati nei reparti confino a suon di minacce e ricatti; infortuni che vengono occultati dall’azienda; mensa spostata a fine turno e pause azzerate e/o centellinate anche per andare in bagno insieme a qualsiasi altra fase “improduttiva” che non genera profitto per l'azienda; forte limitazione del diritto di sciopero e di tutti gli altri diritti acquisiti e messa al bando dei sindacati che non firmano accordi aziendali.
Un modello che si sposa perfettamente con la legge sulla rappresentanza firmata a giugno 2014 che limita fortemente la democrazia nelle fabbriche e con il Jobs Act dà la possibilità ai padroni di licenziare come e quando vogliono. In questo modo si cancellano le vecchie relazioni industriali e sindacali fin qui consolidate sostituite con quelle “nuove” di stampo mussoliniano perché come nel fascismo i diritti dei lavoratori sono calpestati in nome degli interessi supremi del capitalismo nazionale. Un modello fatto proprio dai maggiori sindacati italiani, a cui si è accodata anche la Fiom, rinnegando le lotte contro l'articolo 18 e contro lo stesso Marchionne, a cominciare da quella dello stabilimento di Pomigliano.
La ricerca del massimo profitto porta Melfi a “causa di una temporanea situazione di mercato, legata a motivi congiunturali” a mandare in cassa integrazione tutti gli addetti alla linea di produzione produttiva della Jeep Renegade a partire dal 29 giugno fino a tutto il 2 luglio e poi ancora dal 26 al 29 luglio.
Mentre a Cassino i “sindacati di base” manifestano davanti ai cancelli per denunciare che "la Fiat vive alla giornata, fa lavorare metà di noi a ritmi impossibili e con pause ridotte e l'altra metà la tiene a casa con gli ammortizzatori sociali".
A Cassino si deportano 300 lavoratori perché dei tre modelli prodotti (Giulietta, Giulia e il Suv Stelvio) tira solo il Suv. Per gli addetti alla Giulietta ci sarà un fermo lavorativo estivo più lungo mentre la Giulia, per ora, non ha centrato gli obiettivi di vendita. Fca aveva annunciato assunzioni ma, nei fatti, il numero dei nuovi addetti è stato di un terzo inferiore rispetto alle intenzioni: 330 arrivano ogni giorno in pullman da Pomigliano (almeno tre ore di viaggio al giorno per circa 500 euro in più in busta paga), 730 sono a tempo determinato in somministrazione. Fca ne voleva trasferire 500 da Pomigliano ma hanno accettato 170 di meno e già non ne possono più, tanto che sono partiti i primi scioperi.
In una nota congiunta Si Cobas Fca Pomigliano, Usb Fca Melfi, Cub Fca Melfi/Basilicata, Operai autorganizzati Fca Termoli, "Un gruppo di operai iscritti a Fiom Cassino", "Usb Fca Termoli", Cobas Fca Mirafiori e Cobas lavoro privato mettono in relazione le diverse sorti degli stabilimenti: "A Melfi dal 29 giugno tutta la fabbrica sarà in cassa integrazione, e altri operai deportati a Termoli". L'accusa all'azienda è di "spremere il limone il più possibile e fino a quando può. A Termoli si sciopera contro i turni massacranti: stanno spremendo e massacrando gli operai a 20 turni con sabato e domenica lavorativi".
Non va bene neppure a Mirafiori, dove a fine giugno sono stati annunciati altri 800 esuberi e a settembre termineranno gli ammortizzatori sociali per altri 867 lavoratori delle Carrozzerie. Nello stabilimento torinese si realizza il Suv Maserati Levante e la Mito, che non hanno avuto come assicurava Marchionne, un grande successo di pubblico, tanto che una parte degli operai è già stata trasferita in pianta stabile a Grugliasco.
Ancora peggio se la passano gli operai di Pomigliano d’Arco dove ci sono mille e 81 lavoratori con il famigerato contratto di solidarietà recentemente rinnovato per un altro anno. Nello stabilimento partenopeo si produce un modello solo, la Panda: nonostante i volumi continuino a crescere (più 16,9% nel 2016; più 5,6% nei primi tre mesi del 2017) e le linee siano passate da 360 vetture a turno a circa 440, a causa dei ritmi di lavoro forsennati e della ricerca del massimo profitto, molti operai sono ancora in Cig o deportati in altri stabilimenti. Inoltre va detto che dal 2020 la Panda tornerà a essere prodotta in Polonia, da dove Marchionne l’aveva importata, ma nessuno sa da cosa sarà sostituita e soprattutto che fine faranno i lavoratori. E pensare che fu proprio Marchionne a promettere che entro il 2018 avrebbe varato un nuovo piano industriale con l'obiettivo di raggiungere un milione e 400mila veicoli prodotti in Italia e la piena occupazione di tutto il personale. Un obiettivo che non sarà realizzato dal memento che a Pomigliano occorrono circa nove mesi per industrializzare un nuovo modello.
A settembre si discuterà del loro rientro, ma c’è chi si mette in viaggio da Bari e da Foggia pur di lavorare. “A Pomigliano hanno rischiato la chiusura, poi sono stati in cassa integrazione a zero ore, quindi in solidarietà, alla fine hanno accettato di andare a Cassino pur di lavorare ma è una situazione che non si può sostenere a lungo – sostengono i sindacati - tutti i siti chiedono nuovi modelli. Fca ha presentato nei saloni di settore il Renegade con motore elettrico ma lo produrrà in Cina. Tutti i concorrenti europei investono nell’elettrico e nell’ibrido, soprattutto in vista delle nuove prescrizioni dell’Ue sulle emissioni di CO2. Governo e azienda devono investire in questa direzione, invece di continuare ad aumentare la flessibilità dei lavoratori”.
5 luglio 2017