Importante dichiarazione del presidente dell'Inps
Boeri: “Immigrati essenziali per il nostro Stato sociale”
La chiusura delle frontiere creerebbe un buco di 38 miliardi
“Una classe dirigente all'altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”. Questa affermazione molto netta del presidente dell'Inps, Tito Boeri, è contenuta, suffragata da dati numerici incontrovertibili, nella 16ª Relazione annuale dell'Istituto nazionale di previdenza sociale presentata lo scorso 4 luglio alla Camera.
Ai tanti che fingono di ignorare questa verità e invocano la chiusura delle frontiere per far fronte alla “invasione” dei migranti che metterebbe in pericolo la sicurezza e il nostro livello di vita, il presidente dell'Inps ricorda che “al contrario, è proprio chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale”. E questo perché “oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale, e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole”. Infatti, spiega Boeri, gli immigrati che arrivano da noi sono sempre più giovani (la quota degli under 25 che iniziano i versamenti all'Inps è già passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015), “fanno i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere” (che sono anche quelli più gravosi e peggio pagati, fino al limite della vera e propria schiavitù, ndr), e compensano il forte calo delle nascite nel nostro Paese, calo che costituisce “la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico”.
E quanto importante è questo contributo che i lavoratori immigrati danno al nostro sistema pensionistico? Boeri ha presentato i risultati di una simulazione, su base molto prudenziale, di cosa accadrebbe di qui al 2040 al bilancio dell'Inps se si chiudessero le frontiere ai migranti: ebbene, ha spiegato il relatore, “nei prossimi 22 anni avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell'Inps. Insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo”.
C'è bisogno di immigrati “contribuenti”
Quindi, stando alla stessa Inps, i migranti non solo sono indispensabili per tenere in piedi l'economia, compensando la denatalità e accettando di fare i lavori meno qualificati e remunerati, ma danno alla società italiana oltre il doppio di quello che ricevono in cambio da essa. Il fronte razzista e xenofobo, che ha come punta estrema il trio Salvini-Meloni-Berlusconi, al quale però si è aggiunto Grillo e ora anche il nuovo duce Renzi insieme alla sua controfigura Gentiloni, e che chiede all'unisono la chiusura delle frontiere ai migranti, non può ignorare questa semplice e inoppugnabile verità. Semplicemente finge di ignorarla e aizza le masse contro i migranti che “ci rubano il lavoro e le case” e “usufruiscono della sanità e dei servizi gratis” per tenerli in stato di soggezione e poterli sfruttare meglio.
E non è che improvvisamente Boeri sia stato colpito da un attacco di filantropia, tutt'altro. Il suo è un semplice conto interessato, non esente anzi da una certa dose di cinismo. Per dimostrare che la simulazione del suo istituto non è esagerata, ma al contrario semmai prudenziale, egli avverte che molti immigrati ritornano al loro Paese prima di maturare i requisiti contributivi minimi per la pensione; o addirittura, in passato, dopo averli già maturati, “di fatto regalandoci i loro contributi”. Un “regalo” che vale circa un punto di Pil. Inoltre, mentre circa l'85% delle pensioni fruite dai nativi è basato sul sistema retributivo, solo lo 0,3% delle pensioni pagate agli immigrati è basato “su regole così generose”. Infine, sottolinea con distacco Boeri, “i nostri dati ci dicono che gli immigrati oggi in Italia hanno una speranza di vita più breve di quella utilizzata per definire ammontare e durata delle pensioni e questo significa che, anche nell'ambito del metodo contributivo, pagano molto di più di quanto ricevano tenendo conto di versamenti e prestazioni durante l'intero arco della vita”.
Conclusione? “Abbiamo perciò bisogno degli immigrati e, soprattutto, di contribuenti immigrati”, suggerisce il presidente dell'Inps a quanti invocano i respingimenti e la negazione dei diritti ai migranti, avvertendoli che anche impedire loro di avere il permesso di soggiorno è sbagliato perché incoraggia il lavoro nero e la criminalità, e soprattutto non contribuisce a finanziare lo Stato sociale degli italiani. Non “buonismo” ma puro e semplice tornaconto, insomma.
Plauso all'abolizione dell'art. 18
Del resto tutta la relazione di Boeri è di questo tenore, in quanto non si fa scrupolo di intervenire nelle questioni economiche e sociali più dibattute nel Paese, prendendo posizioni di parte e bacchettando o esortando le forze politiche e sociali a seconda se contrastano o collimano con le sue vedute. Nel primo caso, per esempio, non ha esitato ad attaccare i sindacati e la contrattazione collettiva, accusando i primi di non avere quella rappresentatività che sostengono di avere (il 25% reale nelle aziende aderenti a Confindustria contro il 40% da loro dichiarato), e bollando la seconda di essere “ancora fortemente centralizzata in Italia rispetto agli altri paesi Ocse”. Mentre a suo dire la contrattazione dovrebbe essere più legata alla produttività, e si dovrebbe puntare a introdurre un “salario minimo” (al posto dei minimi contrattuali, ndr), da calcolare guarda caso sulla base del valore orario dei nuovi voucher, ossia 12 euro lordi e 9 euro netti per il lavoratore.
Un esempio del secondo caso è il suo deciso sostegno al Jobs Act renziano e all'abolizione dell'articolo 18 che esso ha realizzato. Per il presidente dell'Inps, infatti, “quello che il contratto a tutele crescenti sembra aver fatto è rimuovere il tappo alla crescita delle imprese sopra la soglia dei 15 dipendenti (ex art 18 dello Statuto dei lavoratori)”. Questo perché secondo i loro studi c'è stata un'impennata di imprese che superano i 15 dipendenti dalla fine del 2014 da 8.000 a 12.000 al mese.
Egli non si azzarda però a dire che a ciò abbia corrisposto un aumento reale di occupazione, tant'è che si limita a rilevare che “imprese che diventano più grandi riescono ad offrire maggiormente formazione sul posto di lavoro”. Anzi è costretto a riconoscere di “guardare con preoccupazione alla minore appetibilità delle assunzioni con contratto a tempo indeterminato rispetto a quelle a tempo determinato, una volta che sono stati rimossi i forti incentivi contributivi del 2015”. Il che equivale ad ammettere tra i denti che il Jobs Act è servito essenzialmente ad abolire l'articolo 18 e a regalare un pacco di miliardi al padronato, senza peraltro scalfire significativamente la disoccupazione e il precariato.
12 luglio 2017